«Ci preoccupa il fatto che molti battezzati non avvertono più il bisogno spirituale di vivere la domenica, giorno del Signore, partecipando alla celebrazione dell'Eucaristia. Ci danno pensiero comportamenti diffusi e stili di vita da cui non traspare la carità di Cristo e alcuni di questi manifestamente non sono ispirati dai valori cristiani». Così si è espresso il cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma, davanti al papa, in San Giovanni in Laterano, il 15 giugno scorso, per l’apertura del convegno diocesano sul tema L’Eucaristia domenicale e la testimonianza della carità. Convegno che fa seguito a quello del 2009 e intende mettere a punto le strategie pastorali per un’arcidiocesi grande e complessa come Roma. Il convegno ha avuto una fase preparatoria di un anno, dopo l’appuntamento del 2009, in cui parrocchie, associazioni, gruppi ecclesiali, hanno riflettuto e messo a punto idee e proposte, la cui sintesi è stata presentata da don Andrea Lonardo.

L’Eucaristia rinvia alla carità

Nel discorso di apertura dei lavori Benedetto XVI ha evidenziato la connessione tra evangelizzazione e promozione umana, tra carità ed Eucaristia. «I gesti di condivisione – ha notato – creano comunione, rinnovano il tessuto delle relazioni interpersonali, improntandole alla gratuità e al dono, e permettono la costruzione della civiltà dell’amore. In un tempo come il presente di crisi economica e sociale, siamo solidali con coloro che vivono nell’indigenza per offrire a tutti la speranza di un domani migliore e degno dell’uomo. Se realmente vivremo come discepoli del Dio-Carità, aiuteremo gli abitanti di Roma a scoprirsi fratelli e figli dell’unico Padre. La natura stessa dell’amore richiede scelte di vita definitive e irrevocabili. Mi rivolgo in particolare a voi, carissimi giovani: non abbiate paura di scegliere l’amore come la regola suprema della vita. Non abbiate paura di amare Cristo nel sacerdozio e, se nel cuore avvertite la chiamata del Signore, seguitelo in questa straordinaria avventura di amore, abbandonandovi con fiducia a lui! Non abbiate paura di formare famiglie cristiane che vivono l’amore fedele, indissolubile e aperto alla vita! Testimoniate che l’amore, così come lo ha vissuto Cristo e lo insegna il Magistero della Chiesa, non toglie nulla alla nostra felicità, ma al contrario dona quella gioia profonda che Cristo ha promesso ai suoi discepoli».
Nel discorso del papa c’è stato anche lo spazio per una riflessione di carattere personale sull’esperienza compiuta in questi anni come vescovo di Roma. «In questi anni del mio ministero quale vostro vescovo, ho avuto modo di visitare vari luoghi dove la carità è vissuta in modo intenso. Sono grato a quanti si impegnano nelle diverse strutture caritative, per la dedizione e la generosità con le quali servono i poveri e gli emarginati. I bisogni e la povertà di tanti uomini e donne ci interpellano profondamente: è Cristo stesso che ogni giorno, nei poveri, ci chiede di essere sfamato e dissetato, visitato negli ospedali e nelle carceri, accolto e vestito. L’Eucaristia celebrata ci impone e al tempo stesso ci rende capaci di diventare, a nostra volta, pane spezzato per i fratelli, venendo incontro alle loro esigenze e donando noi stessi. Per questo una celebrazione eucaristica che non conduce a incontrare gli uomini lì dove essi vivono, lavorano e soffrono, per portare loro l’amore di Dio, non manifesta la verità che racchiude».

Per una pastorale sempre più coordinata

La relazione di sintesi sui risultati della verifica nelle parrocchie e nelle cappellanie ha portato molti argomenti di discussione, facendo emergere tutta l’ampia articolazione della realtà pastorale della diocesi di Roma. In modo particolare si è parlato dell’importanza di celebrare con accuratezza e sempre meglio l’Eucaristia, centro della vita cristiana. Ma anche di legarla a una pastorale maggiormente coordinata e integrata coinvolgendo le diverse espressioni della azione caritativa e le congregazioni religiose come anche le attività di supporto ai gruppi missionari, oggi piuttosto ai margini dell’insieme della vita di tutta la diocesi.
Al primo posto nella sintesi presentata da don Andrea Lonardi è stata collocata proprio l’importanza della verifica compiuta in quest’ultimo anno. Unanimemente positivo è il giudizio – ha detto – sul fatto che le prime a essere direttamente interpellate siano state le comunità parrocchiali e le cappellanie, dove si svolge l’ordinaria vita cristiana. Molte parrocchie si dicono già abituate a verificare periodicamente il loro cammino e affermano perciò che la verifica diocesana le ha sostenute in questo. Per altre, invece, fermarsi a verificare il cammino compiuto non è un dato scontato e l'esperienza di questo anno potrebbe portare – si afferma – ad una maggiore collaborazione stabile fra sacerdoti e laici, perché divenga abituale la valutazione comune delle tappe percorse e di quelle da progettare.

Un’ignoranza della fede molto diffusa

Sul tema specifico dell’Eucaristia e della carità occorre una vera e propria “conversione pastorale”. Cioè si tratta di proporre la fede, di manifestarne la bellezza e la credibilità, di comunicarne la ragionevolezza e la praticabilità, in un tempo nel quale essa, invece, si vorrebbe relegata da taluni in un angolo o, addirittura, viene contestata fin nelle sue radici. Afferma, ad esempio, una relazione: «Si assiste chiaramente a una sorta di analfabetismo di ritorno in tema religioso. I cristiani sono ormai, a tutti gli effetti, una minoranza, non numericamente, ma certamente nelle modalità con le quali intendono la vita e incarnano i valori».
Al di là delle diverse prospettive con cui viene tratteggiato il contesto in cui viviamo, costante è l'annotazione della diffusa ignoranza su punti basilari della fede cristiana. Se si scende al livello di una quantificazione, si deve dire che le percentuali dei partecipanti alla liturgia che vengono fornite sono molto oscillanti nelle diverse relazioni; certo è che, comunque, se si volesse parafrasare la parabola evangelica, un numero che va dalle 10 alle 20 pecore partecipa stabilmente all'Eucaristia, mentre 80 o 90 pecorelle sono in attesa di chi vada in cerca di loro. Si sottolinea da più parti – comunque – che, per certi versi, questa è una percentuale alta, poiché l'uomo moderno non è certo abituato a pregare pubblicamente, ad ascoltare in silenzio qualcuno che parla, a raccogliersi in silenzio.

Curare di più e meglio la liturgia

Tra i diversi aspetti concreti legati alla preparazione delle liturgie e all’accuratezza che deve essere messa, la relazione di sintesi fa presente che secondo molte parrocchie «la parola di Dio deve esser proclamata e non letta su foglietti volanti e allo stesso tempo bisogna recuperare la familiarità con il testo scritto, poiché senza di esso non è possibile alcun approfondimento. Molte parrocchie stampano in proprio le letture bibliche della Messa perché le persone le portino a casa per meditarle nella settimana, in altre si insiste sulla necessità di possedere un Messalino per prepararsi alla liturgia, in altre ancora ai testi biblici viene aggiunto qualche testo patristico, poiché – si afferma – i credenti debbono essere aiutati a riscoprire tutta la ricchezza della Parola e della Tradizione. Alcune parrocchie, ad esempio, hanno regalato l'anno scorso a tutti la Lettera a Diogneto, che era citata nel Sussidio di verifica, ed essa è stata fatta oggetto di riflessione da parte di un patrologo in un incontro formativo di almeno una prefettura».
In altri casi le parrocchie sottolineano come vadano curati assai di più tutti gli aspetti della celebrazione eucaristica, dai canti alla restituzione del significato dei gesti liturgici, compiuti per abitudine e con scarsa consapevolezza. Come anche va compiuto uno sforzo significativo per far comprendere come il canto finale faccia parte integrante della liturgia. Si afferma da più parti, ha aggiunto don Lonardi, che il cammino di fede di molti riprende non a partire da un percorso formativo basato su riunioni, bensì dall’aver partecipato alla celebrazione eucaristica. Spesso, solo dopo le singole persone cominciano cammini più specifici che vedono comunque la frequenza di un numero molto minore di partecipanti rispetto alla liturgia.
A questi aspetti critici si aggiungono però considerazioni positive in ordine alla responsabilità della comunità cristiana nel suo insieme, notando come si verifichino molti casi di riavvicinamento alla Chiesa proprio a partire da una presenza casuale alla liturgia della domenica, magari in occasione di matrimoni, battesimi o comunioni. Dunque un’inversione di tendenza alla quale si dovrebbe accompagnare un maggiore impegno per una pastorale che sappia andare a cercare le persone per chiamarle.

Carità: il grande ruolo delle religiose

E venendo all’ambito specifico della carità, alcune relazioni hanno segnalato che è decisivo il coinvolgimento in prima persona degli stessi sacerdoti nei cammini formativi delle Caritas parrocchiali e poi nella effettiva relazione con i poveri.
Molto sottolineato è il grandissimo ruolo che giocano le religiose nella carità verso tutti, con una capacità di tessere relazioni personali di grande aiuto e sostegno per le persone. In alcune relazioni emerge chiaramente che il servizio comunitario si è strutturato intorno a un vero e proprio centro d'ascolto, che non distribuisce niente, ma, invece, cerca dinanzi a ogni caso singolo, di elaborare un progetto per aiutare la persona a uscire dal bisogno. Il centro poi, a sua volta, rinvia a momenti successivi vuoi di distribuzione di cose necessarie, vuoi, soprattutto, a consulenze di professionisti che si sono detti disponibili a offrire gratuitamente alcune ore del loro lavoro per risolvere un problema ora giuridico, ora medico, ora amministrativo, ora psicologico, nell'ambito delle loro competenze professionali. In questa maniera il centro d'ascolto coinvolge continuamente l'intera comunità nella carità.

Occorre un maggior coinvolgimento

Sul tema della corresponsabilità nella testimonianza della carità molto frequente è la considerazione che è difficile il ricambio generazionale nel servizio. Ci si domanda con insistenza come far sì che le giovani generazioni siano iniziate al servizio e quali siano gli stili di una Caritas parrocchiale che impediscono questo.
A fronte di questa attenzione, appare debole il rapporto con i missionari specificamente legati alla diocesi. I legami esistenti fra singole parrocchie romane e missionari della nostra diocesi sembrano dipendere dalla conoscenza occasionale che si è avuta di quella persona; è da approfondire, invece, ancora la coscienza di una missionarietà verso altri popoli propria della chiesa di Roma che impegni insieme tutta la comunità diocesana.
Tra le varie direzioni di impegno e gli ambiti nuovi che si aprono davanti al lavoro della comunità cristiana nel suo insieme, dal convegno è emersa l’importanza di una pastorale che si diriga verso l’evangelizzazione della cultura nelle sue diverse espressioni, dalla scuola ai mezzi di comunicazione sociale, fino al dialogo con il mondo intellettuale. Forte è la coscienza che le comunità debbono dedicare energie in questa direzione.

Un nuovo “cortile dei gentili”

Alcune relazioni hanno ripreso l’espressione utilizzata da Benedetto XVI che ha invocato un nuovo “cortile dei gentili”, un luogo cioè che, come nell’antico Tempio di Gerusalemme, consenta l’incontro tra i credenti e coloro che non sentono ancora di voler fare il passo di aderire alla fede, ma desiderano condividere con i cristiani valori e riferimenti, sentendo l’esigenza di discuterli e approfondirli. Dalle relazioni si evince che c’è una progressiva, anche se lenta, presa di coscienza dell’importanza di lavorare in questo ambito. Si riferiscono di singole attività culturali presenti nelle parrocchie, ma non ancora di un’attenzione stabile in questa direzione e per questo qualche parrocchia ipotizza per il futuro la costituzione di un centro culturale.
Gli obiettivi alti del convegno diocesano, ha notato il cardinale Vallini nella sua relazione il 16 giugno, si raggiungono se emerge una nuova consapevolezza sull’importanza decisiva di celebrare la domenica come “giorno del Signore”. Le parrocchie devono dedicare energie a far comprendere come l’Eucaristia spinga ogni credente a occuparsi degli altri, a patto che l’Eucaristia stessa sia un momento positivo di incontro e di unione, evitando divaricazioni, disunioni, nel nome di una carità che estenda alla vita quotidiana quanto vissuto in chiesa.