Un “canto all'umiltà e alla fiducia in Dio”, come Benedetto XVI ha definito fra' Leopoldo, si è elevato dall’altare durante la beatificazione avvenuta a Granada, in Spagna, il 12 settembre scorso. Alla presenza di migliaia di fedeli, la celebrazione del rito è stata presieduta dall'arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Durante l'omelia ha sottolineato gli aspetti principali della personalità del nuovo beato. «Carità, umiltà e devozione mariana – ha detto – sono i tratti distintivi della sua santità. Tutti i testimoni affermano che fra' Leopoldo aveva un cuore d'oro. Fin dalla sua infanzia fu generoso e caritatevole. Generalmente condivideva la sua merenda con altri pastorelli più poveri. Un giorno stava distribuendo ai mendicanti tutto il denaro, guadagnato con fatica durante la vendemmia. Vedendo ciò, il fratello maggiore lo rimproverò e gli tolse di mano il portamonete. Non potendo donare i soldi, il giovane Francisco Tomás (questo il suo nome di battesimo) donò i suoi stivali a un poveretto scalzo». L'Arcivescovo Amato ha inoltre affermato che «“se Granada è conosciuta in tutto il mondo per il complesso monumentale dell'Alhambra, lo è anche per i tanti devoti di fra' Leopoldo. Granada è una città fortunata perché ha contemplato lo spettacolo della sua santità, che per questo è stato nominato suo figlio adottivo”.
Alla beatificazione era presente anche Ileana Martínez, 50 anni, di origine portoricana, la donna guarita in modo scientificamente inspiegabile dal Lupus, una grave patologia cronica degenerativa. Questo miracolo, attribuito all'intercessione di fra' Leopoldo, è stato decisivo perché venisse elevato agli onori degli altari.

Nel cuore della montagna


«Nel centro della Serranía de Ronda si incontra Alpandeire, villaggio minuscolo, nascosto, come un nido nel cuore della montagna, una bellezza naturale. È la terra natale del nostro santo questuante cappuccino, mistico dell’umiltà e del nascondimento, dono di Dio all’umanità»: così scrive Fr. Mauro Jöhri, ministro generale OFMCap, nella sua lettera circolare del 15 agosto scorso.
In questa piccola località, in provincia di Málaga, il 24 giugno 1864 nacque Francisco Tomás; dopo di lui nasceranno altri tre fratelli: Diego, Juan Miguel e Maria Teresa. Uno di loro morì giovane durante il servizio militare nella guerra di Cuba. I suoi genitori, Diego Márquez Ayala e Jerónima Sánchez Jiménez, erano contadini semplici e laboriosi, possedevano qualche capra e coltivavano il terreno a cereali e mandorli.
Francisco Tomás frequentò solo la scuola elementare senza dimostrare speciali capacità. Trascorse i suoi primi 35 anni di vita “nascosta” ad Alpandeire aiutando i genitori nel lavoro dei campi e nella vita familiare, ad eccezione del periodo del servizio militare (1887-1888) nel reggimento di fanteria "Pavía" a Málaga.

Bambino “tutto cuore”

Nel calore dell’amore familiare, alimentato dalla pratica delle virtù cristiane, Francisco Tomás maturò la sua sensibilità umana e cristiana. Da suo padre imparò i princîpi cristiani e la pratica del bene. Dalla mamma, apprese a pregare. Allegro, giudizioso, di buona compagnia, lavoratore instancabile, Francisco Tomás incominciava la sua giornata assistendo alla Messa e pregando davanti al Santissimo Sacramento. Quando portava le capre al pascolo, recitava il rosario. Il suo condividere il poco che aveva e la sua bontà naturale, erano espressione di una profonda vita spirituale e di una forte esperienza di fede. Era “tutto cuore” soccorrendo i poveri, dicono le testimonianze di chi lo ha conosciuto. Si racconta che regalava i suoi attrezzi da contadino a chi ne aveva bisogno, o donava i soldi guadagnati con la vendemmia ai poveri che incontrava nel suo cammino verso casa. Intanto Dio andava modellandolo lentamente aspettando l’occasione per chiamarlo al suo servizio.

Cappuccino mendicante

Nel 1894, ascoltando la predicazione dei cappuccini in occasione della festa che si stava preparando a Ronda per celebrare la beatificazione del cappuccino Diego da Cadice, il giovane Francisco Tomás, decise di scegliere la vita religiosa. Attratto dalla “loro vita ritirata” chiese “di essere cappuccino come loro“. Solo nel 1899 venne accolto tra i cappuccini nel convento di Siviglia. I membri della comunità ne lodavano il silenzio, l’impegno, la preghiera, la sua bontà. Il 16 novembre dello stesso anno ricevette l’abito cappuccino e il nome di fr. Leopoldo da Alpandeire. La decisione di farsi cappuccino non richiese un cambiamento radicale di vita, poichè già viveva una profonda e intensa vita evangelica. Nei conventi di Antequera, Granada e di nuovo Siviglia, si dedicò al lavoro nei campi e nell’orto, trasformando il suo umile lavoro in preghiera costante e in generoso servizio. Il 21 febbraio 1914 fu trasferito definitivamente al convento di Granada, dove rimase per 42 anni. Trascorse la maggior parte del tempo come frate mendicante, percorrendo la città a piedi ed entrando nelle abitazioni per chiedere elemosine. Mentre riceveva l'elemosina, dava in contraccambio la carità della sua bontà, della sua serenità, del suo consiglio. «Da quel momento le montagne, le valli, le vie polverose, le strade sarebbero state il tempio e il chiostro della sua vita cappuccina», ha raccontato il vice postulatore padre Ramírez.
Nonostante la sua grande sensibilità per la vita contemplativa, il contatto con le persone divenne il suo nuovo mezzo per raggiungere la santità. «Fu un'occasione per caricare su di sé il peso degli altri, per comprendere, aiutare, servire, amare. Era, come ha detto un suo devoto, 'distinto ma non distante'». Lo si vedeva per le strade a piedi nudi, lo sguardo rivolto verso il cielo e il rosario in mano. Attirava così l'attenzione e l'aiuto dei passanti. Ogni volta che riceveva un'elemosina recitava tre Ave Maria.


Nel vortice della persecuzione

Fra' Leopoldo visse in un‘epoca nella quale in Spagna soffiavano venti anticlericali e quanto sapeva di religioso era mal visto e spesso perseguitato. Era il tempo delle “Due Spagne”, della Seconda Repubblica prima e della guerra civile poi. Settemila furono i religiosi e i sacerdoti uccisi a causa della fede. Nel suo andare giornaliero alla questua egli ebbe molto a soffrire e spesso veniva insultato: «Fannullone, presto ti metteremo quel cordone al collo!». «Vagabondo – gli gridavano – lavora invece di andare a cercare l’elemosina!». «Preparati che ti taglieremo il collo!». Ricevette insulti e minacce di morte. Quasi tutti i giorni lo prendevano a sassate, e una volta sfuggì alla lapidazione perché alcuni uomini intervennero in sua difesa”.
Sperimentò questo clima ostile e parafrasando il Vangelo, diceva: «Poveretti, non ho che da avere compassione di loro perché non sanno quello che dicono!».
Monsignor Amato ha ricordato alcuni episodi caratteristici della vita di fra' Leopoldo. «Un giorno – ha raccontato – un gruppo di falciatori gli gridò: «Vagabondo, lavora invece di andare in giro, ci potresti dare una mano». Fra' Leopoldo si avvicinò e si mise a lavorare con loro, lasciandoli indietro con la sua abilità di contadino. Rivelò che era stato lavoratore come loro e che in convento coltivava l'orto: «Fratelli, io sono come voi». Questo gli permise di ottenere rispetto, consentendogli anche di fare un po' di catechismo». Un'altra volta, «entrò in un negozio di Plaza de Bib-Rambla. Quel giorno il padrone aveva venduto poco e non solo non gli diede l'elemosina, ma lo insultò pesantemente. Il beato ascoltò tutto con pazienza e si allontanò. Il giorno seguente ritornò e disse: «Fratello, preghiamo la Santissima Vergine con tre Ave Maria». Quell'uomo, commosso, recitò le preghiere e per un po' di tempo fra' Leopoldo passava da lui per recitare le tre Ave Maria.
Nelle vie di Granada si fermava anche con i bambini per spiegare loro il catechismo, e con i più grandi per parlare delle loro preoccupazioni.

Un uomo umile e giusto


Fra' Leopoldo era un giusto che, irradiando carità e umiltà, rendeva possibile una convivenza più umana nella Granada del suo tempo. I santi sono il valore aggiunto della nostra civiltà. Senza di loro una città è come un cielo senza sole e una notte senza stelle. I santi ossigenano l’atmosfera della nostra terra con il profumo della loro carità.
In occasione del cinquantesimo della sua professione, il 16 novembre del 1950, un giornale di Granada scrisse articoli pieni di apprezzamento e di lode. Fra' Leopoldo soffrì molto di questo: «Che guaio, ci facciamo religiosi per servire il Signore nel nascondimento e, cosa vedo, ci mettono perfino sui giornali». L'umiltà gli permetteva anche di correggere il prossimo, soprattutto i bestemmiatori. «Un giorno un operaio appena lo vide, cominciò a bestemmiare. Fra' Leopoldo gli si avvicinò e gli disse: "Se volete offendere il frate, fate pure, ma non offendete il Signore". L'uomo lo ascoltò con molto rispetto e si vergognò di quello che aveva fatto. Un altro giorno un lattaio bestemmiava vicino al convento de la Encarnación perché gli si era versato il latte di un recipiente. Fra' Leopoldo si avvicinò al poveretto e gli disse che il nome di Dio bisognava invocarlo solo per lodarlo. Il lattaio si scusò dicendo di aver perduto il guadagno di una giornata. Il beato gli venne incontro con il denaro ricevuto per carità, raccomandandogli che lodasse sempre il nome del Signore».

Vivo anche dopo la morte

Nel 1953 fra' Leopoldo cadde dalle scale, fratturandosi il femore. Riprese a camminare con l'aiuto di due bastoni, ma non fu più in grado di girare per le strade. Poté così dedicarsi totalmente a Dio, il grande amore della sua vita. Morì il 9 febbraio 1956, all’età di 92 anni. La notizia della sua morte commosse tutta la città di Granada. Migliaia di abitanti della città accorsero a onorare la sua salma. «Ora la sua cripta è testimone dello scorrere silenzioso di infinite lacrime di riconoscenza. Molti uomini messi alla prova dalla vita narrano prodigi sperimentati sulla propria carne o su quella di persone care», scrive fra Ángel.
La fama di fra' Leopoldo si diffuse «a macchia d'olio, senza alcuna forma di propaganda». Il suo vicepostulatore dice che il frate «testimoniò il mistero di Cristo povero e crocifisso con l'esempio e la parola, al ritmo umile e orante della vita quotidiana».
Ogni anno sono oltre 800 mila i pellegrini che visitano ogni anno la sua tomba.