Il 25 settembre scorso, nel Santuario romano della Madonna del Divino Amore,
Chiara Luce Badano, morta il 7 ottobre 1990, a 18 anni, è stata proclamata
beata. L’iter per la beatificazione era cominciato nel 1999. Il 19 dicembre 2009
era stato promulgato il decreto pontificio riguardante il miracolo, attribuito
alla sua intercessione: si tratta della guarigione improvvisa e scientificamente
inspiegabile di un ragazzo di Trieste affetto da una gravissima forma di
meningite fulminante, al quale i medici gli avevano dato solo 48 ore di vita.
Il nome “Chiara Luce” le era stato dato da Chiara Lubich, fondatrice e
presidente del Movimento dei Focolari, nel luglio 1990. In risposta a una sua
lettera, le aveva scritto: «Grazie anche della tua foto. Il tuo viso così
luminoso dice il tuo amore per Gesù… “Chiara Luce” è il nome che ho pensato per
te».
Nel marzo 2000, a conclusione della fase diocesana del processo di
canonizzazione, Chiara Lubich così si rivolgeva al Movimento dei Focolari nel
mondo: «Quanta luce in questa nostra Chiara! La si legge sul suo volto, nelle
sue parole, nelle sue lettere, nella sua vita tutta protesa ad amare
concretamente tanti! È modello e testimone per giovani e anziani: ha saputo
trasformare la sua “passione” in un canto nuziale!».
L’attuale presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, così annuncia al
Movimento nel mondo gli eventi collegati alla beatificazione: «Vogliamo cogliere
questa occasione per diffondere più al largo possibile, particolarmente tra i
giovani, il messaggio che Chiara Luce ci lascia. La prima del Movimento a
raggiungere questo traguardo sulla via della santità, ci incoraggia a credere
alla logica del Vangelo, del chicco di grano caduto in terra che muore e porta
molto frutto. Il suo esempio luminoso ci aiuterà ad annunciare al mondo che Dio
è Amore!».
Il vescovo Livio Maritano, promotore della causa di beatificazione, afferma: «Mi
è parso che la sua testimonianza fosse significativa in particolare per i
giovani. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare i giovani a
trovare un orientamento, uno scopo, a superare insicurezze e solitudine, i loro
enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte, a tutte le loro
inquietudini. È sorprendente questa testimonianza di fede, di fortezza da parte
di una giovane di oggi».
Era nata dopo una lunga attesa
A Sassello, ridente paese dell'Appennino ligure in provincia di Savona e
appartenente alla diocesi di Acqui, il 29 ottobre 1971 nasce Chiara Badano,
figlia di Ruggero, camionista, e di Maria Teresa Caviglia, che lascia il proprio
impiego in una fabbrica di amaretti alla nascita della figlia, avvenuta dopo una
lunga attesa di undici anni. Il suo arrivo viene ritenuto una grazia della
Madonna delle Rocche, alla quale il papà era ricorso in preghiera umile e
fiduciosa. Chiara di nome e di fatto, con occhi limpidi e grandi, dal sorriso
dolce e comunicativo, intelligente e volitiva, vivace, allegra e sportiva, viene
educata dalla mamma – attraverso le parabole del Vangelo – a parlare con Gesù e
a dirgli «sempre sì». È sana, ama la natura e il gioco, ma si distingue fin da
piccola per l'amore verso gli «ultimi»: per loro ha tante attenzioni ed è sempre
pronta ad aiutarli, rinunciando spesso a momenti di svago. Fin dalla scuola
dell‘infanzia versa i suoi risparmi in una piccola scatola per i suoi
«negretti»: un giorno fu molto colpita dalle diapositive che mostravano la
povertà del Terzo Mondo. Da allora sognerà, poi, di partire per l'Africa come
medico per curare quei bambini. Il disegno di Dio su di lei le si svelerà a poco
a poco.
Serena e forte
Dai suoi quaderni dei primi anni della scuola primaria traspare la gioia e lo
stupore nello scoprire la vita. Nel giorno della prima comunione, Chiara Luce
riceve in dono il libro dei Vangeli. Lo chiamerà un «magnifico libro» e sarà per
lei «uno straordinario messaggio»; dirà: «Come per me è facile imparare
l'alfabeto, così deve esserlo anche vivere il Vangelo!».
Incontra il movimento dei Focolari a un raduno del 1980 e partecipa con i
genitori al Familyfest 1981 a Roma. A 9 anni diventa una "gen 3", terza
generazione del movimento dei Focolari , occupandosi di bambini e anziani.
Terminata la scuola media a Sassello, Chiara si trasferisce a Savona dove
frequenta il liceo classico. A sedici anni, durante una partita a tennis,
avverte i primi dolori a una spalla: callo osseo la prima diagnosi; osteosarcoma
dopo analisi più approfondite. Appresa la diagnosi, Chiara non piange, non si
ribella: subito rimane assorta in silenzio, ma “dopo soli 25 minuti” dalle sue
labbra esce il sì alla volontà di Dio. Ripeterà spesso: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo
voglio anch'io». Non perde il suo luminoso sorriso. Dona fatiche e sofferenze
per la Chiesa, i giovani, i non credenti, il Movimento, le missioni, rimanendo
serena e forte, convinta che «il dolore abbracciato rende liberi». Ripete: «Non
ho più niente, ma ho ancora il cuore e con quello posso sempre amare».
Inutili interventi alla spina dorsale, chemioterapia, spasmi, paralisi alle
gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe lucidità. Si informa di tutto, non
perde mai il suo abituale sorriso. Anche i medici, alcuni non praticanti,
rimangono colpiti dalla pace che diffonde, e alcuni si riavvicinano a Dio. Ancor
oggi la ricordano e la invocano.
“Gesù mi smacchia con la varechina”
La sua camera, in ospedale a Torino poi a casa, diventa una piccola chiesa,
luogo di incontro e di apostolato: «L’importante è fare la volontà di Dio... è
stare al suo gioco... Un altro mondo mi attende... Mi sento avvolta in uno
splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela... Mi piaceva tanto andare in
bicicletta e Dio mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le ali...»
Alla mamma che le chiede se soffre molto, risponde: «Gesù mi smacchia con la
varechina anche i puntini neri e la varechina brucia. Così quando arriverò in
Paradiso sarò bianca come la neve».
Chiara Luce è convinta dell'amore di Dio nei suoi riguardi. Afferma, infatti:
«Dio mi ama immensamente», e lo riconferma con forza, anche quando è addolorata:
«Eppure è vero: Dio mi vuole bene!». Dopo una notte molto travagliata giungerà a
dire: «Soffrivo molto, ma la mia anima cantava…».
Gli amici che vanno a farle visita, tornano a casa confortati dal suo esempio.
Poco prima di morire Chiara confiderà: «...Voi non potete immaginare qual è ora
il mio rapporto con Gesù... Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più
grande. Forse potrei restare su questo letto per anni, non lo so. A me interessa
solo la volontà dì Dio, fare bene quella nell'attimo presente: stare al gioco di
Dio». E ancora: «Ero troppo assorbita da tante ambizioni e progetti. Ora mi
sembrano cose insignificanti, futili e passeggere… Se adesso mi chiedessero se
voglio camminare (l'intervento la rese paralizzata), direi di no, perché così
sono più vicina a Gesù».
Chiara si aiuta a vivere bene il cristianesimo, con la partecipazione quotidiana
alla Messa; con la lettura della parola di Dio e con la meditazione. Spesso
riflette sulle parole di Chiara Lubich: «Sono santa, se sono santa subito».
La morte come festa di nozze
Alla mamma, preoccupata nella previsione di rimanere senza di lei, continua a
ripetere: «Fídati di Dio, poi hai fatto tutto; …quando io non ci sarò più, segui
Dio e troverai la forza per andare avanti».
A chi va a trovarla esprime i suoi ideali, mettendo gli altri sempre al primo
posto.
Il male avanza e i dolori aumentano. Tuttavia non un lamento, soltanto poche
parole: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch'io».
Nonostante la malattia, Chiara continua a seguire le attività dei focolarini:
dona tutti i suoi risparmi a un amico in partenza per una missione nel Benin e
fa lavoretti da mettere in vendita per beneficenza. Trascorre gli ultimi mesi a
letto nella sua casa di Sassello insieme ai genitori, rimanendo in contatto con
il movimento focolarino tramite il telefono e continuando a studiare con lezioni
private.
Nell'agosto del 1990, Chiara prepara nei minimi dettagli il suo funerale
considerandolo una festa di nozze. Il 10 settembre manda un saluto a tutti i
membri della comunità focolarina, registrando un'audiocassetta e negli ultimi
giorni di vita manda un biglietto agli amici di Sassello.
Poi si prepara all'incontro: «È lo Sposo che viene a trovarmi», e sceglie
l'abito da sposa, i canti e le preghiere per la “sua” Messa; il rito dovrà
essere una «festa», dove «nessuno dovrà piangere!».
Ricevendo per l'ultima volta Gesù Eucaristia appare immersa in Lui e supplica
che le venga recitata la preghiera: «Vieni, Spirito Santo, manda a noi dal Cielo
un raggio della tua luce».
Soprannominata "Luce" dalla Lubich, con la quale ha un intenso e filiale
rapporto epistolare fin da bambina, ora è veramente Luce. Un particolare
pensiero va alla gioventù: «...I giovani sono il futuro. Io non posso più
correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. I giovani
hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene!».
Non ha paura di morire. Aveva detto alla mamma: «Non chiedo più a Gesù di venire
a prendermi per portarmi in Paradiso, perché voglio ancora offrirgli il mio
dolore, per dividere con lui ancora per un po' la croce».
La sua figura: una scia di luce
E lo «Sposo viene a prenderla» all'alba del 7 ottobre 1990, dopo una notte molto
sofferta. È il giorno della Vergine del Rosario. Queste le sue ultime parole:
«Mamma, sii felice, perché io lo sono. Ciao».
E ancora un dono: le cornee.
Al funerale celebrato dal vescovo insieme a molti sacerdoti, accorrono centinaia
di giovani. I componenti del Gen Rosso e del Gen Verde elevano i canti da lei
scelti.
Dal quel giorno la sua tomba è meta di pellegrinaggi: fiori, pupazzetti, offerte
per i bambini dell'Africa, lettere, richieste di grazie… E ogni anno, nella
domenica prossima al 7 ottobre, i giovani e le persone presenti alla Messa in
suo suffragio aumentano sempre di più. Vengono spontaneamente e si invitano a
vicenda per partecipare al rito che, come voleva lei, è un momento di grande
gioia. Rito preceduto dall'intera giornata di “festa”: con canti, testimonianze,
preghiere…
La sua fama di santità si è estesa in varie parti del mondo; molti i “frutti”.
La scia luminosa che Chiara "Luce" ha lasciato dietro di sé porta a Dio nella
semplicità e nella gioia di abbandonarsi all'Amore.
È un'esigenza profonda della società di oggi e, soprattutto, della gioventù: il
significato vero della vita e la speranza in un futuro che non finisca mai e sia
certezza della vittoria sulla morte.