I discepoli vedono Gesù immerso in un dialogo profondo, intimo e prolungato
con Dio (Lc 11,1-13) e non possono fare a meno di chiedergli il segreto della
sua preghiera. L’esempio di Gesù è eloquente al punto da far sorgere in loro la
necessità di conformare la loro preghiera alla sua. Gesù conferma l’intuizione
dei suoi, affermando:”Quando pregate dite Padre”. Mettetevi cioè in un rapporto
di figliolanza con Dio che è Padre, il “Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17), il
“Padre di tutti” (Ef 4,6).
La preghiera cristiana è pregare come Cristo e in Cristo, perché lui,
“primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29) ci associa alla sua preghiera al
Padre. La preghiera di Gesù prende le mosse da due richieste: “sia santificato
il tuo nome, venga il tuo regno”, che hanno Dio per protagonista. È Dio stesso
infatti a dover “santificare il suo nome” (cf. Ez 36,23) in mezzo a noi, a
manifestarsi cioè, per come Egli è, nella pienezza della sua identità che è
appunto la santità. Ma Gesù prega anche che Dio realizzi il suo regno, che esso
giunga a compimento.
La preghiera di Gesù e, dunque, la preghiera cristiana è, innanzitutto, un
renderci sempre più disponibili e capaci di accogliere la salvezza che ci viene
incontro come dono dall’alto. È un progressivo e deciso fare posto a Dio,
dandogli il permesso di manifestare la sua santità in noi e facendo avanzare il
suo regno a partire dalla possibilità di esercitare la sua benevola signoria
nella nostra vita.
Altre tre richieste completano il Padre nostro. Sono tre domande che esprimono
le necessità fondamentali del discepolo: il pane, il perdono e la liberazione
dal pericolo dell’infedeltà. È il pane necessario quello che Gesù ci fa
chiedere. È il pane che basta per un giorno, il pane dei pellegrini, come la
manna per gli ebrei nel deserto (cf. Es 16,4). Un pane che non ci faccia
incappare nella tentazione dell’accumulo, che non appesantisca la nostra marcia,
né ci ingolfi fino a rendere goffa o peggio impossibile la nostra sequela.
Il perdono poi, è prima di tutto quello di cui siamo permanentemente oggetto.
Solo se perdonati, infatti, possiamo essere capaci di perdono, capaci di
compiere concreti gesti di riconciliazione fraterna. L’ultima richiesta esprime
la coscienza della precarietà della nostra condizione, sempre esposta al rischio
di soccombere nelle spire del male. È l’esperienza che Gesù stesso ha fatto nel
Getsemani, esperienza nella quale ha esortato i discepoli a pregare “per non
cadere in tentazione” (Lc 22,46).
L’insegnamento di Gesù (Lc 11,5-13) si conclude con una promessa: il dono dello
Spirito!
Un dono che il Padre non farà mancare a coloro che glielo chiedono. Ed è una
promessa non di poco conto. Solo lo Spirito infatti ci consente di rivolgerci a
Dio chiamandolo Abbà. Solo lo Spirito “attesta al nostro spirito che siamo figli
di Dio” (Rm 8,16) rendendoci capaci di quella confidenza e intimità, propria di
Gesù, della quale egli ci rende partecipi e co-eredi. La nostra preghiera sarà
tanto più conforme all’insegnamento di Gesù quanto più la nostra vita sarà una
vita secondo lo Spirito. Solo così il Padre nostro non rimarrà una formula
magica da mandare a memoria e da ripetere, ma sarà il prototipo, il modello di
ogni preghiera cristiana, e ancor più un programma di vita da incarnare.
Francesco Lambiasi
da Il Pane della domenica
Editrice AVE, Roma, 2007