Uno degli interventi anche emotivamente più coinvolgenti nell’ultima
assemblea dei superiori generali (Testimoni n. 12) è stato sicuramente quello di
Judith King. Nata nell’estremo nord ovest dell’Irlanda, da una numerosa famiglia
cattolica praticante, dopo aver frequentato le scuole presso le Suore della
Misericordia, è diventata insegnante in una scuola primaria del Fratelli della
Presentazione della Vergine Maria. Questi, prima della fine del suo primo anno
d’insegnamento avevano deciso di ritirarsi dalla scuola, «ponendo fine a oltre
100 anni di servizio». Ripensando a questa decisione, è fin troppo facile, ha
aggiunto, vedervi «la prima decostruzione del complesso scolastico parrocchiale
della chiesa locale, l’agente, accettato e riverito, che esercitava l’influsso
più potente e formativo nella vita della mia comunità cittadina». Nei successivi
venticinque anni, un’analoga decisione è stata presa anche da tutte le altre
istituzioni locali affidate a dei religiosi/e. Attualmente «nessun istituto
religioso - maschile o femminile - ha del personale coinvolto in alcuna
istituzione educativa o sanitaria della città». Quanto è avvenuto localmente «è
stato replicato a livello nazionale».
Di fronte a questa generale ritirata, ha aggiunto la relatrice - attualmente
terapista e consulente presso la diocesi di Dublino e presso numerose
congregazioni religiose -, la popolazione irlandese «ha cominciato ad adattarsi,
accettando e persino accogliendo favorevolmente questo panorama, anche se
modificato in maniera radicale».
Nello stesso tempo gli irlandesi hanno «imparato a sopravvivere anche alle
sporadiche rivelazioni di abusi fisici e sessuali di bambini che avevano
cominciato a emergere». In questi ultimi nove mesi, le cose sono precipitate in
una maniera inimmaginabile. Sono molti i cattolici irlandesi che oggi «stanno
sperimentando una profonda disillusione e quasi una disperazione» a causa degli
abusi sessuali su minori commessi anche da alcuni sacerdoti e da alcuni
religiosi. È una disperazione causata in gran parte anche da tutti i tentativi
d’insabbiamento e di cattiva gestione da parte spesso di quanti occupavano
posizioni di governo.
Quale futuro per la vita consacrata?
In questa situazione, non si può non porsi una domanda: «Com’è possibile
esplorare il futuro della VC quando la chiesa istituzionale in Irlanda è stata
così screditata e il cattolicesimo stesso è stato posto in questione in modo
così radicale?». Com’è possibile «discutere di vita religiosa o del futuro del
cattolicesimo avendo alle spalle i rapporti (dei giudici) Ryan e Murphy?». Non
avere il coraggio di affrontare il problema, fa capire Judith King, sarebbe
peggio. Partendo da una riflessione su questa dolorosa situazione, dovrebbe
essere possibile dire qualcosa «di significativo per il futuro della vita
religiosa in altri paesi europei», incominciando con il vedervi, nonostante
tutto, «l’azione di Dio in mezzo a noi». Infatti, «noi non saremo in grado di
vedere quella cosa nuova (Is 43,19), se non crediamo che Dio si serve delle
tenebre come di un velo (Sal 17), se non siamo a nostro agio con l’idea che la
tenda di Dio sia nascosta nella nube di acque oscure».
Mai come in situazioni del genere «siamo profondamente sfidati come discepoli a
essere profetici, a riconoscere apertamente e a non rimpiangere la scomparsa di
ciò che è vecchio mentre simul¬taneamente siamo coinvolti nel far nascere il
nuovo». Come ricorda l’episodio di Nicodemo (Gv, cap. 3), non si può rinascere a
vita nuova, senza «tornare indietro», senza «lasciar cadere tutte le protezioni
intime e anche le agende zeppe di progetti e di doveri religiosi», senza «una
profonda metanoia».
«Quando penso al futuro della VC in Europa, sono convinta che esso richiederà da
voi uomini un sussulto di fede e di fedeltà altrettanto radicale, drammatico ed
esi¬gente di quello richiesto a Nicodemo». Ma prima «dovrete lasciar morire ciò
che ha bisogno di morire, in modo da consentire alla nuova cosa di Dio di avere
tutto lo spazio e l’energia necessaria per emergere». Subito dopo, «dovrete
testimoniare la Resurrezione, sostenendo la nuova fioritura del lavoro per il
Regno».
Il giorno in cui «non sarete più membri del Sinedrio», quando «sarete spogliati
di tutto il vostro prestigio religioso», allora ci saranno dei responsabili dei
gruppi cristiani e delle comunità «di cui voi farete parte o che visiterete»,
anche se non avranno una grande formazione in fatto di Scrittura o di
Tradizione. Saranno proprio loro i testimoni della «cosa nuova che Dio sta
facendo in mezzo a noi». Il loro fuoco, la loro passione e la loro capacità di
guarire «verranno riconosciuti e confermati da voi come un dono dello Spirito».
La grande sfida per coloro che sono chiamati alla VC, è quella di saper
diventare «persone che apprendono con altri». Secondo Bryan Massingale «sta
venendo una nuova Chiesa. Sarà più oscura e povera, più inebriante e femminile,
meno clericale e più collegiale, meno preoccupata della carità e più cosciente
della giustizia e più poliglotta e policentrica di quella che noi cono¬sciamo
oggi. Sarà una Chiesa nuova, ma potrà arrivare soltanto con il superamento di
quella attuale».
Ora, la morte dell’una e il parto dell’altra, ha aggiunto Judith King, «saranno
il compito di coloro che consacrano la loro vita a Dio». Si tratta «di ritornare
alle radici del messaggio e del ministero di Gesù di Nazareth e al rito
essenziale dello spezzare il pane e del condividere il calice». Profeticamente
si dovrà sfidare lo status quo politico, economico e sociale. Sarà inevitabile,
per questo, ritrovarsi «tutti relegati ai margini, condannati a prenderci la
nostra croce, a essere per il Regno e per i poveri e gli oppressi». Questa è una
grande sfida, per i religiosi e per i laici insieme. «Per quanto, infatti, noi
laici possiamo essere persone piene di entusiasmo, non siamo in grado di
rispondere da soli a questa sfida. Abbiamo bisogno del vostro aiuto, del vostro
incoraggiamento e della vostra assistenza».
Alcune priorità per i laici e i religiosi
Ci sono alcune priorità che i laici stanno cercando e che invece dovrebbero
essere «già presenti nelle comunità che voi rappresentate». Anzitutto, una
rinnovata sottolineatura dell’essere piuttosto che del fare. A questo riguardo
«noi laici abbiamo notato la drammatica crescita di attività intraprese da una
grandissima parte delle congregazioni religiose, nonostante la diminuzione nei
numeri e l’accresciuta età media». Se come scrive Albert Nolan, l’attività è
«uno dei grandi peccati del nostro tempo», allora, ha aggiunto la relatrice
rivolgendosi ai superiori generali, «uscite da tutti i vostri progetti! Assumete
e vivete in pienezza la realtà dei vostri carismi», privilegiando l’ospitalità
verso tutti: l’amico, il visitatore, l’estraneo, l’emarginato, il rifugiato e
prendendo sul serio la profezia di Karl Rhner secondo il quale il cristiano
impegnato del futuro «o sarà un mistico... oppure non sarà più nulla affatto».
Inoltre andrebbero riviste certe modalità di organizzazione delle attività e di
rapporto tra le persone. Certe consuetudini patriarcali, autoritarie, razziste
del passato oggi non hanno più ragion d’essere. Nessuno come i religiosi
dovrebbe avere la straordinaria opportunità di impostare, non solo teoricamente,
ma anche in pratica, i rapporti fra le persone partendo dal presupposto che
tutti, comprese le donne, sono uguali a Dio. É la premessa più sicura per
superare tutte le forme di discriminazione, di esclusione, di razzismo.
Compiendo un passo ulteriore, è anche possibile arrivare a una piena
condivisione del carisma di un determinato istituto religioso anche da parte dei
laici. In questo modo la scelta di condividere la vita, la fede, la missione, in
un contesto sempre più individualista come quello attuale, può diventare una
testimonianza contro-culturale di straordinaria importanza. Se finora parlando
di comunità si era posto l’accento sulle relazioni interpersonali, ora è forse
il caso di prestare più attenzione alla condivisione anche di una spiritualità,
di un impegno apostolico. La condivisione comunitaria può diventare una
provocazione per la società di oggi, tutte le volte che si devono prendere delle
decisioni a proposito di cibo, vestiti, rifiuti, tra¬sporti, proprietà,
personale, anche in vista di un impegno più coerente per la giustizia, la pace e
l’integrità del creato. «Abbiamo bisogno di vedere un tale modo di vita
sostenibile, semplice e corretto realizzato in uno stile di vita quotidiano e
praticabile». Anche il coinvolgimento dei laici, da parte dei religiosi, nella
riflessione teologica è un obiettivo sempre più urgente. «Come cattolici
irlandesi abbiamo valutato con una certa delusione il fatto che, a causa degli
scandali per gli abusi sessuali e fisici degli ultimi quindici anni, non sia
stato espresso alcun commento o non sia stato offerto alcun contributo
ecclesiale a proposito delle questioni teologiche discusse nel nostro paese».
Anche i laici sono sempre più convinti di meritare «la migliore formazione
teologica possibile». Questa, infatti, non dovrebbe essere riservata solo a
quanti s’impegnano nella VC. Perché le congrega¬zioni religiose in Europa,
allora, non assumono un ruolo di guida e di sostegno nella formazione teologica
dei laici, «non come una forma pa¬storale diluita, ma piuttosto come una
formazione completa, rigorosa e critica»?
In Irlanda, oggi più di ieri, molte persone hanno un bisogno intenso «di luoghi
e spazi tranquilli e ristoratori nei quali possano riformulare le loro priorità,
trovare rifugio e guarigione e ritornare rinnovate e rinfrescate al ritmo della
loro vita quotidiana». In un contesto irlandese come quello attuale, il
bombardamento dei media sta mettendo in serio pericolo la salute e l’equilibrio
umano non solo dei religiosi, ma anche dei laici. Come laici «abbiamo bisogno di
spazi aperti e consacrati alle celebrazioni e alla comunione che riconosca la
dignità e l’uguaglianza di ogni persona e di ogni creatura sulla terra, e che
consideri Dio come la fonte e il culmine di tutto ciò che esiste». Se è vero che
ci sono già spazi in cui le persone possano trovare una risposta alle loro
esigenze personali anche sul piano religioso, oggi però non bastano.
Sale della terra e luce del mondo
Mai come oggi, infatti, i laici «sono sfidati dal contesto multi-religioso sia
nei luoghi di lavoro e in quelli del tempo libero». Nel pieno rispetto delle
differenze religiose delle persone incontrate, però «noi laici vorremmo essere
più capaci di parlare con fiducia delle nostre stesse tradizioni». Soprattutto
«vorremmo saperci impegnare in un dialogo aperto e rispettoso con gli
insegnamenti e le tradizioni delle altre religioni». Chi più delle congregazioni
religiose europee dovrebbe essere in grado di offrire un solido contributo ai
laici in questo campo?
Concludendo il suo intervento, Judith King sente l’esigenza di richiamare
l’invito evangelico, rivolto a tutti i discepoli del Signore, a essere sale
della terra e luce del mondo. Forse tante difficoltà nascono dal fatto che «noi
abbiamo udito que¬ste espressioni così frequentemente da non essere più in grado
di cogliere il senso della loro sfida radicale». Non si può essere sale e luce
della terra e del mondo senza amare la terra e senza amare il mondo. Proprio per
questo si dovrebbe diventare delle persone in grado di vedere sempre il mondo
«ripieno della grandezza di Dio». Ora, proprio in ragione della scelta
vocazionale fatta dai religiosi, i laici si attendono giustamente di vedere in
loro la concreta realizzazione dell’invito evangelico ad essere «sale della
terra e luce del mondo».