“Religiose Benedettine. Testimoni di speranza”. Su questo tema, dal 9 al 15 settembre si sono svolti a Roma (presso la comunità di Sant’Anselmo all’Aventino) i lavori del 6° Simposio internazionale della Cib (Communio Internationalis Benedictinarum). Presenti oltre 100 delegate provenienti dall’Europa, Africa e America; a supervisionare i lavori l’Abate primate Notker Wolf che tra l’altro ha anche presieduto una solenne celebrazione eucaristica il 14 settembre, a Norcia, nella Basilica di S. Benedetto durante il pellegrinaggio con la comunità.
Tra i temi trattati: la vita di Maria la madre di Dio ed il ruolo del monachesimo femminile benedettino nella società contemporanea. In proposito l’Abate primate Notker Wolf ha notato che le suore benedettine «testimoniano in modo particolare all’interno della Chiesa l'elemento contemplativo e il servizio ai poveri. Il loro numero è doppio rispetto a quello dei monaci, ma restano più nascoste che i monaci. Insieme cerchiamo di portare avanti il prezioso patrimonio del nostro padre san Benedetto, proclamato Patrono d'Europa, ma che nel futuro sull'esempio di Abramo potrà essere chiamato Patrono di tanti popoli».
La vita di Maria, la madre di Dio, ripercorsa alla luce della speranza, ha caratterizzato la dinamica dell’intervento di suor Judith Ann Heble, moderatrice della Cib. «È cosa del tutto appropriata – ha osservato in apertura suor Heble – che questo simposio Cib si apra con la festa della Natività di Maria. È anche il giorno del 51° anniversario della mia entrata in comunità. Possa Maria, donna di speranza, accompagnarci durante questi giorni del Simposio». La suora ha raccontato la storia di Maria «come risultato175 delle sue riflessioni su alcuni testi delle Scritture, in particolare il Vangelo di Luca. «Sarà – ha chiarito la religiosa – una specie di midrash sulla vita di Maria. Midrash, ci insegna il giudaismo, è ciò che il cuore sa che si cela fra le righe della Scrittura e che la Scrittura non registra e propone alla mente: la paura di Noè, la confusione di Abramo, la gioia di Miriam per il salvataggio di Mosè, l’ansia di Giuseppe, la determinazione di Maria. Tutto questo chiaramente sta nel cuore umano, una verità per la quale non c’è bisogno di dimostrazione». E prestando idealmente la voce a Maria ha concluso: «Mie care religiose benedettine, siate testimoni di speranza dovunque siete».

La spiritualità benedettina

Sul tema della spiritualità benedettina si è soffermata invece suor Maricarmen Bracamontes, esponente del gruppo di riflessione teologica per la Conferenza messicana delle superiore maggiori e consigliera teologica della Conferenza latino-americana e dei Caraibi delle superiore religiose. «Il nostro carisma – ha spiegato la suora – non è marginale alle sfide e ai problemi del nostro tempo. Benedetto e Scolastica udirono il grido di coloro che anelavano a costruire un mondo in cui la pace fosse il frutto della giustizia nel riconoscimento e nel rispetto della dignità della persona. Quelli di noi che, soltanto per grazia, sono stati chiamati a partecipare al medesimo carisma della divina Ruah, continuano a udire quel grido nel nostro tempo». Per suor Bracamontes, «è motivo di grande speranza ricordare che la vita benedettina, dalle sue origini, ha offerto un invito a organizzare una vita di comunità in sistemi che intendono superare le discriminazioni e le disuguaglianze fra le persone che ne fanno parte». «Quando abbiamo fatto del nostro meglio per essere benedettini, abbiamo praticato forme di vita che hanno costruito un ambiente di uguaglianza e di integrazione», ha chiarito. «Oggi – ha aggiunto la suora – troviamo congregazioni, istituti, ordini e associazioni di volontariato che hanno in comune i loro sforzi della ricerca di Dio con i piedi fermi a terra, le orecchie dei loro cuori attenti a ciò che accade attorno a loro e una chiara visione dei loro ultimi estremi valori. Sono le comunità che cercano di trovare strade concrete per vivere amare e servire ciò che testimonierà l’umanizzazione di tutte le vite con cui entrano in contatto». Questa ricerca dinamica è «indispensabile in questo tempo di cambiamento storico che fa ricercare nuove vie per la percezione della realtà. Alcune comunità rischiano per cercare nuovi modi di vivere il loro carisma, altre scelgono di ricorrere a ciò che è già stato tentato e trovato vero». Certo non si può «ignorare semplicemente l’impatto di questi tempi in trasformazione».
Suor Bracamontes ha poi ricordato due iniziali risposte presentate dalle comunità religiose alle sfide del concilio Vaticano II: «Una di esse accentua la dimensione psicologica delle persone nella loro ricerca per lo sviluppo e la maturità personale. L’altra ha usato un approccio più sociologico e ha risposto alle condizioni allarmanti di povertà e di miseria in cui vive la maggioranza della gente. Col passar del tempo abbiamo visto che queste due dimensioni sono interrelate e intrecciate con una visione che include anche il cosmo». La via benedettina – ha notato quindi la religiosa – «conduce a un processo di integrazione che abbraccia le varie dimensioni della coscienza umana: cognitiva (la mente), affettiva (il cuore), etica, morale (la volontà e tutte le sue potenzialità); religiosa (l’anima). Questa integrazione ci rende possibile amare in un modo unificato ed è la condizione per avanzare sulla via della conversione. L’officina dove dobbiamo lavorare molto e fedelmente in tutte queste opere è il recinto del monastero e la stabilità nella comunità, come recita un passaggio della Regola». Pertanto, secondo suor Bracamontes, la dinamica monastica incoraggia i processi di integrazione in coloro che vivono nel “monastero”, che «è il luogo dove noi chiediamo a Dio con le più insistenti preghiere di portare a compimento il lavoro divino sulle nostre vite: che tutti siano uno. Se perseveriamo, cercando di vivere nell’esperienza dell’amore incondizionato di Dio, gradualmente riusciamo a fare in modo di integrare tutte le dimensioni del nostro essere e così diveniamo unificati in noi e in mezzo alla diversità e pluralità che ci caratterizza. Il risultato di tutto ciò è che viviamo con trasparenza e coerenza, che non separiamo i nostri giudizi dai nostri sentimenti o la nostra condotta dal nostro credere. In questo modo la nostra integrità e responsabilità sociale e personale non ci permetterà di dire una cosa e farne un’altra o stabilirci in una vita di contraddizioni e incoerenze».
In una successiva intervista all’agenzia di notizie Zenit suor Bracamontes, a proposito della situazione generale della Chiesa, ha notato come «in alcuni settori della Chiesa si sia scivolati indietro nel dialogo con i segni dei tempi che fu tanto incoraggiato dal concilio Vaticano II. Quei segni hanno rivelato che per secoli, sia nella società che nella Chiesa, gli sforzi furono fatti per contenere la diversità e la pluralità così caratteristiche dell’umanità. Oggi molti gruppi umani, con diverse visioni della realtà, stanno venendo alla ribalta e chiedono di essere riconosciuti, rispettati e integrati. I nuovi metodi di comprensione e di scoperta dell’umanità rendono sorpassati i vecchi sistemi di relazione basati sul dominio, la sottomissione e l’emarginazione. Quei sistemi consideravano alcuni esseri umani superiori agli altri basandosi sulla razza, il genere, la classe sociale, l’età, l’ideologia, la religione ecc. Di fronte a una più chiara consapevolezza della dignità comune di tutti gli esseri umani, l’assenza di dialogo fra coloro che sono aperti ai segni dei tempi e quelli che continuano ad aderire a visioni del passato e a chiudere le loro menti e il loro cuore al cambiamento storico che stiamo vivendo reclama la speranza. Da una prospettiva di fede, siamo consapevoli e convinti che tutta l’umanità, nelle sue differenze, sia stata creata con uguale dignità a immagine e somiglianza divina. Siamo figli di Dio e sorelle e fratelli fra di noi in Cristo, che è la nostra pace e in lui ogni discriminazione ed emarginazione è superata. Da questa consapevolezza udiamo la chiamata e ci apriamo con saggezza e maturità al nostro mondo col suo urgente bisogno di riconoscere la diversità, di promuovere l’integrazione e incoraggiare il dialogo e la partecipazione. Emergono dunque molte sfide”.

Una rinnovata comunione

Per quanto riguarda la realtà specifica italiana, come osservato da suor Gian Paola Pederzoli, delegata italiana, si nota un progressivo calo numerico, cui rispondere con diverse iniziative messe in atto in questi ultimi tempi. Al primo posto un nuovo spirito di comunione e collaborazione fra i monasteri e un rapporto di avvicinamento fra i monasteri, anche fra i maschili e i femminili. Da notare, come la stessa suora ha rilevato nei mesi scorsi in uno degli appuntamenti di lavoro in Croazia, che anche di fronte al calo numerico generalizzato ci sono tuttavia sia una ripresa vocazionale in alcune comunità sia una crescita di adesione ai diversi momenti formativi proposti a livello locale. Sul piano organizzativo interno, poi, la segreteria della Cib passa a Roma presso il Monastero S. Antonio delle Camaldolesi e questo favorirà ulteriormente il rapporto fra le comunità e fra il mondo monastico femminile e maschile.
Per quanto riguarda la storia recente della Cib, è dal 2001 che, al termine di un processo di consultazione tra tutti i monasteri di benedettine nel mondo, si è arrivati alla decisione di usare il nome Communio Internationalis Benedictinarum per designare tutte le comunità femminili benedettine riconosciute come tali dall’Abate Primate ed elencate nel Catalogus Monasteriorum O.S.B. Questo fatto segna il punto d’arrivo di un processo avviato al tempo del concilio Vaticano secondo, come pure l’inizio di una nuova era per le benedettine. Tra 1886 e 1893 il papa Leone XIII iniziò il cammino verso la costituzione della Confederazione Benedettina, una struttura atta a creare un collegamento delle varie congregazioni benedettine maschili, che esistevano in quell’epoca, con l’Abate Primate, a capo della comunità a S. Anselmo in Roma, come figura unificante. Lo scopo della Confederazione era di creare e consolidare contatti internazionali tra i monasteri benedettini maschili, con l’intenzione di approfondire la tradizione comune del monachesimo occidentale e di preparare monaci tramite studi superiori al servizio nella Chiesa nel XX secolo. Per le monache benedettine non esisteva un analogo organismo. Col passare del tempo monasteri e congregazioni femminili furono ammesse per “associazione” alla Confederazione benedettina, ma senza un’appartenenza a pieno titolo. La natura della loro partecipazione alla Confederazione non offriva alle benedettine l’opportunità di aiutarsi reciprocamente tramite incontri periodici e contatti internazionali.