Le cifre: il 29.12.2009 il Maestro dell’Ordine fra Carlos Alfonso Azpiroz Costa ha indetto il capitolo generale elettivo dei domenicani, svoltosi a Roma al Salesianum dall’1 al 21 settembre 2010. Si è trattato del 290° capitolo generale con 126 capitolari (dopo l’elezione del Maestro dell’Ordine sono divenuti 127); 6 invitati (un fratello cooperatore, due monache, due suore, una rappresentante del laicato); 6 frati membri del consiglio generalizio; interpreti, traduttori, segretari, qualche giovane frate per l’aiuto in diverse mansioni. Poiché sto dando i numeri, do anche quelli economici: è costato € 415.391,74.
Il sito della curia generalizia ha mantenuto una finestra giornaliera aperta ancora consultabile: http://curia.op.org/roma2010.


Che cosa è un capitolo generale domenicano?


Il capitolo generale è un’assemblea che ha la più alta autorità e nella quale i frati si riuniscono per definire ciò che riguarda il bene dell’Ordine e, quando è il caso, eleggerne il Maestro. Fin dalle origini i capitoli generali furono di due tipi ad alternanza: dei provinciali e dei definitori, cioè degli uomini di governo e dei frati che non erano uomini di governo. Ciò creava una sorta di bicameralismo, attivo ancora oggi e consistente nel fatto che le modifiche della legislazione devono essere approvate da tre capitoli, dunque da persone diverse. Il bicameralismo prevede addirittura che il capitolo dei definitori sia costituito da frati che non sono superiori ordinari, rappresentano la “base” e ai quali viene affidato un potere capace di revocare leggi e decisioni di un precedente capitolo elettivo.
Gli atti dei capitoli non esigono l’approvazione della Santa Sede, così come il Maestro dell’Ordine eletto non ha bisogno di essere confermato da un’autorità superiore. Sono privilegi dei quali i domenicani vanno fieri e che suscitano una certa invidia, anche se chi ci vive dentro ne vede realisticamente i limiti legati a ogni struttura di questo mondo e alla concupiscenza che insidia tutte le relazioni umane.
Il capitolo elettivo prevede la presenza dei provinciali e dei definitori, nonché, in alcuni casi, di soci dei definitori per le province molto grandi. Un tempo il Maestro dell’Ordine era a vita. Oggi dura per la successione di tre capitoli generali: elettivo, dei definitori, dei provinciali. Poiché l’intervallo tra un capitolo e l’altro è di 3 anni, il Maestro resta in carica 9 anni.


Eletto il nuovo Maestro dell’Ordine

Il capitolo di Roma era elettivo e la domenica 5 settembre 2010 ha eletto a Maestro dell’Ordine fra Bruno Cadoré, 56 anni, 86° successore di san Domenico.
Bruno Cadoré era provinciale della provincia di Francia (Parigi) da otto anni. Dottore in medicina al momento dell’ingresso in noviziato, ha trascorso due anni a Haiti. È stato incaricato della formazione a Lille. Dottore in teologia, ha insegnato etica biomedica all’Università Cattolica di Lilla, di cui ha diretto il centro di etica medica sino all’elezione a priore provinciale nel 2002. Durante il suo provincialato la provincia ha accolto numerosi giovani frati e Bruno Cadoré ha promosso lo sviluppo della vita domenicana in Scandinavia, Congo, Il Cairo, Irak, luoghi animati da una presenza di frati facenti capo alla provincia di Francia.
Poiché è preferibile lasciare intorno al Maestro dell’Ordine da poco eletto molta carta bianca, cioè non descriverne le tendenze, le scelte, il modo con cui attuerà il programma del capitolo ecc., mi limito a tre particolari curiosi e minori: fra Bruno fuma sigarette che si confeziona con tabacco sciolto come ai tempi austeri del dopoguerra; è parco nella parola sia scritta che orale; una delle parole che pronuncia di più è travailler/lavorare, financo nel saluto a un nuovo capitolare, venuto a “travailler avec nous / a lavorare con noi”.


I principali contenuti del capitolo

Iniziato il capitolo, sono state costituite alcune commissioni, che hanno elaborato testi – conseguenti anche a relazioni e richieste pervenute – i quali poi sono stati votati nell’assemblea con un rigoroso meccanismo.
Tralasciando gli aspetti più tecnici della legislazione (Commissione delle Costituzioni) e sorvolando sul testo della Commissione per l’Economia – non senza però averne ritenuto la sensibilità a erogare fondi di denaro per la vita intellettuale e per progetti apostolici nelle regioni depresse e non senza aver notato la reiterata raccomandazione a che i giovani frati ricevano una competenza tecnica anche in questo settore – si può cominciare con il Ministero della Parola, la missione specifica dell’Ordine, per cui tutto ciò che non vi è orientato «perde la sua ispirazione e il suo carattere domenicano». La predicazione nasce in una comunità ed è un evento di grazia rivolto ai poveri; suppone l’ascolto del Vangelo ma anche del mondo e della società postmoderna; avviene in collaborazione con suore e laici – la “famiglia domenicana”, una realtà molto viva in certi paesi – e tutti sono invitati a costituire scuole aperte a tutti per apprendere a predicare la Parola in tutte le forme, «liturgiche o non liturgiche»: qui dopo un acceso dibattito si è aggiunto «ognuno secondo la propria vocazione» per evitare di attribuire ai non ordinati una presa di parola sacramentale/presidenziale. La predicazione poi non è separabile dall’attenzione al dialogo interreligioso e dalle questioni di Giustizia e Pace.
La Commissione De Sequela Christi ha ricordato che le risposte esigite dalle nuove realtà modificano la vita interna. Ha insistito sull’esigenza di un progetto o piano comunitario allo scopo di rendersi conto delle risorse e delle debolezze, di essere più creativi, di riconoscere e sostenere i carismi di ognuno, ma anche di escludere «ogni elemento di privatizzazione, di relativismo, di clericalizzazione».
La Commissione sullo Studio in ogni capitolo deve fare i conti con le difficoltà di quelle istituzioni (università o scuole) sostenute direttamente dall’Ordine. Ricordo l’invito a perseguire la causa di canonizzazione di fr. Marie-Joseph Lagrange, fondatore della Scuola biblica di Gerusalemme, quale modello di una ricerca teologica che non si accontenta di ripetere le risposte del passato.
La Commissione sulla Formazione ha ribadito che «lo scopo della nostra formazione è di formare dei predicatori domenicani», per cui prima di accettare i candidati si deve verificare se sono adatti alla nostra forma tipica di vita consacrata, non richiedendo loro motivazioni perfette, ma capacità di crescere e di integrarsi. C’è poi una formazione che continua per tutta la vita con «l’acquisizione della maturità, la pratica della preghiera, la fedeltà ai voti, la vita comune e lo studio continuo».
La Commissione sul Governo è stato il punto forte del capitolo, in quanto ha richiesto l’avvio di cambiamenti legislativi – da confermarsi nei prossimi due capitoli – sulle piccole “entità” dell’Ordine: i vicariati. Negli anni ’80 queste piccole entità, spesso in paesi di missione, furono riconosciute significative e dunque dotate di rappresentanza ai capitoli. Ora si è andati verso una semplificazione e una soglia numerica al di sotto della quale un vicariato non può esistere. Il presupposto è che né la vita né la predicazione domenicana possono ridursi a piccoli gruppi, ma devono esprimersi in comunità ben costituite, capaci di assicurare una buona liturgia, un tempo di studio, scambi comunitari ampi e una progettualità conseguente. O per lo meno le piccole comunità devono restare “in rete” con comunità di questo tipo.
Infine il Prologo. Dal postconcilio in avanti, si è sentita l’esigenza di riformulare problematiche e riflessioni: così le sezioni legislative erano precedute da un prologo. Nei recentissimi anni è cresciuta l’insofferenza verso queste tante (troppe?) parole, per cui il capitolo attuale ha un solo Prologo iniziale che riprende gli argomenti unificandoli sotto la categoria della predicazione come «codice genetico» dell’Ordine. Ciò che più ritorna sono i concetti di: aspirazione fondamentale ad annunciare esplicitamente il Vangelo; predicazione di grazia, di misericordia e compassione; buon uso della “Parola” e delle “parole”; aiuto mutuo per ascoltare i clamori dell’umanità e del mondo; esigenza di rompere le barriere del pensiero unico; esempio di san Domenico che ascoltava la parola di Dio, gli orientamenti della Chiesa e la cultura nascente; collegamento tra vita interna, obbedienza e responsabilità per la missione; infine la gratitudine ai frati anziani che attraverso la testimonianza restano fedeli a quanto hanno predicato. Invece il concetto di predicazione non è trattato con un discorso tecnico ed esatto, ma piuttosto con il genere “epidittico”, il quale, più che a chiarire i concetti, mira a suscitare l’interesse e l’apprezzamento in vista di un assenso.

La trasparenza dell’implicito e del sommerso

C’è qualcosa che dai testi non apparirà, perché bisognerebbe conoscere i numeri dei voti e... le conversazioni di tavola e di corridoio.
Anzitutto il fatto che talvolta non si è raggiunta una sintesi, ma un accostamento. Così senza batter ciglio si è approvato un testo che esorta a sottolineare il valore della clausura, del silenzio, dell’abito e delle opere di penitenza; ma insieme i superiori devono sostenere i frati che a rischio della vita stanno dalla parte degli esclusi e tutti dobbiamo “ascoltare il mondo”. Ora, se tutto può comporsi in una sintesi armonica dal punto di vista teorico, dal punto di vista pratico si presuppone che i frati che patrocinano le diverse istanze abbiamo anche diverse esperienze di vita e diverse accentuazioni nella vita stessa domenicana.
Qualche tensione si è verificata anche tra frati di mentalità “romana” e quelli di mentalità “mondiale”, tra chi si accontentava di riferirsi al CIC e al Magistero e chi, in nome dell’Ordine della Verità, tendeva ad orizzonti più ampi. Così come l’ascoltare/amare il mondo – formule molto ribadite – non è stato sufficientemente bilanciato dal contestare la mondanità a livello sia etico che intellettuale nel senso del magistero di Benedetto XVI (cf l’ultima parte del discorso alla curia del 22.12.2005).
Poiché i domenicani non vivono sulla luna, anche tra di loro c’è chi vuole ritornare al latino e al vecchio rito domenicano. Istanze di revisione di elementi in tal senso – alla luce del Vaticano II – non sono mancate ma, forse a causa di formulazioni difettose, non hanno ottenuto risposta. Eppure il problema c’è ed è un problema... dei giovani.
Già, la questione generazionale! Non affrontata nei testi, è emersa negli scambi colloquiali con due posizioni. Una quasi ufficiale: un passaggio generazionale c’è sempre stato, va gestito nella continuità e non si possono demonizzare i maturi/vecchi di oggi che erano giovani nel ’68. L’altra più sommessa ma più radicale: non si possono mettere sullo stesso piano i giovani di oggi e quelli del postconcilio, perché allora ci furono abbandoni di elementi di tradizione, non ascolto del Magistero, infrazioni alla disciplina della Chiesa ecc., che nei giovani di oggi si riscontrano di meno.
In linea con le osservazioni di cui sopra, nelle votazioni talvolta è emersa una minoranza di una certa consistenza, percepibile solo da chi ha annotato i risultati e non dai testi che resteranno quelli che erano. Ad esempio, la proposta di una memoria elogiativa per E. Schillebeeckx è stata senz’altro accolta, ma qui si è appunto manifestata una minoranza che non era dei soliti 4 o 5 voti. E allora con il cambio generazionale come saranno i prossimi capitoli?