Sta per aprirsi il sinodo per il Medio Oriente. Durerà dal 10 al 24 ottobre e avrà come tema La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza. L’avvenimento riguarda tutta la Chiesa, ma tocca da vicino, direttamente o indirettamente, la realtà di 14 milioni di cristiani, che vivono in mezzo a 330 milioni di abitanti, contando gli arabi, i turchi, gli iraniani, i greci e gli ebrei.
Una delle particolarità del Medio Oriente è la presenza di un grande numero di chiese orientali sui iuris: i melchiti, i siriaci, i maroniti, i copti, gli armeni e i caldei. Sono Chiese che, da una parte, hanno bisogno di vivere i loro particolarismi liturgici, linguistici e pastorali, e dall’altra hanno bisogno di una più grande comunione tra loro. Attualmente, infatti, questa comunione lascia a desiderare.
Ci troviamo in presenza di una situazione complessa e diversificata. Per cercare di comprenderla, 140 religiosi e religiose della diocesi patriarcale di Gerusalemme, il 13 maggio scorso, quando ormai erano giunte da ogni parte le risposte ai Lineamenta, lo strumento preparatorio, si sono riuniti presso l'auditorium di San Salvatore, per ascoltare una conferenza di mons. William Shomali, nuovo vescovo ausiliare nominato di Gerusalemme, dal titolo: Il Sinodo sul Medio Oriente nel suo contesto geopolitico e pastorale. Rivolgendosi in particolare ad essi, il vescovo ha detto: «Voi religiosi e religiose della Terra Santa continuate ad essere in prima fila nella Chiesa per testimoniare l’amore di Cristo verso tutti gli uomini, senza distinzioni di razza e di religione. La vostra testimonianza nell’ambito della carità, dell’educazione e dell’assistenza è unica e irripetibile».

L’attuale realtà socio-politica

Come si presenta la situazione nell’attuale realtà sociopolitica del Medio Oriente in cui vivono le comunità cristiane, stando a quanto ha affermato mons. Shomali?

La Turchia: conta 72 milioni di abitanti, di cui la maggioranza è musulmana. I cristiani sono 100.000, cioè meno dell’uno per mille. La Turchia è un paese laico, in cui la religione (Islam) è separata dallo Stato. Questo paese sta ultimamente cercando di migliorare la propria immagine, al fine di poter entrare nella comunità europea. A suo vantaggio, si può citare la laicizzazione introdotta da Atatürk nel 1924; a suo debito invece, il genocidio armeno, di cui la Turchia si rifiuta di riconoscere la responsabilità; e così pure la divisione dell’isola di Cipro in due parti, turca e greca, di cui è allo stesso modo responsabile.

L’Iran: è un paese dove l’Islam sciita è dominante in tutti i settori della società. I musulmani sono 72 milioni, mentre i cristiani sono 200.000, soprattutto armeni ed assiri. Le notizie provenienti dall’Iran confermano l’esistenza di una comunità battista molto attiva che ha guadagnato la conversione al cristianesimo di migliaia di persone. Si parla addirittura di 10.000 persone. Un convertito è trattato come un rinnegato, perché si trova a tradire l’Islam e ad appoggiare il nemico per eccellenza, cioè gli americani. L’Iran è ricco e aiuta gli sciiti del Libano e Hamas di Gaza per motivi religiosi e ideologici. Possiede ambizioni territoriali nei confronti del Golfo dove vive una grande minoranza di sciiti ridotti al silenzio.

L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi uniti: in questa zona ricca di petrolio vivono 33 milioni di abitanti. I differenti regimi politici assumono un atteggiamento diverso nei confronti dei cristiani, che va dal profondo rispetto religioso del Qatar, Abu Dhabi e Dubai, all’intransigenza e mancanza di libertà, come in Arabia Saudita. Mentre il Qatar ha permesso la costruzione di una grande chiesa che può contenere 5.000 fedeli, i cristiani dell’Arabia Saudita, circa mezzo milione, non sono nemmeno autorizzati a riunirsi in preghiera. La domenica si riuniscono di nascosto in case private per pregare, chiudendosi per non essere puniti. Un altro problema è la presenza di un gran numero di lavoratori stranieri cristiani, spesso privati dei loro diritti sociali e religiosi. Inoltre l’Islam militante approfitta delle necessità economiche dei lavoratori per convertirli all’Islam. Con la promessa di lusinghieri compensi materiali, un certo numero di essi in effetti si converte ogni anno

L’Egitto: il numero dei cristiani copti non è ancora certo. Si parla di 6 milioni secondo le statistiche ufficiali dello stato, di 12 milioni invece secondo i dati della chiesa copta. Forse una cifra intorno ai 10 milioni si avvicina maggiormente alla realtà. Gli scontri tra i musulmani e i copti sono numerosi. Gli egiziani sono il popolo più religioso al mondo per la pratica religiosa e anche per il fanatismo. I copti si sentono sottovalutati e vengono privati di molti dei loro diritti, in particolare della libertà di culto (difficoltà di costruire le chiese), e della libertà di coscienza. Il loro posto nella società, e così pure il loro ruolo nel governo, è insignificante. Un esempio: su 454 parlamentari egiziani, solo 3 sono cristiani, meno dell’1 per cento, mentre la percentuale di cristiani in Egitto è almeno del 10 per cento.
«In Egitto, la crescita dell’Islam politico, da una parte, e il disimpegno, in parte forzato, dei cristiani nei confronti della società civile, dall’altra, rendono la loro vita esposta all’intolleranza, alla disuguaglianza e all’ingiustizia. Inoltre, questa islamizzazione penetra molto nelle famiglie anche mediante i mass media e la scuola, modificando le mentalità che, inconsapevolmente, si islamizzano» (Instr.laboris).

L’Iraq: l’invasione americana ha decimato la comunità cristiana. Prima del 1987, contava 1.250.000 fedeli, soprattutto caldei. Attualmente sono meno di 400.000. Uno dei grandi drammi di questo secolo è il drastico esodo dei cristiani iracheni a causa dell’insicurezza e delle molestie di cui sono vittime. In Iraq, la guerra ha scatenato le forze del male nel paese, tra le correnti politiche e tra le confessioni religiose. Ha causato la morte di molti iracheni, ma tra di essi gli iracheni cristiani sono stati tra le vittime principali, essendo la comunità più esigua e più debole. Ancora oggi la politica mondiale non ne tiene conto, ignorandoli completamente. E ciò non fa che aggiungersi ad altre calamità che hanno colpito il Medio Oriente nel passato:
- il genocidio di un milione e mezzo di armeni in Turchia nel 1915;
- il genocidio perpetuato nei confronti dei maroniti nel 1860 e la guerra civile in Libano che ha causato l’esodo di un grande numero di cristiani.
- e, infine, l’emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa, fenomeno che continua da più di un secolo.

La Siria: la situazione di un milione e mezzo di cristiani siriani sembra tranquilla sotto il regime del partito Baath, che conta sull’appoggio delle minoranze; la stessa famiglia Asad proviene da una minoranza alawita. Ma c’è sempre la paura di un inaspettato cambiamento e di un repentino rovesciamento della situazione. In Iraq, ad esempio, i cristiani hanno goduto di molti privilegi sotto il regime di Saddam. Appena detronizzato, sembra che il vaso di Pandora si sia aperto, a sfavore dei cristiani. La paura di uno sconvolgimento rimane ancora presente nel mondo arabo, poiché la politica dello Stato dipende spesso dall’atteggiamento benevolo o avverso della famiglia o del partito al potere, piuttosto che da un atteggiamento popolare sostenibile..

In Libano i cristiani si trovano divisi sul piano politico e confessionale e nessuno possiede un progetto che vada bene per tutti. L’equilibrio politico raggiunto nel 1943, quando i cristiani erano il 55 per cento della popolazione totale, non rispecchia più la reale situazione di fatto. Gli sciiti, che stanno diventando ogni giorno sempre più numerosi e più forti, esigono maggiore autorità in parlamento. L’equilibrio attuale è precario. Il Libano deve raggiungere una matura democrazia e uscire da un assurdo confessionalismo senza spargimento di sangue.

La Giordania: la Giordania è un paese tranquillo. I cristiani vivono in condizioni favorevoli. Possono godere della libertà religiosa avendo i loro rappresentanti in parlamento e al governo. Siamo stati testimoni della calorosa accoglienza accordata dal re e dal governo di Giordania al papa Benedetto XVI. Tuttavia in Giordania non esiste libertà di coscienza. È un fatto che possiamo del resto notare in tutti i paesi arabi. L’Islam sostiene di essere la religione della verità, dell’unica verità. Le altre religioni sono tollerate. Per questo non è permesso ad un musulmano di abbandonare la verità per l’errore. Cambiare religione è pertanto come tradire la società, la cultura e la nazione, basata principalmente su una tradizione religiosa.

Palestina e Israele: il conflitto tra palestinesi e israeliani dura da più di 80 anni, con 6 confronti violenti a cui si aggiungono due “intifade” popolari. Si tratta di un conflitto di natura ideologica che non sembra trovare alcuna soluzione a breve termine. La situazione economica e l’assenza di sicurezza hanno obbligato gran parte dei cristiani palestinesi ad emigrare. La diaspora palestinese conta circa 500.000 persone, la gran parte delle quali si trova in Cile.

I principali problemi da affrontare

Nelle parole di mons. Shomali, sono diversi i problemi che il sinodo dovrà affrontare.
– L’emigrazione, che ha indebolito il tessuto cristiano. Tale fenomeno ha aperto gli occhi dei musulmani moderati, che vedono in questo esodo un impoverimento della società araba, privata dei suoi elementi moderati. Molti intellettuali palestinesi, tra cui il leader palestinese Faisal Al-Husseini, l’attuale Mufti della Palestina, lo sceicco Mohammad Hussein, il Gran Magistrato lo Sceicco Tayseer Tamimi, il Presidente Mahmoud Abbas, il Primo Ministro Salam Fayyad, hanno detto che la partenza dei cristiani è una perdita per tutti i palestinesi e pone faccia a faccia l’estremismo ebraico e quello musulmano. I cristiani sono un elemento moderato che attira la simpatia dell’Occidente sulla questione palestinese. Inoltre in passato i cristiani del Libano, dell’Egitto, della Siria, della Palestina, hanno partecipato al progresso e allo sviluppo delle loro rispettive società. Quando il loro numero diminuirà e si ridurranno ad essere una piccola percentuale, la loro presenza sarà insignificante, un motivo in più per incoraggiare il piccolo resto ad emigrare.

– La conversione all’Islam. È vero che solo alcuni cristiani diventano musulmani, però, visto il numero ridotto delle nostre comunità, ognuno conta. In Egitto si parla di circa 15.000 giovani donne cristiane che ogni anno diventano musulmane per ragioni di matrimonio. Ogni anno succedono casi simili in Palestina e in Giordania. Ogni volta si tratta di un dramma per la famiglia, che considera questa conversione come un tradimento verso la religione oltre che verso la stessa famiglia. Queste giovani nella maggioranza dei casi vengono considerate perdute, visto che interrompono ogni contatto con la loro famiglia di origine. Tali fenomeni di conversione non riguardano solo le giovani donne. I lavoratori stranieri nei paesi del Golfo ne sono vittima allo stesso modo. Per poter trovare lavoro, la conversione all’islam aiuta moltissimo. Nel piccolo emirato di Dubai, il numero di uomini e donne che nel 2008 sono passati all’Islam è di 2763, appartenenti a 72 diverse nazionalitàhttp://www.womanmessage.com/articles.aspx?cid=3&acid=128&aid.

– La crescita dell’Islam politico : «La crescita dell’Islam politico, a partire dagli anni ’70, è un fenomeno saliente che si ripercuote sulla regione e sulla situazione dei cristiani nel mondo arabo. Questo Islam politico comprende differenti correnti religiose che vorrebbero imporre un modo di vita islamico alle società arabe, turche o iraniane e a tutti coloro che vi vivono, musulmani e non musulmani. Per loro, la causa di tutti i mali è l’allontanamento dall’Islam. La soluzione, quindi, è il ritorno all’Islam delle origini. Di qui lo slogan: l’Islam è la soluzione. […] A questo scopo, alcuni non esitano a ricorrere alla violenza”» (Instrumentum Laboris).

– La mentalità del ghetto: «La religione, come elemento di identificazione, non solo differenzia ma può anche dividere e rendere schiavo, causando chiusura e ostilità. Il pericolo è nel ripiegamento su se stessi e nella paura dell’altro. Dobbiamo rafforzare la fede e la spiritualità dei nostri fedeli e così pure i legami sociali e di solidarietà, senza cadere in un atteggiamento ghettizzante» (Instrumentum laboris).