Un viaggio non di routine, quello di Benedetto XVI nel Regno Unito, svoltosi
tra il 16 e il 19 settembre scorsi, per più di un motivo largamente atteso.
Certo, lo si ripete spesso, riferendosi a un evento del genere, ma questa volta
è stato più vero del solito. La prima visita di stato, si è detto a ripetizione,
dopo la rottura avvenuta per opera del re Enrico VIII nel 1534, anche per
distinguerla dal carattere pastorale di quella del suo predecessore, nel 1982.
Dominata, emblematicamente, dalla potente figura del cardinale John Henry
Newman, beatificato nell’occasione dopo un lungo iter canonico: un personaggio
che è, ha detto padre Mark Langham, incaricato dei rapporti con gli anglicani
del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, «patrimonio non soltanto dei
cattolici ma di tutta la società, nella tradizione intellettuale e religiosa
d’Inghilterra e Gran Bretagna», «segno della santità, dell’intellettualità, del
rapporto tra fede e ragione nella nostra cultura che tutti i cristiani potranno
apprezzare».
Ha ricordato le radici cristiane dell’Europa
Temi alti e complessi, affiorati a più riprese nell’intero corso
dell’itinerario, che però – purtroppo – i mass media nostrani hanno di fatto
ridotto a un’insistita serie di mea culpa per la (pur) tragica piaga della
pedofilia, inframezzati dalle notizie su un (improbabile, e poi di fatto
smentito) progetto islamico di attacco a Benedetto. È innegabile, peraltro, che
all’orizzonte del viaggio si profilassero non poche difficoltà: dalle
contestazioni di una parte della società britannica (fra gli altri, una
cinquantina di intellettuali assai in vista aveva inviato una lettera al
Guardian sostenendo che a Ratzinger non si dovesse concedere l’onore di una
visita di stato), alla ricorrente accusa di aver sottovalutato la questione
della pedofilia (su cui egli ha parlato senza reticenze, nell’omelia di
Westminster e non solo, citando le «immense sofferenze causate dall’abuso dei
bambini, specialmente nella Chiesa e da parte dei suoi ministri» ed esprimendo
“profondo dolore” insieme alla «speranza che il potere della grazia di Cristo,
il suo sacrificio di riconciliazione, porterà profonda guarigione e pace alle
loro vite»), fino ai complicati rapporti con gli anglicani alla luce della
costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, firmata il 4/11/2009 (che prevede
una struttura canonica e l'ordinariato personale per consentire l'inserimento
nella chiesa cattolica dei laici e del clero anglicani che lo desiderino,
preservando gli elementi distintivi del patrimonio spirituale e liturgico
anglicano).
Eppure – come ha notato Andrea Riccardi – per il pontefice era impossibile non
affrontare questo scoglio, per inverare la sua profonda convinzione di avere una
missione peculiare per l’occidente: comunicare il vangelo e dialogare con le
ragioni di questa civiltà in crisi, cercando di contrastare quella che considera
la sua deriva autodistruttiva. Anche se i cattolici qui non sono molti (cinque
milioni, e sempre più policromi per provenienza) e le spine tante, era dunque
indispensabile per lui recarsi oltremanica, perché tanta vicenda e tanta
socialità europee passano per quel Regno senza più impero, ma ancora crocevia
culturale e finanziario del mondo occidentale. In cui, da parecchio tempo, si
sta tentando di trovare una via sensata per vivere insieme in una società
diversificata e sempre più multiculturale/multireligiosa. Confronto cui
Ratzinger non si è sottratto, se – fin dal primo incontro con la regina
Elisabetta II, capo temporale della Chiesa d’Inghilterra – egli ha evidenziato
le radici cristiane della storia britannica, ma senza trascurare, lui tedesco di
una generazione che ha ben conosciuto il nazismo, di elogiare il coraggio con
cui il Regno Unito ha lottato, finendo per vincere, contro l’estremismo ateo del
folle progetto hitleriano.
Tornando poi nell’incontro con gli esponenti della società civile, del mondo
accademico, culturale e imprenditoriale, con il corpo diplomatico e con capi
religiosi nel Westminster Hall, sulla funzione della religione nel dibattito
politico: quella di «aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione
della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi». Un ruolo correttivo
che, tuttavia, «non è sempre bene accolto», anche se «il mondo della ragione e
il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo
religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di
entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà».
In tale contesto, il papa ha espresso la propria «preoccupazione di fronte alla
crescente marginalizzazione della religione, in particolare del cristianesimo,
che sta prendendo piede in alcuni ambienti, anche in nazioni che attribuiscono
alla tolleranza un grande valore», se «vi sono alcuni che sostengono che la
celebrazione pubblica di festività come il Natale – ha aggiunto – andrebbe
scoraggiata, secondo la discutibile convinzione che essa potrebbe in qualche
modo offendere coloro che appartengono ad altre religioni o a nessuna». Nel
compito “stimolante” di essere “una società moderna e multiculturale” c’è una
condizione, posta sotto forma di augurio: che la Gran Bretagna «possa mantenere
sempre il rispetto per quei valori tradizionali e per quelle espressioni
culturali che forme aggressive di secolarismo non stimano più, né tollerano
più». Insomma, «le profonde radici cristiane che sono tuttora presenti in ogni
strato della vita britannica» devono poter svilupparsi, perché sono una risorsa
decisiva, nell’interesse di tutti. Il nuovo premier David Cameron, in un
articolo firmato per la rivista cattolica Tablet interpretato come una risposta
ai discorsi papali, ha scritto che «la fede è una parte vitale del nostro
tessuto nazionale, e di questo siamo orgogliosi». Difficile negare che – pur fra
mille contraddizioni – God is back, Dio è tornato, nell’attuale società
post-secolare. E promette di non farsi scacciare con troppa facilità…
Il dialogo ecumenico
Per quanto riguarda il cammino ecumenico, con il viaggio di settembre è
proseguita la strategia di dialogo che, nonostante traiettorie diverse, le due
chiese coinvolte stanno sperimentando. Una visita fraterna: così un comunicato
congiunto delle chiese cattolica e anglicana definisce l’incontro avvenuto nel
corso del viaggio nel Regno Unito tra il papa e l’arcivescovo di Canterbury,
Rowan Williams. Che si è aperto con un messaggio ai vescovi anglicani e
cattolici per proseguire con un faccia a faccia privato, in cui sono state
menzionate «molte delle questioni che preoccupano sia gli anglicani sia i
cattolici romani». Secondo i due leader religiosi, occorre ribadire il messaggio
del vangelo «in un modo ragionato e convincente» in un’era di «profonda
trasformazione culturale e sociale». Entrambi hanno sottolineato «l’importanza
di migliorare le relazioni ecumeniche e di continuare il dialogo teologico»
davanti alle nuove sfide all’unità. Il dialogo va proseguito «sulla base del
concetto della Chiesa quale comunione locale e universale».
Si è parlato anche della «seria e difficile situazione dei cristiani in Medio
Oriente», con un appello a pregare per loro e a sostenere «la loro costante
testimonianza pacifica in Terra Santa». Ed è stata infine ribadita «l'esigenza
di promuovere un impegno coraggioso e generoso nel campo della giustizia e della
pace», particolarmente a favore dei poveri. Del resto, «pellegrino da Roma» per
«implorare il dono dell’unità tra i cristiani», si è definito il pontefice
presentandosi all’Abbazia di Westminster per la celebrazione ecumenica dei
vespri. «Questo nobile edificio – ha detto – ricorda la lunga storia
dell’Inghilterra, così profondamente segnata dalla predicazione del Vangelo e
dalla cultura cristiana dalla quale è nata. Vengo qui oggi come pellegrino da
Roma per pregare davanti alla tomba di Sant’Edoardo il confessore e unirmi a voi
nell’implorare il dono dell’unità tra i cristiani». Fino a spingersi a scorgere,
nel discorso domenicale, “profetici sviluppi positivi” nelle relazioni
anglocattoliche.
Una visita complessa ma positiva
L’impressione è che, conclusasi positivamente una visita tra le più complesse
del suo lustro abbondante di pontificato (0Il Papa conquista Londra” ha titolato
La stampa lunedì 20 settembre, data indubbiamente intrigante…), l’attuale
vescovo di Roma sia ormai riconosciuto – anche fuori dalla sua chiesa – un
riferimento spirituale non secondario per un’Europa spaesata, timorosa,
invecchiata, incapace di produrre segni di speranza nel futuro. Un viaggio in
cui l’atteso muro contro muro si è trasformato, nei giorni, in un caldo
abbraccio, con l’isola conquistata dalla forza tranquilla della sua
predicazione. Dei temi affrontati occorrerà riparlare più distesamente, perché
sono i temi con cui i cristiani sono chiamati a confrontarsi con la massima
parresìa, oggi, se intendono rimanere fedeli alle istanze evangeliche. Già il 20
aprile 2005, appena eletto successore di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI aveva
dichiarato che per ricostruire l’unità dei cristiani e fornire così una
testimonianza convincente all’esterno non bastano le manifestazioni di buoni
sentimenti, ma occorrono gesti concreti che sollecitino gli animi alla
conversione interiore, presupposto di ogni progresso reale sulla via
dell’ecumenismo. In questa chiave, possiamo augurarci che questa visita possa
essere letta, nel tempo, come uno di quei gesti concreti. Di cui il vecchio
continente, sospeso fra pulsioni laiciste e tentazioni xenofobe, mostra di avere
sempre più bisogno.