Nell’incantevole cornice di Camaldoli si è svolto alla fine di giugno
l’annuale convegno biblico della rivista Parola, Spirito e Vita (PSV). Giunta
alla 29a edizione, l’iniziativa - cresciuta grazie anche all’accoglienza della
comunità monastica ivi presente - ambisce a essere strumento di formazione e
approfondimento delle Scritture per laici, religiosi e religiose, sacerdoti.
Quest’anno il tema di studio ha ripercorso il racconto evangelico di Marco sotto
la guida di don Massimo Grilli, docente di Nuovo Testamento presso la Pontificia
università gregoriana di Roma.
La storia di Loli e la potenza di Dio
Di solito si attribuisce al vangelo di Marco il ruolo di “iniziazione” alla vita
cristiana. La sua lettura sarebbe pertanto vivamente consigliata ai catecumeni o
a quanti si accostano per la prima volta al messaggio evangelico. Tuttavia non
ci pare si debba esaurire la sua prospettiva in quest’unica angolatura. Per
esempio, - ed è quanto si è tentato di fare durante il convegno – ci si potrebbe
chiedere quale immagine di Dio traspare in Marco e, di conseguenza, che volto di
chiesa trasmettiamo. A questo proposito, vale la pena raccontare una piccola
storia, quella di Loli, una religiosa straordinariamente fiduciosa nella forza
di Dio: «Loli aveva 26 anni, al secondo anno di professione temporanea in una
famiglia religiosa di carisma francese fece questa esperienza. Aveva acquisito
attraverso il catechismo fin dalla sua adolescenza un assioma su Dio che
continua a ripetere nel Credo ogni domenica: “Credo in Dio Padre onnipotente”.
Non le era mai venuto in mente di mettere in discussione questa formulazione
fino al giorno di settembre. Quell’anno durante l’estate viene destinata in un
piccolo villaggio dell’Algeria. Nel piccolo villaggio non era mai successo nulla
di eclatante, fino al giorno in cui i fondamentalisti islamici arrivarono e
tagliarono la gola alle tre ragazze più intelligenti del gruppo, davanti a tutte
le altre. Tutte erano sotto shock. L’impotenza assorbì perfino la rabbia. In
seguito, per alcune settimane, Loli percepiva sempre meglio l’impotenza e la
radicale debolezza propria e delle consorelle, ma non capiva come queste
trovassero ancora sensato rimanere lì. Al suo ritorno in Spagna, incominciò a
provare un’immensa ostilità verso Dio. Dio non è onnipotente come afferma il
Credo; Dio è impotente e inutile. Lui, in un momento tanto tremendo, non aveva
fatto nulla. Nemmeno lei, che era lì nel nome di Dio, poteva fare nulla».
Ebbene, è proprio così: Gesù e il suo mistero è comprensibile solo
incamminandosi su sentieri di nullità e impotenza. Vediamoli più nel dettaglio.
Cammini spirituali paradossali
Paradosso nei dizionari di lingua italiana viene definito come una proposizione
contraria alla comune opinione ed aspettativa. Perché il vangelo è un paradosso?
La risposta la rintracciamo in alcuni episodi che velano e svelano Gesù e stanno
a indicarci come anche la vita del credente è attraversata dalla spiritualità
del paradosso. Il racconto marciano si apre con il titolo: «Inizio del vangelo
di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). Si dischiude la buona notizia di Gesù
che possiede l’appellativo di Figlio di Dio. Il cammino del discepolo di ogni
tempo è, in fondo, conoscere e riconoscere questa presenza nella sua vita
personale. Ora, il termine “Figlio di Dio” lo incontriamo solo in altri due
testi. Il primo in 3,11 e sono gli spiriti impuri che al vedere Gesù cadono ai
suoi piedi e gridano «Tu sei Figlio di Dio». E verso la fine del vangelo, sotto
la croce, è un centurione che stupito nel vedere il modo con cui Gesù muore,
esclama: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!». Nell’ora del buio e del
nascondimento si apre per un pagano la luce del Messia. Nessuno dei discepoli
riconosce Gesù come Figlio di Dio, ma solo gli spiriti impuri e un pagano. Non è
paradossale tutto questo?
A titolo esemplificativo presentiamo sei episodi “paradossali” del racconto di
Marco: il battesimo di Gesù, la proclamazione dell’evangelo, la forza dei
prodigi, la fede del padre dell’epilettico, l’abbandono di Dio, la fuga delle
donne.
Un Dio vicino I discepoli lontani
I primi due episodi sono strettamente correlati alla testimonianza di Giovanni
Battista. Gesù, il messia nascosto approda finalmente alla sua epifania con il
battesimo nel Giordano. I cieli si squarciano e da questo momento la voce di Dio
ha un solo nome: Gesù, il Figlio amato del Padre (Mc 1,9-11). Ci aspetteremmo
ora l’inizio di un cammino pubblico di Gesù che fa udire la sua voce in mezzo
alla gente. Al contrario, lo Spirito spinge Gesù nel deserto, luogo della
precarietà, del silenzio, luogo del nulla. Perché? La voce di Dio – sembra
suggerirci Marco – si ode nel silenzio della prova (Es 23; Os 2,16).
Subito dopo, il racconto prosegue con il ministero di Gesù in Galilea che
inaugura la sua predicazione a Cafarnao. Il lettore viene informato della
giornata tipica di Gesù. Ma la proclamazione del vangelo prende avvio da
un’annotazione di cui conosciamo l’esito tragico: l’arresto di Giovanni
Battista. Ed anche qui incontriamo un ulteriore paradosso: la prigione che fa
tacere il testimone di Dio non può trattenere la parola libera e liberante del
profeta Gesù.
Il ministero di Gesù è contrassegnato da azioni di guarigioni ed esorcismi
L’opera messianica di Gesù consiste primariamente nella liberazione dell’uomo
dalle alienazioni del corpo e dello spirito. Gesù opera molti prodigi. Ma,
attenzione, essi non sono atti di magia o prove della sua santità. E non sono
nemmeno destinati alla glorificazione di Gesù. Essi stanno a dimostrare che la
parola di Gesù è efficace e che l’uomo viene ricostituito nella sua pienezza
umana, in totale armonia con Dio e la società. Ma nonostante questo, Gesù cerca
il nascondimento. Marco annota come egli abbandona in segreto Cafarnao e si
ritira in un luogo deserto a pregare (Mc 1,35-39), imponendo perfino il silenzio
riguardo alla sua identità (Mc 3,12). Gesù rivela il volto di un Dio
compassionevole, che si china sulle ferite delle persone e, paradossalmente, le
autorità religiose contestano tutto ciò (2,1-12), coloro che dovrebbero capire
ed essere vicino a lui non comprendono e si allontanano da lui (cf.
l’incomprensione dei discepoli a riguardo della parabola del seminatore e
l’episodio della tempesta sedata: Mc 4,13; 4,35-40). I discepoli sono
fisicamente vicini a Gesù, ma rivelano poca intelligenza nella comprensione
della crescita misteriosa del Regno di Dio. La loro sequela è sempre più
contrassegnata dalla distanza spirituale rispetto al loro maestro. Essi
falliranno nel loro cammino. Ma qui si mostra la sua paradossalità: è la fedeltà
di Gesù che permette ai suoi di divenire quello che sono chiamati ad essere.
L’impotenza che salva
Al termine del racconto della trasfigurazione (Mc 9, 2-12) e prima del secondo
annuncio della passione Marco inserisce l’episodio della guarigione
dell’epilettico. Dobbiamo leggere questo brano nel contesto del cammino di Gesù
verso Gerusalemme (8,31—10) all’interno del quale gli esegeti evidenziano la
ripetizione non casuale della parola “via”. I discepoli hanno fallito (9,18),
incapaci di ricalcare le orme del loro maestro. L’amarezza di Gesù è grande e si
esprime con un duro rimprovero (9, 19). Non è qui il caso di commentare il
testo, ma soffermiamoci sulla scena centrale del dialogo di Gesù con il padre
del ragazzo epilettico (9,21-24). Il padre rivela a Gesù tutta la sua debolezza
e fragilità, il suo credere ma anche il suo bisogno di ripartire e di essere
accompagnato nella fede («credo; aiuta la mia incredulità!»), cosa che i
discepoli non sono stati in grado di fare. Ed è a motivo della sua debolezza,
della sua impotenza di padre e credente che a suo figlio sarà donata la pienezza
di vita smarrita. Marco usa qui lo stesso verbo della risurrezione («lo fece
alzare» 9,27; cf. 16,6). Come non intravedere qui lo stesso cammino di Gesù: il
Figlio di Dio ci salva con la sua impotenza!
Il grido di Gesù sulla croce «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato»
(15,34) è interpretato oggi come un atto di fiducia verso Dio. Gesù sperimenta
in quell’ultima ora anche il silenzio di Dio, così come ogni uomo e donna sulla
terra. L’abbandono di Dio, diventa per Gesù l’ultimo atto di abbandono in Dio.
Il Messia ci ha preceduto in questo cammino abitando la notte del dubbio e
dell’abbandono.
Il vangelo di Marco termina con un ultimo paradosso. Nella finale breve (Mc
16,1-8) ritenuta l’autentica, le donne dopo l’annuncio della risurrezione di
Gesù, fuggono via piene di paura (16,8). Come è possibile terminare una buona
novella con la paura e il silenzio? Non sta forse qui il punto di approdo tra il
racconto evangelico e i nostri cammini spirituali personali e comunitari?
Silenzi, dubbi, paure avvolgono le nostre quotidianità. Non di rado quando si
parla di “sfide” e del rilancio della vita consacrata vi si proietta un certo
senso di frustrazione e depressione. Certo, le motivazioni sono molteplice e
ragionevoli: il peso delle strutture, l’invecchiamento del personale, il venire
meno di vocazioni, il secolarismo che abita le nostre comunità religiose ecc.
Perché non vivere tutto questo secondo una spiritualità paradossale? Una
spiritualità del “nonostante”. Nonostante tutto, il Crocifisso Risorto ci
precede. A noi, il coraggio di non sentirci troppo perfetti e diversi dai
discepoli del racconto di Marco.