«Quando si sente che l’opera è buona, che si ha il mandato divino per
sostenerla, si rientra in se stessi, ci si rianima, si aggirano le difficoltà e
si finisce col vincere ogni ostacolo». Incoraggiati da queste parole del loro
fondatore, Eugenio de Mazenod, pronunciate ancora nel 1849, gli Oblati (italiani
e spagnoli) di Maria Immacolata, hanno iniziato da oltre un anno il complesso
cammino di riunificazione delle loro due province. I primi “passi nel tempo” con
cui stanno scandendo le tappe di questo processo, risalgono al marzo del 2009
con l’incontro congiunto dei due consigli provinciali. La riunificazione
dovrebbe decollare ufficialmente il 17 febbraio del 2012 (nel 186° anniversario
dell’approvazione della congregazione da parte di Leone XII).
Tutti coinvolti
Il febbraio 2012 può sembrare una data lontana. Ma è facile convincersi del
contrario se solo si pensa a tutte le scadenze intermedie già dettagliatamente
programmate da qui ad allora. Dopo l’ultimo incontro congiunto dei consigli
provinciali del giugno scorso, queste le tappe più significative previste:
capitolo generale (settembre 2010), convegno degli esperti (dicembre 2010),
elaborazione dei nuovi statuti (gennaio/febbraio 2011), consultazione degli
Oblati delle due province sui nuovi statuti (maggio/giugno 2011), assemblea
generale degli Oblati delle due province (settembre 2011), approvazione degli
statuti (ottobre 2011), consultazione per la nuova amministrazione (novembre
2011), inizio della nuova provincia (17 febbraio 2012).
Sembra che nulla sia stato lasciato al caso. È esemplare la documentazione che,
attraverso i “quaderni di animazione”, dovrebbe accompagnare, informare,
motivare e, auspicabilmente, anche convincere tutti i confratelli delle due
province della bontà del percorso intrapreso. Questo processo, come leggiamo nel
documento base, elaborato dal comitato interprovinciale per l’unificazione, «si
muove nella convinzione che la struttura di una nuova provincia, nata
dall’unificazione delle attuali di Spagna e Italia, possa aiutare a far crescere
la nostra missione e le nostre comunità nel mondo in cui viviamo».
Una delle principali preoccupazioni, sarà la partecipazione al cammino da parte
delle comunità e dei singoli Oblati. Infatti «è fondamentale che tutti i passi
siano oggetto di consultazione, riflessione, studio, discussione e verifica
nelle rispettive comunità». I risultati di queste riflessioni saranno
puntualmente portati alla conoscenza di tutti. Anche se la documentazione sarà
sempre bilingue, fin dall’inizio ci si è premurati di incentivare
l’apprendimento delle due lingue da parte di tutti i confratelli.
La padronanza delle lingue non potrà che favorire la reciproca conoscenza.
Infatti, «la migliore forma per superare i pregiudizi o stereotipi reciproci, è
conoscerci come siamo, cosa facciamo e come lo facciamo. Se non ci conosciamo
non possiamo essere motivati verso l’unificazione». Se si considera il fatto che
una conoscenza del genere è sempre più spesso problematica anche solo
all’interno di una singola provincia, è facile capire il senso dell’insistenza,
su questo punto, degli Oblati. È indispensabile, scrivono nel documento base,
conoscere «la storia rispettiva (del passato e del presente), la spiritualità
che ha animato e anima la provincia, la forma di intendere e vivere la comunità,
la formazione (iniziale e continua) ricevuta, le tendenze teologiche, pastorali,
politiche e sociali, lo stile di lavoro di ogni provincia, la realtà della
Chiesa e della cultura dei due paesi».
Molto saggiamente, dal momento che il cammino non finisce con l’unificazione,
gli statuti della nuova provincia saranno approvati ad experimentum per un
congruo periodo di tempo. Trascorso questo periodo, si procederà a una verifica
e a una valutazione in un’assemblea già programmata alla fine del primo mandato
della nuova amministrazione provinciale. Le due province non partono, comunque,
da zero. In un primo sondaggio già effettuato presso tutte le comunità e i
singoli religiosi, è già stato espresso, infatti, un accordo in linea di massima
sulle motivazioni, i criteri, le dimensioni di fondo, le modalità e i tempi del
processo di unificazione. Il compito più impegnativo e difficile, quello di
sensibilizzare e di motivare tutti i confratelli in ordine all’obiettivo
proposto, è, però, ancora in gran parte in salita.
Pericoli e vantaggi
Con molta concretezza, nel secondo dei “quaderni di animazione”, si prova a
mettere a confronto vantaggi e pericoli dell’unificazione. Vantaggi? Nono sono
pochi! Mettendo in comune ricchezze e povertà ci si arricchisce tutti. Operando
insieme, si potrebbe e si dovrebbe crescere in audacia ed efficacia missionaria.
Sia la prima formazione che quella continua non potranno che consolidarsi
reciprocamente. Insieme a una più efficace gestione finanziaria, anche il
governo della provincia potrebbe avvalersi di un personale più qualificato. Con
una maggior sicurezza per il futuro, una diversa e più articolata distribuzione
del personale potrebbe favorire l’elaborazione di un progetto apostolico
provinciale “più avvincente”. Con la concreta possibilità di nuove comunità
internazionali, nella condivisione della storia e della vita, dovrebbe essere
garantito il superamento di ogni forma di provincialismo e localismo, in vista
di una nuova “grande storia da costruire”.
I pericoli, i rischi e le difficoltà non sono da meno. Va messa in conto, ad
esempio, una possibile perdita d’identità, dovuta proprio alla pluralità e alla
diversità dei contesti politici, sociali e culturali delle due province.
Potrebbe anche verificarsi il caso, com’è detto testualmente, che «il pesce
grande (quello italiano, n.d.r.)mangi il piccolo», con «il possibile
annullamento o la diminuzione di protagonismo di ciò che procede dalla provincia
più piccola». La diversità culturale potrebbe dar adito a concezioni diverse per
ciò che riguarda la missione, la comunità, tutti gli aspetti
teologico-spirituali e socio-politici. Anche senza volerlo, «l’unione, in un
certo senso, è un’esperienza di morte: moriamo alla nostra provincia per vivere
in quella nuova». Questa specie di auto-spoliazione «può essere vissuta come la
fine di un modo di presenza e di servizio». Ai problemi derivanti dalle distanze
geografiche e dalla non agevole mobilità di alcuni, si aggiungono sicuramente
quelli della diversità linguistica, soprattutto da parte degli anziani. Anche in
campo finanziario, non vanno sottovalutate suscettibilità e possibili
attaccamenti al proprio modus vivendi. La stessa disponibilità ad un
interscambio di personale potrebbe serbare non poche sorprese, con la zavorra
tutt’altro che remota dell’indifferenza o passività da parte di alcuni
religiosi.
Un atto di audacia evangelica
Sia per consolidare i vantaggi che per ridurre i pericoli, gli Oblati sentono
l’esigenza di analizzare le motivazioni e le conseguenze che provocano del
processo in atto. È fuori dubbio che l’unificazione è dettata dalla necessità di
far fronte all’invecchiamento dei confratelli da una parte e al calo
preoccupante di nuove vocazioni dall’altra. Proprio per questo «siamo coscienti
che se continueremo da soli, in breve tempo non potremmo vivere una vita
religiosa veramente apostolica: il nostro orizzonte si restringerebbe troppo».
Diversamente, attraverso l’unificazione, «con la stessa età media, diventiamo un
gruppo più numeroso e possiamo mantenerci per un tempo più lungo».
È importante comprendere e convincersi che non si tratta di una strategia di
sopravvivenza e di conservazione delle opere esistenti. «Se ci limitassimo a
questo, meglio sarebbe lasciare le cose come sono e, forse, deciderci a morire
più o meno serenamente. L’unione risulterebbe presto ingannevole». Ci sono
motivazioni molto più positive. È in gioco la missione degli Oblati nella Chiesa
e la loro capacità di rispondere meglio alle necessità della missione al
servizio della Chiesa e del mondo. La ristrutturazione in corso intende essere
«una rifondazione ampia e profonda della nostra missione», previa la
disponibilità di tutti a una conversione personale e non a un semplice
adattamento nel proprio modo di vivere. «Ci uniamo per salvaguardare il carisma
dell’istituto, per la missione, per l’esperienza, la vita, il rinnovamento».
L’unificazione è «una vera fondazione congiunta di una nuova provincia».
Proprio perché si tratta di un processo sicuramente non indolore, «dobbiamo
vederci in prospettiva congregazionale, non in una prospettiva di
provincialismo. Dobbiamo difendere l’appartenenza alla nostra congregazione
prima che alla nostra provincia». La consapevolezza di questa comune
appartenenza, dopo tutto, si fonda su «una stessa corrente spirituale: le nostre
convinzioni spirituali, il nostro modo di guardare a Cristo, i valori evangelici
a cui aderiamo e la relazione comunità-missione». L’unificazione diventa allora
un gesto di speranza nella vita, un atto di audacia evangelica. «Non chiediamo
miracoli!». Senza una seria volontà di cambiamento, di conversione personale e
comunitaria, «l’unificazione servirà a molto poco o a nulla». Sarà, invece,
ricca di frutti, «se crediamo che è lo stesso Spirito a spingerci ad associarci
in vista della missione».
I sentimenti e le emozioni
Un ultimo e non meno importante aspetto è quello relativo al mondo dei
sentimenti e delle emozioni. È importante farlo venire allo scoperto,
riconoscerlo, chiamarlo con il suo nome, in modo anche da poterlo adeguatamente
gestire. In un processo di unificazione come quello in corso, infatti, ci
possono essere sentimenti positivi di pace, di gioia, di speranza, di
creatività, di amore, di prossimità di solidarietà, di unità. Ma ci possono
essere anche sentimenti negativi di frustrazione, di minaccia, di contrarietà,
d’indifferenza. Soprattutto da parte di alcuni confratelli spagnoli
l’unificazione potrebbe essere vista «come un segno di decadenza e di disfatta,
con la sensazione di precipitare e di procedere verso la fine (siamo molto
anziani, siamo pochi, abbiamo poche vocazioni…)».
Ad un atteggiamento di rassegnazione paralizzante («non c’è più rimedio»!,
«facciano gli altri»!) di alcuni, potrebbe sovrapporsi quello di un rifiuto più
o meno forte da parte di altri. Per tutti l’unificazione è un’incognita e fonte
d’inquietudini. In un certo senso fa paura dal momento che vengono messe in
discussione le proprie abitudini e le proprie mentalità. Si ha paura,
soprattutto, «di perdere il senso di appartenenza e d’identità». Fanno paura le
differenze.
È un fatto che «spesso perdiamo molte energie portando con noi timori, che poi,
la maggior parte delle volte, non si avverano come noi avevamo immaginato e
temuto».
Ma come arginare tutte queste paure? Vivendo l’unificazione come un’esperienza
spirituale e missionaria, come una “buona notizia” per la congregazione.
Camminando verso il futuro, illuminati dalla “croce”, senza la pretesa di
conoscerlo in tutti suoi aspetti in anticipo. Mettendosi in uno stato di ricerca
attiva, con pazienza, cura e attenzione. Convincendosi che in questo cammino si
è guidati dallo Spirito Santo. Convertendosi personalmente e comunitariamente,
sia a livello interiore che esteriore. Mettendo in comune tutte le potenzialità
modeste delle due province in modo da far sgorgare un di più di vita. Camminando
in umiltà e con realismo. Superando quel provincialismo che spesso può
complicare l’esistenza di una congregazione internazionale. Vedendo
nell’unificazione non solo un’auto-spoliazione, ma anche e soprattutto un segno
di speranza in azione.
Volendo riaffermare il primato di Dio anche in ogni processo di unificazione, il
superiore generale degli Oblati, p. Guillermo Steckling, a conclusione della sua
omelia, in occasione dell’insediamento dell’attuale consiglio provinciale
italiano il 13 febbraio scorso, ha raccontato una “piccola storia”. Un padre
guarda il suo bambino che cerca di spostare un vaso di fiori molto pesante. Il
piccolo si sforza, sbuffa, brontola, ma non riesce a smuovere il vaso di un
millimetro. «Hai usato proprio tutte le tue forze?», gli chiede il padre. «Sì»,
risponde il bambino. «No, ribatte il padre, perché non mi hai chiesto di
aiutarti».