L’ultima visita di un vescovo di Roma nel Regno Unito risale al 1982: quello di Giovanni Paolo II fu un appuntamento squisitamente pastorale, tutto centrato sul rafforzamento del cattolicesimo in una terra in cui esso è storicamente minoritario rispetto all’anglicanesimo. Quasi tre decenni dopo, Benedetto XVI si reca nel Regno Unito – dal 16 al 19 settembre – in una visita che sarà anche di stato, e non solo pastorale. Essa avviene in una fase di trasformazioni interne alla chiesa cattolica britannica, e in un momento delicato nelle relazioni con quella anglicana. Tanto che, l’anno scorso, a febbraio, poco prima di lasciare la sua carica di arcivescovo di Westminster, il cardinale Cormac Murphy-O’Connor aveva parlato, in un discorso ufficiale, della necessità di “una nuova apologetica della presenza”, sottolineando l’importanza della presenza di credenti nella Gran Bretagna di oggi, in un contatto creativo con “una cultura che è profondamente secolarizzata e tuttavia desidera che qualcuno le parli di senso e di speranza”.
 

Uno scenario delicato

Svariati, in effetti, gli elementi di scenario che rendono delicato, quanto strategico, il prossimo viaggio papale. A partire, dicevamo, dai rapporti con l’anglicanesimo. Canterbury è squassata da una crisi interna che si sta trascinando da tempo, su temi che riguardano le relazioni complesse con la modernità: dall’ordinazione femminile, approvata ufficialmente nel 1992, alla questione omosessuale, con l’ordinazione di pastori dichiaratamente tali e le unioni gay, e alla recentissima apertura all’episcopato femminile, avvenuta al Sinodo della Chiesa anglicana d’Inghilterra tenutosi a York dall’8 al 13 luglio scorso. La delicatezza della situazione nel mondo anglicano, confermata dall’esito traumatico della 14° Conferenza di Lambeth (2008), ha portato Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury e primate anglicano, ad ammettere: «Siamo di fronte a una delle sfide più dure che abbia mai affrontato la famiglia anglicana nella sua storia, un punto di svolta in cui abbiamo bisogno di un rinnovamento e questo è il momento giusto per farlo». Si scrisse all’epoca che il peggio era stato evitato, e non c’erano stati i temuti scismi né gli anatemi reciproci fra posizioni liberali e conservatrici. Ma il rischio di una rottura insanabile è ancora aperto, e dato persino per scontato da parte di alcuni commentatori. E se finora la lenta dissoluzione dei legami tra le province della Comunione anglicana sui temi dell’ordinazione sacerdotale ed episcopale delle donne e degli omosessuali assomigliava a una deriva dei continenti, ora la frattura sembra giungere al cuore della Chiesa madre anglicana, con un risvolto notevole per tutto il dialogo ecumenico, in cui la Chiesa anglicana ha sempre giocato – per la connessione tra dottrina riformatrice e struttura episcopale - un ruolo di ponte tra il protestantesimo e il cattolicesimo. Le prime ordinazioni di vescovi donne sono ipotizzate per il 2014: la Chiesa d'Inghilterra sarà allora come altre province in cui l'ordinazione di donne vescovo è già effettiva, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda, Australia (sono 3800 le donne prete oggi nella Chiesa d'Inghilterra, circa il 30% dei membri del clero). La Segreteria vaticana ha commentato con una nota ufficiale il voto, considerandolo come «uno strappo alla tradizione apostolica mantenuta da tutte le chiese del primo millennio. Ed è perciò un ulteriore ostacolo per la riconciliazione tra la chiesa cattolica e la chiesa d’Inghilterra».
È poi ancora fresca la notizia (20 ottobre 2009) dell’ufficializzazione del passaggio a Roma di preti e fedeli anglicani, data con dichiarazione congiunta dell’arcivescovo cattolico di Westminster, Vincent Gerard Nichols, e dello stesso primate Williams, cui è seguita la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, firmata da Benedetto XVI il 4 novembre scorso. Il documento prevede una struttura canonica e l'ordinariato personale, che permette l'inserimento nella chiesa cattolica dei laici e del clero anglicani che lo desiderano, preservando gli elementi distintivi del patrimonio spirituale e liturgico anglicano. Sul testo, evidentemente, si gioca una posta notevole, e non sono secondarie le questioni che – nonostante le ripetute rassicurazioni vaticane – il passaggio reca con sé. Occorreranno ancora parecchi mesi, forse anni, per comprendere se esso favorirà lo sviluppo di una maggiore comprensione tra le due chiese, com'è da auspicare, o se aumenterà attriti e risentimenti. Cosa di cui non si sente la necessità, nel cammino dell’ecumenismo: ancora da compiere pienamente, ma senza dubbio decisivo per una testimonianza cristiana credibile di fronte al mondo.

Un panorama in chiaroscuro

Quanto alla situazione cattolica nell’isola, il panorama è in chiaroscuro. Sul piano storico, dopo un lungo periodo di discriminazione verso la comunità cattolico-romana, fu nel 1829 che il clima politico nel Regno Unito cambiò in modo sufficiente da permettere che in parlamento passasse il Catholic Emancipation Act che concedeva ai cattolici più o meno uguali diritti civili, inclusi diritto al voto e accesso ai pubblici uffici. Quando, tra il 1845 e il 1852, la grande fame (irlandese) obbligò molti irlandesi a emigrare, la comunità cattolica in Gran Bretagna si allargò in modo rilevante; il che contribuì a far sì che Pio IX procedesse a ristabilire la gerarchia cattolica, prima in Inghilterra e Galles (1850) e poi in Scozia (1878). All’immigrazione irlandese col tempo se ne aggiunsero altre da varie parti dell’(ex-) impero britannico, poi soprattutto dopo la seconda guerra mondiale da paesi cattolici quali Italia, Spagna, Portogallo e America Latina, fino alla recente immigrazione dall’Est europeo, particolarmente dalla Polonia, dopo la caduta del muro di Berlino (1989). Così, al nucleo originario locale di cattolici sopravvissuti alla persecuzione ed emarginazione dei secoli XVI-XVIII, se ne aggiunsero di origine irlandese, latino-americana e caraibica, italiana, spagnola, portoghese, polacca, ceca e slovacca, africana e asiatica, soprattutto filippina, favorendo la nascita di un cattolicesimo policromo, dalle molte culture e tradizioni. Anche se questa varietà si esprime in una presenza sul territorio di distinte comunità cattoliche coi loro diversi riti e celebrazioni liturgiche e con i loro pastori, esiste comunque già una buona integrazione che migliora col passare delle generazioni.
Se la comunità cattolica originaria, conformemente al carattere britannico, è tendenzialmente tradizionale – di una tradizionalità per lo più moderata e serena, non fanatica – la componente cattolica d’immigrazione introduce una dimensione di vivacità e apertura. In qualche modo, il cattolicesimo britannico rappresenta una sorta di laboratorio del nuovo cattolicesimo globale nel mondo plurale di oggi.
Ci sono in Gran Bretagna due Conferenze Episcopali cattoliche: la Conferenza episcopale dell’Inghilterra e Galles, comprendente 22 diocesi, e la Conferenza episcopale della Scozia con 8 diocesi (più l’Esarcato Apostolico per gli Ucraini). Le diocesi del Nord Irlanda, che pure fa parte del Regno Unito, sono unite alla Conferenza Episcopale dell’Irlanda.

Sono circa  5 milioni i cattolici

Secondo l’ultimo censimento (2001), c’erano in Inghilterra e Galles 4,2 milioni di cattolici, pari circa all’8% della popolazione; ma una stima del 2009 fa salire la cifra tra i 4,5 e 5,2 milioni, con una percentuale superiore al 9%. In Scozia, secondo il censimento del 2001 i cattolici sarebbero circa il 16% della popolazione; dopo gli ultimi flussi migratori, i cattolici sarebbero saliti a circa il 17% (850.000 in una popolazione complessiva di 5,1 milioni).
Se si prende la Gran Bretagna nel suo insieme, si può dire che i cattolici raggiungano i 5 milioni, pari ad una percentuale del 10%: di essi solo un milione pratica regolarmente (20%). Soprattutto nelle comunità non toccate dall’immigrazione, le assemblee domenicali sono composte per lo più da gente anziana; il che evidenzia il contributo degli immigrati in termini di vitalità religiosa, ripopolamento e ringiovanimento della pratica religiosa. Anche se la pratica domenicale tra i cattolici è la più alta tra le chiese storiche presenti nel territorio, sia in termini relativi sia assoluti, come nel resto del vecchio continente le chiese britanniche vanno svuotandosi in maniera preoccupante, mentre il paese – con le sue comunità originarie dell’Asia meridionale, quella musulmana, 1.300.000 aderenti, quella induista, mezzo milione, e quella sikh, 250.000, in primis – si scopre sempre più multiconfessionale. Si potrebbe riandare, del resto, alle analisi della sociologa britannica Grace Davie, che già negli anni Novanta, studiando la situazione nazionale, aveva coniato la formula credere senza appartenere (believing without belonging), che avrà molta fortuna su scala europea.

Un processo di integrazione

In questo scenario, la scelta delle gerarchie cattoliche è stata di operare per una fruttuosa integrazione dei religiosamente altri, con la partecipazione diretta al dialogo interfaith, che ha profonde ricadute su molte questioni di carattere sociale (a partire dall’insegnamento multireligioso a scuola, con il metodo nato a Bradford e diffuso anche in altri paesi). Recente (aprile 2010) è l’uscita di un documento espressivo da questo punto di vista, a cura dei vescovi di Inghilterra e Galles, dal titolo Incontrare Dio nell’amico e nello straniero. Promuovere il rispetto e la comprensione reciproca fra le religioni. La convivenza tra credenti di religioni diverse costituisce, secondo il testo, un segno dei tempi.
Le comunità cattoliche sono organizzate in modo partecipativo, molto più laicale che in Italia, sia per quanto riguarda la vita liturgica sia per la parte organizzativa. Al di là dell’aspetto strettamente sacramentale, la comunità è piuttosto indipendente dalla presenza del ministro ordinato, cosa che agevola la ristrutturazione pastorale in questa stagione avara di presbiteri. Diaconi permanenti e ministri dell’eucaristia sono figure ormai comuni nelle varie comunità. Finanziariamente, esse si sostengono da sole, organizzate come charities, ricevendo dallo Stato, secondo un programma di Gift Aid, un extra del 28% per ogni offerta fatta da chi paga le tasse sul reddito.
Le comunità cattoliche, come del resto quelle anglicane o presbiteriane, gestiscono spesso le loro scuole, intese anche come luogo di comunicazione della fede. Esse, normalmente assai apprezzate, sono riconosciute e in parte finanziate dallo Stato.
«Nonostante le note divergenze sulle questioni etiche (omosessualità, ecc.) e del ministero (ordinazione delle donne, donne-vescovo), le relazioni tra le comunità cattoliche e quelle anglicane e di altre denominazioni – sostiene padre Benito De Marchi, missionario e missiologo comboniano che da molti anni svolge il suo servizio a Londra – sono normalmente molto buone, a tutti i livelli, anche se nei mass media si respira ancora un’atmosfera anticattolica, che trova ora nuova linfa dai casi di pedofilia da parte del clero cattolico”.
Già negli anni ’90 c’è stata un’ondata di preti anglicani passati dall’anglicanesimo al cattolicesimo, molti di loro sposati. Secondo padre De Marchi, in genere essi sono stati accolti bene dalle comunità cattoliche, e la presenza di preti sposati non ha creato nessun trauma. Ci si potrebbe invece chiedere se nella maggioranza dei casi questo flusso di preti dall’anglicanesimo abbia giovato alla crescita di una Chiesa aperta; mentre la questione delle donne-vescovo potrebbe produrre un’altra ondata di passaggi dall’anglicanesimo al cattolicesimo, non solo di singoli ma anche d’intere comunità.
Certo, la scommessa è difficile, al pari di quella che riguarda il tema di un’alfabetizzazione minima sul cristianesimo: come testimonia una ricerca britannica di qualche anno fa, che mostrava la diffusione di una grande ignoranza delle più elementari dottrine. Ad esempio, oltre il 40% degli intervistati non conosceva quale sia l’evento commemorato a Pasqua: tanto che le chiese si sono viste costrette a rispondere con misure d’emergenza che, verosimilmente, avrebbero fatto sorridere le generazioni precedenti. Così, il foglietto informativo offerto ai visitatori dell’antica cattedrale di York esordisce con la domanda Che cosa credono i cristiani?, e prosegue: La cattedrale del monastero di York è costruita a forma di croce per simboleggiare il più importante articolo di fede cristiano, che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è morto sulla croce per i nostri peccati… Una situazione, beninteso, che avvicina il panorama britannico a quello dell’Europa occidentale, rendendo la Manica una sorta di ponte, più che un canale divisorio.