La Giornata Missionaria mondiale viene puntuale a ricordarci il compito di annunciare il vangelo della pace e della riconciliazione. Una missione che dovrebbe essere di tutto l’anno, non di una domenica … e di tutta la Chiesa, missionaria per sua natura, perché Gesù l’ha istituita come “sacramento universale della salvezza”, sacramento della comunione universale e della pace. Tradotto dal linguaggio teologico in termini comprensibili: i cristiani sono stati chiamati da Dio nella sua famiglia perché attraverso di loro Dio vuol chiamare anche gli altri a entrarci; sono stati amati da Dio per amare gli altri; sono stati riconciliati con lui per essere nel mondo segni e strumento di riconciliazione. Qui sta la radice della vocazione missionaria di ogni discepolo di Gesù e non solo di quelli che sono comunemente chiamati “missionari”.
 

Il pericolo che la Chiesa si chiuda su se stessa

Anche quest’anno in occasione della Giornata missionaria il papa ha indirizzato alla Chiesa il suo messaggio che questa volta ha come tema: La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione. Benedetto XVI ricorda alla Chiesa l’attualità e l’urgenza del mandato missionario che Gesù Cristo ha affidato ai Dodici, ma che riguarda di fatto tutti i battezzati. «La Chiesa quando riflette su se stessa si scopre missionaria», diceva Paolo VI. Ma il papa ricorda alla Chiesa che non può obbedire al mandato missionario di Cristo, se non entra in un cammino di «profonda conversione personale, comunitaria e pastorale» (Messaggio). In questi ultimi mesi, il papa, accorato per quello che sta succedendo nella Chiesa, non si stanca di chiamare alla conversione e alla purificazione. E tuttavia non vuole che la Chiesa si ripieghi su se stessa, sui suoi problemi interni ed esterni, legati alla disaffezione di molti che l’abbandonano, alla mancanza di clero, agli attacchi che vengono da fuori e più ancora da dentro la Chiesa: si pensi agli scandali di varia natura che il papa ha denunciato con una forza e un coraggio di cui nessuno lo credeva capace. Sarebbe un grosso errore se la Chiesa si lasciasse paralizzare da questi problemi fino a dimenticare la sua ragion d’essere, che è la missione verso il mondo.

La missione rinnova la Chiesa

Per questo l’invito che il papa rivolge alla Chiesa in occasione della Giornata missionaria mondiale è un invito provvidenziale che la rimette sulle strade della missione. “Prendi il largo e getta le reti”. La parola di Gesù a Pietro e ai Dodici è ancora attuale. La missione ad gentes stimola la Chiesa a ritrovare il fervore della sua vocazione e della sua missione, a riprendere il cammino con la parresia degli apostoli, che proprio dalla persecuzione e dalle difficoltà si sentivano proiettati con più forza e più coraggio sulle strade del mondo. In questo senso l’invito del papa ad annunciare il Vangelo a tutti i popoli porta le comunità diocesane e parrocchiali a mettere in atto «un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l’annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine» (Messaggio ).
Nel suo messaggio il papa richiama l’attualità della richiesta dei Greci che si erano rivolti a Filippo e ad Andrea : “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). Oggi tocca a noi dare una risposta a questa stessa richiesta che, anche nel 2010, pur formulata in modi diversi, sgorga dal cuore di tanti nostri fratelli e sorelle che aspirano a un mondo nuovo, più giusto, più solidale e più fraterno. Il bisogno della comunione è oggi vivo nel nostro mondo inquieto, segnato dalle possibilità di interconnessione e di relazioni ravvicinate grazie al fenomeno della globalizzazione, eppure così diviso e afflitto da tanti conflitti. «In una società multietnica, che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, dice il papa, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli» (Messaggio). «I nostri contemporanei ci chiedono non solo di parlare loro di Gesù, il grande riconciliatore, ma di farglielo vedere, di far cioè risplendere il suo Volto ovunque nel mondo a tutti, soprattutto «ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell’annuncio evangelico. Essi devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché lui è la Verità, perché hanno trovato in lui il senso, la verità per la loro vita» (Messaggio).

Continuare la missione senza scoraggiamenti



L’impegno missionario è ancora attuale e immenso, mentre la presenza numerica della Chiesa non permette di immaginare che potrà raggiungere tutti i cinque miliardi di persone che ancora non conoscono il Volto del loro Salvatore. Non solo le forze sono poche, ma l’impegno è immenso perché non si tratta solo di estendere geograficamente le frontiere della Chiesa, impresa già di per sé immensa, ma anche di penetrare nelle culture e sconvolgerle, come dice Paolo VI in Evangelii nuntiandi, con i criteri e i valori del Vangelo. Oggi non basta più l’annuncio del Vangelo, urge offrire un messaggio inculturato, tradotto cioè nelle molte culture del mondo. È il processo di inculturazione quello che mostra che l’evangelizzazione è veramente realizzata. I missionari sono pochi e non sembra che il loro numero sia destinato a crescere, i cristiani coscienti di questo compito missionario pure sono pochi e questa situazione investe una grande parte delle chiese di antica origine. Possiamo dire che le giovani chiese si trovano in una condizione migliore, ma nell’immediato non si vede come esse possano assumere la mole di impegni svolta finora dalle chiese d’Occidente. Sarà questa una ragione per scoraggiarci? No di certo.
Per Benedetto XVI la chiave della missione sta nel costruire una vera comunione ecclesiale. Per questo richiama la Chiesa alla sua natura sacramentale. Citando il Vaticano II dice che la Chiesa, è «in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). Missione della Chiesa è appunto essere nel mondo come un segno di quella comunione a cui, spesso senza sapere dove orientarsi per raggiungerla e realizzarla, tende il genere umano. Missione della Chiesa è di contribuire alla nascita di un mondo fraterno e solidale secondo il progetto di Dio, cioè il regno di Dio che Gesù è venuto a inaugurare e di cui la Chiesa è «il germe e l’inizio» (LG 5). La Chiesa è un anticipo e un esempio di quella comunione che è un riflesso della comunione trinitaria, che Gesù ci ha comunicato con il dono del suo Spirito e che la Chiesa da sempre annuncia (cf. 1Gv 1,3), con la testimonianza della vita e, appena è possibile, anche con la parola. Il Vangelo della pace e della comunione tende per stabilire una nuova relazione tra l’umanità e Dio, una relazione che è carità perché “Dio è carità”. Nello stesso tempo essa insegna che «la legge fondamentale dell’umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, (cioè dello sviluppo integrale del mondo, nda) è il nuovo comandamento dell’amore … Coloro che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani» ( GS 38 citato dal messaggio del papa).

Insieme a tutti i credenti


C’è oggi una nuova forma della missione che la Chiesa deve assumere. Oltre ad essere testimone della comunione autentica che viene da Dio, oltre a annunciare il Vangelo e a costruire una comunità cristiana missionaria, essa deve cercare di unire le sue forze a quelle delle altre religioni per costruire il mondo nuovo, ricco di umanità, solidarietà, fraternità, giustizia e carità e di pace. La nuova frontiera della missione è l’incontro e il dialogo con le altre religioni, divenuto possibile oltre che urgente, per il fenomeno del pluralismo culturale che ci raggiunge tutti sulla porta di casa. Il dialogo interreligioso non deve essere guardato con paura come un pericolo di indifferentismo. Certamente può esserlo e lo sarà nella misura in cui noi cristiani non saremo profondamente convinti della verità della nostra religione e non saremo profondamente innamorati di Gesù Cristo. Ma il dialogo non intende diluire la verità cristiana per poterla offrire a tutti. Il dialogo è invece l’occasione per approfondire la verità della nostra fede e viverla in modo più convinto, la strada per professarla “con dolcezza, rispetto e retta coscienza”(1Pt 3,16), come insegnava qualche anno fa il card. Martini in un convegno sulla Bibbia: «L’incontro tra le grandi religioni non deve portare né a conflitti né a steccati, ma piuttosto deve spingere uomini e donne sinceramente religiosi a comprendere i tesori degli altri e a far comprendere i propri (... affrontando) una delle più grandi sfide del nostro tempo per vivere insieme come diversi, senza distruggersi a vicenda e anche senza ignorarsi, rispettandosi e stimolandosi mutuamente per una maggiore autenticità di vita» (La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa, Roma, sett. 2005).

Un impegno che riguarda tutti

La responsabilità di incontrare i nostri fratelli e sorelle per offrire loro la nostra testimonianza cristiana, per proclamare la nostra fede in Gesù Cristo Figlio di Dio e nostro Salvatore, e per aprire un dialogo con tutti i cercatori di Dio e anche con gli uomini di buona volontà impegnati per il bene dell’umanità, incombe a ciascun cristiano, a ogni ministro e a ogni religioso o religiosa, ovunque essi siano. Questa responsabilità non si può delegare a nessuno. La missione sgorga dal nostro essere cristiani, dal fatto che conosciamo la sorgente di quella speranza di cui il mondo ha oggi estremo bisogno. È una missione deriva dal battesimo e dalla partecipazione all’Eucaristia, sacramento della comunione ecclesiale. Perciò il papa ricorda che è dalla celebrazione eucaristica che la Chiesa riceve la missione di portare le molte culture, che oggi si trovano insieme e spesso confliggono, a integrarsi in un «modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace» (Messaggio). E conclude: «Non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in lui». Per questo l’Eucaristia non è solo “fonte e culmine” della vita della Chiesa, ma anche della sua missione: una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria, una comunità che rivela cioè al mondo quel Volto che illumina la vita di ogni uomo e donna e permette loro di costruire un mondo nuovo, nella giustizia e nella pace.