Nel modo di pensare comune nelle comunità, l’economo provinciale (è di questo che qui si parla) è ritenuto spesso come un semplice tecnico, un esecutore degli ordini del provinciale e del suo consiglio. Raramente perciò si è dedicato del tempo a riflettere su questa figura e il ruolo che riveste. In realtà, l’economo non è solo un esecutore di ciò che gli altri dicono e decidono. Oltre a essere il principale consulente del provinciale nei problemi economici e finanziari, egli deve essere anche coinvolto in maniera più diretta e professionale nelle decisioni che vengono prese nel consiglio.
Ne è convinto Carlos Del Valle, ex provinciale e direttore della rivista di vita religiosa della Conferenza dei religiosi/e del Cile, Testimonio, in una riflessione pubblicata nel quaderno di maggio-giugno 2010, tutta dedicata al tema della economia in ordine alla missione, e qui un po’ adattata. A suo parere, la mancanza di rilievo nei riguardi degli economi è dovuta probabilmente a una certa confusione che si è creata tra il concetto di povertà e di economia. In pratica si è giunti a separarle, accentuando la prima e dimenticando la seconda. Al contrario, oggi siamo più consapevoli che la povertà evangelica è un’opzione e un impegno del religioso il quale vive in un’istituzione che ha bisogno di risorse economiche. Senza di esse, infatti, lo sviluppo della missione è impossibile.
Il problema perciò non sta tanto nelle risorse economiche in quanto tali, ma nella quantità e nel modo di amministrarle, nella trasparenza della gestione economica. In definitiva, il significato della ricchezza o della povertà nella vita religiosa dipende dal modo e dai criteri con cui si amministrano i beni. Perciò, tenendo conto del modo originale di amministrare i beni proprio della vita religiosa, è necessario prestare maggiore attenzione a coloro che ne hanno l’incarico. Non possiamo perciò eludere la riflessione sul profilo e la missione dell’economo/a nelle nostre istituzioni, nelle nostre province.

Una persona umana bene integrata

Ma qual è pertanto il profilo che deve avere l’economo nella provincia religiosa? Quali le qualità e quali i compiti che gli sono richiesti?
Da un buon economo, osserva p. Del Valle ci si deve attendere prima di tutto che sia una persona umana integrata, piena di umanità, di sensibilità e solidarietà; un uomo maturo che gode e irradia pace interiore, serenità, armonia con se stesso… un religioso che nella sua vita mostra coerenza tra responsabilità civica, spirito ecclesiale e sequela evangelica. Deve essere sempre membro di un’équipe, capace di lavorare insieme con dei fratelli della congregazione e con laici preparati nei campi in cui egli non è competente.
Mi aspetto che il mio economo sia una persona piena di buonsenso, onesta, gioviale e familiare con tutti; un uomo di buone relazioni interpersonali, capace di curare i dettagli che creano generano vicinanza, fiducia, familiarità. Uno che non deve dimenticare che la sua sequela di Cristo è più personale che funzionale, sta più nel tratto che nel compito.
Economo…ossia uomo di idee chiare e dal cuore vivace, sobrio e solidale che lascia trasparire entusiasmo, gioia, inventiva, con un forte senso dell’etica. Deve avere una formazione alla giustizia sociale e un alto grado di coscienza di fronte alla responsabilità civica. Inoltre, cordiale e di buon tratto, poiché la cordialità rende agevoli le relazioni umane. L’atteggiamento cortese è come un balsamo sulla ferita nel divenire della vita comunitaria.
Bisogna che sia consapevole della sua funzione e del suo compito e sia allergico a voler tenere tutto segreto, un atteggiamento questo che genera sempre disinteresse e sfiducia. Al contrario, è fondamentale che sia aperto ad accogliere informazioni e a informare i fratelli in modo chiaro e semplice sullo stato delle finanze, cercando sempre di unire insieme la discrezione con l’onestà. Non dovrà mai trascurare il dovere di condividere un’informazione frequente e generale che aiuti tutti a crescere in consapevolezza e sensibilità circa la situazione economica della comunità provinciale.

Religioso ri-affascinato della propria vocazione

Oggi più che mai la società richiede un’enorme dose di coerenza con la nostra vocazione di vita consacrata anche nell’amministrazione delle risorse economiche. Pertanto la prima cosa che mi aspetterei personalmente dal mio economo è che mi aiuti a far sentire ai fratelli il fascino della loro vocazione poiché credo che, come uomini di Dio, la cosa migliore che possiamo fare nella vita è di rinnovare il fascino per il Signore, per la via da percorrere e la missione. Soltanto coloro che sono animati possono animare, coloro che hanno ritrovato il fascino possono fare altrettanto per gli altri.
È sempre il Vangelo il punto di partenza per poter essere animati, nell’uso e nella gestione di beni, da una vigorosa spiritualità, da un dinamismo che lo Spirito ci dona. Vale a dire, un buon economo provinciale è colui che possiede un forte senso religioso e per questo è capace di concretizzare la sua gestione a partire dal Vangelo. Suo compito fondamentale consisterà nello spendere giorni ed energie con una buona misura di amore e di Vangelo.
Dall’economo provinciale mi aspetto che mostri un forte senso del carisma e della missione propria della congregazione. Come ogni religioso anch’egli deve tenere presenti tre vie per incontrare il Signore: la contemplazione nella fede, la vita in comunità, il servizio dei fratelli. Aprirsi a Dio vuol dire schiudersi a coloro che bisogna servire con passione missionaria. Per questo nella vita quotidiana l’economo deve tenere le orecchie bene aperte: una a Dio per discernere la sua volontà, e l’altra ai poveri per scoprire i loro bisogni. Il suo essere e il suo agire dovranno essere orientati a saper ascoltare-accogliere-rispondere a ciò che Dio vuole e a ciò di cui i poveri hanno bisogno. Non dimentichiamo che ogni religioso è un individuo dal cuore alleato con i poveri.
Mi attendo che l’amministratore nella mia provincia coltivi la teologia della vita consacrata per assumere la povertà evangelica nella sua vita; una povertà che lo porti a promuovere, in atteggiamento solidale, una cultura di austerità, sapendo che la gioia di condividere permette di passare dall’avere all’essere. Sarà proprio questo ad aiutarlo a precisare il significato e la portata della povertà collettiva e istituzionale.
Desidero anche che il mio economo mi trasmetta contagiosamente una grande sensibilità sociale per poter amministrare evangelicamente i beni della comunità.
Solidarietà e condivisione sono oggi la cifra sociale dell’amore. E la comunità religiosa è appunto una scuola di condivisione. La radice del peccato che abbiamo nel cuore ci porta non a condividere ma ad accaparrare per la preoccupazione della sicurezza a tutti i costi. Condividere non è solo dare, ma lasciare che l’altro e i suoi bisogni entrino nella mia vita, mi salvino da quello che posseggo, mi rendano più povero nell’avere per arricchirmi nell’essere-con.
Come persona che opta per un Vangelo vissuto più che insegnato, l’economo non può nemmeno perdere il contatto con i suoi doveri apostolici. Sarebbe molto pericoloso per un religioso economo chiudersi nei suoi compiti amministrativi e lasciar da parte l’impegno apostolico. Bisogna ricordarsi che un tempo eccessivo speso nella funzione si ripercuote negativamente nell’equilibrio religioso della persona. Non invano la sapienza della vita religiosa ci obbliga a porre un limite di tempo nell’esercizio dell’incarico dell’economo. C’è da auspicare che nessuno rimanga in questo incarico più di sei anni.

Per questo compito ci vuole competenza

Un buon economo provinciale è una persona intraprendente. Per definizione il suo compito lo porta a essere creativo, a cercare di costituire fondi e ottenere benefici, raccogliere offerte dai benefattori, ridurre le spese per fare molto con poco.
Un buon economo deve essere una persona capace. Deve avere una conoscenza adeguata in materia giuridica, contabile, economica e finanziaria; deve essere sensibile e sempre preoccupato di avere una sempre maggiore informazione e formazione in modo da possedere una certa competenza nel campo dell’economia mondiale, nella conoscenza dei principi dell’economia moderna e delle tecniche finanziarie attuali.
È importante che si consideri sempre un apprendista; atteggiamento questo che lo porterà ad aggiornarsi sulle leggi che governano il patrimonio, le assicurazioni, la salute, le pensioni, le istituzioni religiose e educative, gli impiegati, l’azienda… Vale a dire è necessario che i nostri economi siano in possesso di una buona formazione in campo economico, sempre configurata dalla giustizia sociale.
Inoltre, l’economo deve essere evangelicamente realista, e si renda conto di come nella vita quotidiana i suoi fratelli vivono la vita consacrata e il modo con cui dispongono e rendono conto della loro amministrazione. In questo senso anch’egli deve essere un formatore e educatore dei suoi fratelli negli aspetti finanziari.
Più in concreto vorrei alludere ad alcuni compiti dell’economo provinciale che mi sembrano necessari per il servizio che è chiamato a prestare nella comunità provinciale:
nella provincia l’economo è il primo ad animare i membri della comunità perché condividano fraternamente i beni;
deve promuovere la trasparenza e la responsabilità in coloro che formano la provincia, aiutandoli a crescere nella coscienza dell’importanza che ha l’amministrazione delle finanze per una vita consacrata incarnata nella società;
fa da consulente dei fratelli nell’elaborazione delle condizioni e della contabilità nelle diverse istanze della provincia, viaggiando e visitando di frequente la diverse case e comunità:
dà orientamenti validi per l’amministrazione delle risorse economiche aiutando gli altri a capire meglio. Stimola la formazione permanente dal punto di vista amministrativo;
promuove ed effettua consulenze interne periodiche nelle diverse unità e comunità religiose, allo scopo di tenere in ordine la contabilità.

In conclusione, scrive Del Valle, la vitalità e la fecondità della vita religiosa dipendono in gran parte dal modo con cui viviamo concretamente la povertà evangelica. Spesso nelle riflessioni parliamo di povertà, di vita semplice, di lavoro e opzione per i poveri. Ma non parliamo molto del nostro rapporto con il denaro, di come lo amministriamo e per che cosa lo usiamo.
Oggi il denaro muove e divide il mondo. Anche nelle comunità religiose l’uso del denaro è spesso motivo di tensioni e di conflitti e persino di infedeltà alla vocazione. Il denaro può orientarci o fuorviarci dal nostro polo evangelico. Moltiplichiamo i bisogni e spesso risulta sempre più difficile stabilire i limiti tra il necessario e il superfluo. In altre parole, come religiosi abbiamo bisogno di fare un discernimento comunitario continuo per orientarci evangelicamente nell’amministrazione e nell’uso del denaro. L’economo provinciale dovrebbe essere il promotore che guida e aiuta ad attuare questo discernimento nelle nostre comunità.
Forse la nostra formazione nel passato ha peccato di uno spiritualismo che in pratica allontana dalla ricerca di Dio in certi compiti del quotidiano. Ecco perché giungiamo a separare il mondo dello spirituale da quello finanziario, assumendo degli atteggiamenti nei riguardi del denaro che di fatto manifestano irresponsabilità, ingenuità, mancanza di libertà e poca generosità. Ci aspettiamo che l’economo sia il sassolino nella scarpa della comunità provinciale, la voce profetica che ci sveglia dai nostri comodi letarghi, più o meno coscienti, che non ci permettono di vivere con coerenza il Vangelo che proclamiamo.