"Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una
corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del
parto" (Ap 12,1-2).
Il segno che appare in cielo è un radicale annuncio di speranza; esso ha, come
spesso accade non solo nelle pagine bibliche ma nella vita concreta dei singoli
e dei popoli, un volto di donna. È figura dell'umanità e insieme, per i simboli
cosmici che l'attorniano, dell'intera creazione.
Maria è infatti, nel progetto divino, la creazione realizzata; la “tota pulchra”
(tutta bella) prefigura quella bellezza che salverà il mondo, attraverso il più
bello tra i figli dell'uomo.
La rappresentazione fulgida è tuttavia attraversata da un grido, che sembrerebbe
offuscarla; si tratta però delle doglie di un parto, non di rantoli di morte. La
visione apocalittica, nonostante il significato negativo dato solitamente al
termine, è rivelazione — questo il senso della parola greca — di un progetto di
salvezza più forte di ogni potenza negativa.
"Un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette
diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le
precipitava sulla terra" (Ap 12,3-4).
Il nome al drago lo può dare ciascun lettore e ogni comunità cristiana, che si
pone in ascolto della parola di Dio. Anzi, lo si deve dare individuando e
smascherando le potenze malefiche, che inquinano i cuori e fanno del mondo uno
scenario di guerra, di oppressione, di ingiustizia.
Donna e drago si fronteggiano, sembrano quasi contendersi il cielo: per aprirlo
definitivamente o per trascinarlo giù, fino a chiuderlo sopra di noi. Il cielo è
il grande simbolo che custodisce ogni desiderio, che viene dall'alto e va verso
l'alto (“de-sidera”: dalle stelle in latino); senza cielo l'umanità è condannata
ad appiattirsi sulle proprie paure, sugli egoismi, sui fallimenti.
È importante che questo figlio sia da Dio fatto salire in alto, perché in lui e
per lui lo potremo essere anche noi. Dice infatti Paolo: "Prima Cristo, che è la
primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo" (1Cor 15,23).
Maria è di Cristo, da sempre; per questo la proclamiamo assunta in cielo. La sua
appartenenza al Figlio rende anche lei primizia d'umanità sollevata
definitivamente in alto da ogni caducità, da ogni negatività, da ogni morte. E
Maria lo è, come avverrà di tutti noi, a partire dal corpo; cioè dalla
concretezza della sua umanità, della sua storia, degli eventi che l'hanno
segnata e si sono come scritti nella sua corporeità.
Lo si intuisce anche dallo splendido incontro tra lei ed Elisabetta, incontro di
corpi gravidi di vita e per questo esultanti per le grandi opere di Dio.
Il primo a sussultare è il corpo dell'anziana, attraverso il figlio che lo abita
per dono dall'alto e già nella visitazione si fa precursore del Cristo.
Prorompe poi Maria, in un cantico che — in linea con altri canti di donne
bibliche — verrebbe da pensare accompagnato da movenze di danza: "L'anima mia
magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore" (Lc
1,46-47).
Colei che sarà assunta, portata in alto dal Figlio stesso (come interpretano
l'assunzione le icone orientali, dove Gesù abbraccia quel corpo della madre che
l'ha più volte abbracciato), canta nel suo inno il gesto di Dio che rialza
l'umanità povera, umile, oppressa, affinché anche il più derelitto non sia
privato del suo pezzo di cielo già su questa terra.
Celebrare l'Assunta è quindi una concreta profezia di speranza per ogni realtà
schiacciata sotto il peso del negativo, raggiunta da un vangelo che risolleva e
porta in alto.
Dario Vivian
da E u dolce come miele
ISG Edizioni LDC, Torino, 2009