«Educare è cosa del cuore»: per questo bisogna «ritornare al significato più profondo dell'esperienza cristiana come incontro col Cristo». Lo ha detto don Guido Benzi, direttore dell'Ufficio catechistico nazionale della CEI, al 44° Convegno nazionale dei direttori degli Uffici catechistici diocesani, svoltosi a Bologna dal 14 al 17 giugno, sul tema: La questione educativa nell'iniziazione cristiana per le nuove generazioni.
Paola Bignardi, membro del comitato per il progetto culturale della CEI, ha poi affermato che la comunità cristiana sarà soggetto di educazione e di evangelizzazione solo se saprà rimettere a fuoco l’idea stessa di comunità cristiana. «Occorre ridirci quali sono gli elementi essenziali di essa, distinguendoli da quelli accessori. Parola, liturgia, carità: questa è la struttura portante di ogni comunità cristiana. Struttura che dà solidità e identità. Sappiamo che questo e non altro connota profondamente la comunità dei credenti nel Signore Risorto. Possiamo rischiare di dare per scontato anche questo, ma il non vigilare nel distinguere tra ciò che è essenziale e ciò che è accessorio, genera comunità cristiane che perdono la loro originale identità e rischiano di affannarsi dietro tante cose, perdendo di vista la loro ragion d’essere.
La comunità cristiana ha bisogno di cura per i legami tra le persone. Potrebbe apparire un elemento accessorio, in effetti è una delle manifestazioni più delicate e umane della carità, che ha inizio all’interno della comunità per trasformarsi in energia buona che contribuisce a costruire un mondo a misura della dignità di ogni persona, del disegno che Dio ha su ciascuna di esse. Comunità anonime e fredde non possono apparire il volto umano di un Dio che è Amore».

Perché il mondo creda

Mons. Marcello Semeraro, presidente della Commissione episcopale per la dottrina, l’annuncio della fede e la catechesi, nel suo saluto ai convegnisti, ha sottolineato come il 40° anniversario del “Documento Base” continui a offrirci l’opportunità di riconsiderare l’impegno pastorale e catechistico della Chiesa italiana. «L’impresa deve coinvolgerci tutti, perché ci stanno a cuore l’annuncio del vangelo e l’educazione nella fede delle nostre comunità. Partecipiamo tutti della missione originaria della Chiesa e non possiamo fare a meno di farlo, perché inviati, appassionati» e chiamati a essere “una cosa sola … perché il mondo creda” (cf. Gv 17, 21). Queste parole di Gesù ci ricordano che la prima testimonianza che tutti noi siamo chiamati a dare è quella legata al nostro essere Chiesa, cioè convocati nel nome del Signore per annunciare la sua Parola in quella sintonia propria di chi cammina insieme, sulla stessa Via, consapevoli della direzione indicata. Iniziare alla vita cristiana è già vivere lo stile di Gesù in una comunità concreta, in questo tempo e in un luogo specifico. Affermazione sottolineata anche da Pier Paolo Triani, docente in Scienze della formazione all’Università cattolica di Piacenza: «La qualità dell’azione formativa della Chiesa non dipende esclusivamente dai catechisti; dipende invece in prima battuta dalla significatività delle comunità ecclesiali». E aggiunge che «non esiste comunità cristiana capace di generare la fede e di farla crescere, senza l’espressione ministeriale di persone capaci di mettersi al servizio della comunione e della missione». «Questo suppone anche che si riconosca il senso delle differenze, - ha affermato la Bignardi - che si sappia valorizzarle e favorire la loro integrazione».

La bellezza dell’educare

Vari interventi durante il convegno hanno proposto un’ampia lettura della complessità del nostro tempo e dell’attuale emergenza educativa, ma hanno pure rimesso in luce la bellezza dell’educare. Si parla oggi di “emergenza educativa” per indicare il rischio che c’è nella crescita delle giovani generazioni, «immerse in un contesto che pare essere travolto dai rapidi e accelerati cambiamenti in atto, contesto in cui la stessa relazione educativa è minacciata e resa più debole. Nell’assumere con rinnovato impegno la responsabilità di educare, è possibile scoprire come non solo essa sia azione irrinunciabile, ma anche intuirne la bellezza e l’intensità. Essa è azione profondamente umana». In proposito Maria Teresa Moscato, docente di pedagogia all’Università di Bologna, si è soffermata sulla “forza educativa del testimone adulto”, sostenendo che è sempre un “volto umano” che media il Volto divino nella sua persona, ed è anche il suggeritore, l’orientatore della “direzione dello sguardo”.
La riflessione sull’educazione, sollecitata dall’attuale crisi dei processi educativi, sta richiamando la responsabilità della generazione adulta, da cui dipende la “regia” delle proposte educative, la capacità di proporsi come punto di riferimento credibile ai più giovani. La comunità cristiana come comunità educante ha il compito di mettere in luce in primo luogo il senso dell’educare: per sé, ma anche per tutti quegli adulti (genitori, catechisti, insegnanti, educatori) che chiedono di essere aiutati a vivere la bellezza dell’educare, al di là della fatica e delle difficoltà che questo comporta. L’educazione costituisce una straordinaria avventura umana; è una forma di “generazione”, è un modo per orientare verso il senso della vita, connotata dal “rinnegare” se stessi e dall’accompagnare con gratuità e fermezza. Un’esperienza fatta dell’esercizio dell’autorità per insegnare a camminare nella libertà; fatta dell’ascesi del dialogo; della pazienza che sempre ricomincia; dell’umiltà di cercare e costruire alleanze educative.

Educazione all’umanità per educare alla fede

Educazione è parola che suscita la passione per la verità e il bene; che apre agli orizzonti dell’interiorità; che fa scoprire il valore della propria vita; la responsabilità di realizzare se stessi secondo un progetto che è inscritto in noi dal dono di Dio; che si inserisce nella storia da cui veniamo, facendo scoprire quella sapienza che realizza l’umanità di ciascuno e che suscita a poco a poco il desiderio di divenirne i protagonisti. Così ha continuato Paola Bignardi nella sua ricca e puntuale riflessione.
«Educazione è relazione che accoglie, che sostiene con autorevole energia. Solo nel suo calore e nella fiducia che genera, può accendersi l’amore alla vita e ai suoi valori.
Educazione è fiducia che fa scoprire i propri desideri più belli e aiuta a credere nelle loro possibilità; che responsabilizza e coinvolge.
Educazione è ascolto e dialogo, dentro una corrente di benevolenza e di affettuosa partecipazione.
Educazione è autorità come energia buona che sostiene nella crescita attraverso la proposta, la regola, anche la correzione, quando è necessaria.
Educazione come esperienza che proietta un altro nel cammino della vita, dell’avventura della libertà, del pensiero proprio, del divenire se stesso, nel dare corpo – nell’ascolto e nel discernimento - al disegno di Dio per ogni persona. Educazione è tutto questo, per ogni educatore, ma anche per ogni comunità cristiana.
Quando in questo percorso di crescita umana irrompe l’annuncio del Signore Gesù, il percorso umano trova la prospettiva della pienezza; e nel Vangelo le parole più intense per dire la vita bella e buona cui aspira; scopre nell’esempio e nella parola del Signore la strada per realizzare i desideri più profondi del cuore. Educazione ed educazione cristiana, educazione all’umanità ed educazione alla e della fede percorrono sentieri che nella persona e nella sua coscienza trovano la loro unità e la loro sintesi. Non si dà educazione alla fede senza educazione dell’umanità, senza crescita della persona nelle sue strutture fondamentali; senza una relazione che trasmetta fiducia. La fede non prescinde dalla persona; non passa oltre la cura dell’umanità».

Alcune priorità nel compito educativo

Alla luce di queste considerazioni, si possono individuare alcune priorità pastorali, che favoriscano da parte della comunità cristiana l’assunzione del suo compito educativo.
«Espressione dell’attenzione alla persona è la capacità di ascolto, di apertura all’altro, di interesse per le sue esigenze e le sue inquietudini. L’ascolto va inteso non solo come esercizio intersoggettivo, ma anche come attenzione al tempo, alla storia, alla cultura diffusa. Vi è quasi sempre un intreccio stretto tra inquietudini personali e grandi questioni del tempo, tra interrogativi della coscienza e fenomeni della società». In merito l’apporto della Bignardi è stato ancora una volta puntuale e stimolante. «Queste considerazioni – ha detto – evocano un progetto catechistico e un’organizzazione pastorale articolata, flessibile, capace di adattarsi alla pluralità delle situazioni esistenziali. Sorge spontaneo l’interrogativo riguardante l’attuale modello di organizzazione della catechesi, quasi ovunque articolato per età e spesso per classi scolastiche; o l’organizzazione della pastorale, molto strutturata, in taluni casi persino rigida, caratterizzata e assorbita da una molteplicità di iniziative che lasciano poco spazio al dialogo, alla relazione, all’incontro a tu per tu.
Non è forse giunto il tempo di ripensare questo modello, di rivederlo criticamente alla luce delle nuove esigenze, della nuova consapevolezza circa l’esigenza di mettere al centro la persona? Alla luce di tutto questo, non è il caso di compiere qualche verifica? Destrutturare l’attuale modello organizzativo non significa scegliere una pastorale del disordine e tanto meno dell’improvvisazione, ma piuttosto una pastorale flessibile, che sa far posto ai carismi e alle soggettività, che sa promuovere, differenziare, valorizzare, incoraggiare l’iniziativa …. Perché l’unica cosa che conta è che il Vangelo sia annunciato!».
Agli adulti occorre tornare a offrire una proposta umana e cristiana che ritrovi la freschezza della novità e che sappia suscitare stupore, per poi maturare in scelte di vita: «occorre coinvolgerli nel cammino della comunità secondo forme di responsabilità che appartengono alla struttura di una personalità adulta.
Gli adulti hanno bisogno di contesti formativi attraenti, “riposanti”, che si rivelino potenzialmente utili per vivere. Occorre allora liberare le proposte che si rivolgono ad esempio ai genitori, nel percorso dell’iniziazione cristiana dei loro figli, dall’impressione di dover pagare un pedaggio per i sacramenti dei figli, perché nessuna Buona Notizia potrà passare da simili percorsi; anche per loro vi è la necessità di mostrare un messaggio cristiano che li sorprenda con la bellezza del Vangelo e delle prospettive che esso apre all’esistenza delle persone e al loro vivere insieme».