Molti stati africani hanno celebrato in questi mesi recenti il cinquantesimo
anniversario della loro indipendenza dal potere coloniale, altri si preparano a
farlo nei prossimi mesi. Non sono mancate le celebrazioni di questo traguardo,
ottenuta intorno agli anni ’60, grazie ai movimenti di liberazione che hanno
scosso il giogo coloniale e fatto entrare gli stati africani nel consesso
mondiale. Oggi quasi tutta l’Africa è indipendente. Tuttavia molti osservatori
hanno fatto notare che le celebrazione di questa ricorrenza sono state piuttosto
discrete e quasi in sordina, un fatto sorprendente per un popolo che ama le
feste per le quali è sempre pronto a spese che noi europei condanniamo come
inutili sprechi. Se questa volta l’Africa non ha celebrato, ci deve essere
qualche ragione. In realtà che cosa avrebbe dovuto celebrare?
Un momento difficile per l’Africa
Una prima ragione che ha portato a mettere la sordina alle celebrazioni e a
contenere le spese è stato senz’altro il difficile momento attuale, segnato
dalla crisi economica mondiale che in Africa si è ripercossa in modo più forte
che in altri continenti. La crisi, che ha scosso la finanza e l’economia del
mondo, ha di fatto peggiorato la situazione di povertà e di stagnazione che già
caratterizzava il continente, dove il 32% della popolazione soffre letteralmente
la fame. Questa percentuale è aumentata dell’11% nel corso del 2008: una
“catastrofe umana”. A usare quest’espressione è stato Benedetto XVI in un
discorso pronunciato il 29 maggio 2009 accogliendo le lettere credenziali di
alcuni ambasciatori. La crisi economica si è sovrapposta alla crisi alimentare.
L’Africa fa fatica a inserirsi nel processo di globalizzazione di cui essa non è
affatto protagonista ma vittima, perché non è in grado di competere alla pari
con gli altri soggetti mondiali. E anche se l’Africa è il continente che
fornisce agli altri le materie prime, essa è diventata oggi continente di
conquista, a cui tutti i colossi mondiali della globalizzazione, Stati Uniti,
Unione Europea, Cina, India e Brasile si rivolgono cercando materie prime e, in
particolare, idrocarburi, acqua, terre da coltivare… Questo è il paradosso
dell’Africa: un continente ricchissimo, forse il più ricco e nello stesso il
continente più povero e l’ultimo ad accedere allo sviluppo economico e
industriale. L’Africa non è ancora soggetto del suo sviluppo, essa è oggetto
della concupiscenza mondiale e, quando le va bene, della compassione mondiale,
della quale tuttavia non è figlio lo sviluppo e la crescita.
È facile capire che parlare di Africa espone a una pericolosa generalizzazione,
perché di afriche ce ne sono … tante quante sono gli stati o forse quante sono
le culture e le nazioni che la compongono. Il discorso dovrebbe essere rifatto
per ogni stato e ogni nazione. Tuttavia è possibile individuare alcune linee
comuni che emergono come una costante che attraversa tutto il continente,
soprattutto nella sua realtà sub-sahariana, senza peraltro escludere del tutto
l’Africa mediterranea. Quali sono queste tracce comuni all’intero continente?
Sviluppo rallentatoe anche bloccato
Anzitutto dobbiamo constatare che c’è un rallentamento dello sviluppo che
riguarda tutta o quasi tutta l’Africa, fatta eccezione di qualche stato (quelli
del NEPAD, Sud Africa, Ghana, Nigeria, Senegal e Kenya). Questo ritardo nello
sviluppo economico e industriale non è dovuto solo alla crisi attuale in corso,
ma è da imputare a un’economia poco diversificata ereditata dalla colonia, che
non si ripercuote nel benessere della popolazione, la quale deve sviluppare per
proprio conto un’economia di sussistenza per le famiglie. L’Africa che è un
continente a vocazione agricola vede la sua economia fondata per l’80% sulle
esportazioni di petrolio, di materie prime, di prodotti agricoli industriali,
come il cotone, il tè, la canna da zucchero, l’agave e le fibre industriali e il
legname pregiato. La crescita è in negativo: nel biennio 2006-2008 tale crescita
era stata del 6% (dell’8% in certe regioni dove c’è petrolio), mentre
nell’ultimo anno 2009 essa è stata contratta al 2,5%. Le prospettive, ancora
aleatorie, contano su una crescita che giunge al 4,5% per l’anno corrente e al
5,2% nel 2011. Ma ci si arriverà? Gran parte dei paesi africani, secondo il
rapporto del programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), occupa 22 degli
ultimi 24 paesi in fondo alla lista di quelli meno sviluppati del mondo.
Va anche detto che la crisi economica mondiale è solo una causa di questo
ritardo, ci sono altri fattori che sono fuori della crisi, come le leggi
commerciali sfavorevoli, la corruzione dei governi e dei privati, il malgoverno,
uno sfruttamento dissennato delle risorse, un sistema educativo, sanitario e
politico che non favorisce lo sviluppo. In ogni caso il sottosviluppo persiste e
il risultato è che le nuove generazioni (in Africa il 70% della popolazione è
sotto i 30 anni ) tendono ad abbandonare il loro paese per emigrare in America o
in Europa dove possono vivere più facilmente e senza troppi problemi.
La presenza di nuovipoteri “coloniali”
Un secondo tratto comune presente un po’ dappertutto attraverso il continente è
la presenza di nuove potenze coloniali, diverse dalle antiche nelle forme
esterne ma uguali nei danni che provocano. La prima nuova potenza neo-coloniale
è la Cina che sta arrivando ovunque e che in Africa vede una speranza di
accaparrarsi le materie prime e, in particolare, gli idrocarburi necessari al
suo rapido sviluppo. In cambio essa offre infrastrutture, come strade e
costruzioni di building comunitari (scuole, strutture governative, ospedali), e
prestiti agevolati. Si dice che attualmente la Cina abbia in corso prestiti fino
a 10 miliardi di dollari in Africa. In questo modo, senza alcun ritegno essa sta
occupando quel posto che finora era tenuto dalle ex-potenze coloniali. Ma non è
solo la Cina. Anche i paesi del Golfo Persico stanno interessandosi all’Africa
alla ricerca di terreni agricoli al fine di approvvigionarsi dei necessari
prodotti alimentari, con una conseguenza paradossale: l’Africa che, secondo la
Banca Mondiale ha il 90% delle terre agricole disponibili, non riesce a
garantire ai suoi abitanti la sicurezza alimentare!
In questi anni si stanno aprendo nuovi scenari di accesso agli idrocarburi nella
regione dei Grandi Laghi, già destabilizzata a causa dello sfruttamento delle
materie prime. Si pensi al Nord e al Sud Kivu, dove abbonda l’oro, il coltan, la
cassiterite, il rame ecc. Sul fondo del Lago Alberto è stato trovato un
giacimento di petrolio e l’Uganda ne sta già mettendo sul mercato le necessarie
concessioni. Ma anche le riserve di petrolio sulla terra ferma della regione dei
Grandi Laghi sono contese tra la francese Total, la britannica Tullow Oil e la
cinese CNOCC.
Anche l’India e il Brasile stanno seguendo l’esempio della Cina e si stanno
aprendo all’Africa. Non per beneficenza! L’India cerca materie prime e offre
investimenti, l’ultimo dei quali è una raffineria di petrolio in Angola, uno dei
giganti petroliferi africani insieme con la Nigeria. Il Brasile, da parte sua,
moltiplica le dichiarazioni di solidarietà per l’Africa per cercare, con essa,
di spostare l’asse politico e geostrategico mondiale dal G8 al G20, coinvolgendo
i paesi africani accanto a quelli ormai affermati.
Tutti questi interventi, e tutte queste iniziative ci rivelano solo che l’Africa
non solo non riesce a produrre uno sviluppo economico e sociale che sia
durevole, ma che essa è, ancora una volta, alle prese con una forma di nuova
colonizzazione che altro non è che una forma di dominazione da parte di paesi e,
più spesso, di compagnie multinazionali anonime che, in tempo di
globalizzazione, sono più potenti degli stessi governi. La ricchezza dell’Africa
è la causa della sua povertà. Per paradossale che questo possa sembrare, questa
è la dura verità. Come poteva l’Africa celebrare nella gioia l’anniversario
della sua indipendenza?
L’apporto dell’Africa al mondo
Il discorso dell’indipendenza ci porta ad un’ultima considerazione che è
formulata come una domanda: ma allora, l’Africa non ha nulla da offrire alla
comunità mondiale? È destinata solo a ricevere e a ricevere in modo umiliante e
alienante?
Non sarà il caso di ricordare che, pur cenerentola dello sviluppo economico e
industriale, è tuttavia una riserva di umanità per tutta l’umanità? Gli spiriti
più illuminati lo sanno e lo dicono. L’Africa potrà contribuire alla
civilizzazione (o per meglio dire alla ri-civilizzazione) del mondo con i valori
umani che essa ha ancora e che può offrire al mondo di oggi così imbarbarito
dalla caccia al profitto e dalla volontà di potenza. Il rispetto per la persona
umana e per la vita, il senso della comunione e della comunità, la capacità di
ascoltare, dialogare e di discutere prima di passare alla soluzione violenta
delle divergenze, il senso di Dio e della sua presenza nel mondo dell’uomo …
sono alcuni valori che la modernità e la postmodernità occidentale hanno perduto
e che, per fortuna, sono ancora conservati dal mondo africano. Sperando che la
cultura planetaria globale non eroda e distrugga anche questi.
Ed è alle religioni e alle Chiese cristiane, in particolare alla Chiesa
cattolica, che incombe la missione di salvare questi valori grazie all’impegno
per l’inculturazione del Vangelo in Africa. Se l’occidente ha portato il mondo
alla globalizzazione livellando tutti i valori sul valore economico, “tocca
all’Africa evangelizzare questo mondo nella sua stessa globalità “, dice il
teologo congolese Kä Mana . La globalizzazione promuove la volontà di potenza,
lo sfruttamento e la dominazione degli altri, l’idolatria del mercato e la
dittatura degli interessi economici e geostrategici. La missione dei cristiani
d’Africa, dice ancora lo stesso teologo africano, sarà di riportare Cristo e i
valori umani e cristiani al cuore di questo processo per riaprire “il dialogo
delle civilizzazioni, la reciproca fecondazione della sapienza dei popoli e la
comune costruzione di un benessere condiviso”.
A partire dall’Africa, la missione della Chiesa sarà proprio quella di salvare
l’umanità e dei suoi valori, non solo in Africa ma anche nel mondo intero.
L’inculturazione del Vangelo in Africa sarà la strada della vera indipendenza.