Durante il recente viaggio a Cipro (4-6 giugno) Benedetto XVI ha consegnato
ai patriarchi e vescovi delle varie comunità ecclesiali del medio oriente lo
“Strumento di lavoro” (Instrumentum laboris) che raccoglie le risposte e i
suggerimenti giunti dalle varie parti del mondo e servirà da guida all’assemblea
speciale del sinodo in programma dal 10 al 24 ottobre prossimo. L’importanza di
questo avvenimento è nota a tutti e bisogna che il clima dispersivo delle
imminenti ferie estive non ce lo faccia perdere di vista. Anche perché per le
popolazioni, e in particolare per i cristiani di questa tormentata area del
globo, le attese sono tante ed esse contano sulla nostra preghiera e il nostro
interessamento. Non c’è infatti sofferenza più grande che sentirsi dimenticati e
abbandonati nelle proprie difficoltà. È importante perciò tornare su questo
avvenimento per prepararci a viverlo insieme con le popolazioni del Medio
Oriente, cominciando col prendere coscienza delle sfide davanti alle quali si
trovano soprattutto i cristiani di queste terre, senza pace da decine di anni.
La posta in gioco del sinodo è alta ed è necessario che tutta la comunità
cristiana se ne senta coinvolta.
Lo Strumento di lavoro attira in primo luogo l’attenzione sui conflitti nella
regione, di cui parlano di frequente anche i mezzi di comunicazione di ogni
parte del mondo. Sono conflitti che hanno un’influenza diretta, oltre che sul
piano socio-politico, anche sui cristiani, la cui situazione, come sappiamo, sta
diventando sempre più fragile e instabile. Ma quali sono le difficoltà maggiori?
Un’occupazione” che si perpetua
Anzitutto l’occupazione israeliana dei territori palestinesi che rende difficile
la vita quotidiana per la libertà di movimento, l’economia e la vita sociale e
religiosa (accesso ai Luoghi Santi, condizionato da permessi militari accordati
agli uni e rifiutati agli altri, per ragioni di sicurezza). Inoltre, alcuni
gruppi fondamentalisti cristiani giustificano, basandosi sulle Sacre Scritture,
l’ingiustizia politica imposta ai palestinesi, il che rende ancor più delicata
la posizione dei cristiani arabi.
In Iraq, la guerra ha scatenato le forze del male nel paese, all’interno delle
correnti politiche e delle confessioni religiose. Essa ha mietuto vittime tra
tutti gli iracheni, ma i cristiani sono stati tra i colpiti principali in quanto
rappresentano la comunità irachena più esigua e debole. Purtroppo, ancor’oggi la
politica mondiale non ne tiene sufficiente conto.
In Libano, i cristiani sono divisi sul piano politico e confessionale e nessuno
ha un progetto che possa essere accetto a tutti. In Egitto, la crescita
dell’islam politico, da una parte, e il disimpegno, in parte forzato, dei
cristiani nei confronti della società civile, dall’altra, rendono la loro vita
esposta a serie difficoltà. Inoltre, questa islamizzazione penetra nelle
famiglie anche mediante i mass media e la scuola, modificando le mentalità che,
inconsapevolmente, si islamizzano.
In altri paesi, l’autoritarismo, cioè la dittatura, spinge la popolazione,
compresi i cristiani, a sopportare tutto in silenzio per salvare l’essenziale.
In Turchia, il concetto attuale di laicità pone ancora problemi alla piena
libertà religiosa del paese.
In una realtà così difficile, come si comportano i cristiani? Lo Strumento di
lavoro sottolinea che «gli uni restano fermi nella loro fede e nel loro impegno
nella società, condividendo tutti i sacrifici e contribuendo al progetto sociale
comune; gli altri, al contrario, si scoraggiano e non hanno più fiducia nella
società e nella sua capacità di garantire l’uguaglianza tra tutti i cittadini.
Per questo essi abbandonano ogni impegno e si ritirano nella loro Chiesa e nelle
sue istituzioni, vivendo in nuclei isolati, senza interagire con il corpo
sociale».
Manca la libertà di religione e di coscienza
Una seconda sfida particolarmente sentita, si può dire decisiva per futuro di
questa regione, riguarda la libertà di religione e di coscienza; sfida
strettamente collegata con l’affermazione dei diritti umani quale base per un
significativo approccio al problema.
Purtroppo, sottolinea il documento, in Oriente, libertà di religione vuol dire
solitamente libertà di culto. Non si tratta dunque di libertà di coscienza, cioè
della libertà di credere o non credere, di praticare una religione da soli o in
pubblico senza alcun impedimento, e dunque della libertà di cambiare religione.
In Oriente, la religione è, in generale, una scelta sociale e perfino nazionale,
non individuale.
Cambiare religione è ritenuto un tradimento verso la società, la cultura e la
nazione costruita principalmente su una tradizione religiosa.
La conversione alla fede cristiana è vista come il frutto di un proselitismo
interessato, non di una convinzione religiosa autentica. Per il musulmano, essa
è spesso vietata dalle leggi dello stato. Anche il cristiano conosce una
pressione e un’opposizione, benché molto più lievi, da parte della propria
famiglia o tribù; ma resta libero di cambiare religione. In alcuni casi, la
conversione all’islam non avviene per convinzione religiosa, ma per interessi
personali, in particolare per liberarsi dei propri obblighi di fronte a
difficoltà di ordine familiare. A volte, essa può verificarsi anche sotto la
pressione del proselitismo musulmano.
Alcune risposte affermano il fermo rifiuto del proselitismo cristiano, pur
segnalando che esso è apertamente praticato da alcune comunità “evangeliche”. Di
fatto, la questione dell’annuncio ha bisogno di una riflessione più
approfondita, che prenda in considerazione le differenze di concetti e di
atteggiamenti nei musulmani e nei cristiani. Un dialogo sincero dovrebbe
introdurre questo argomento allo scopo di arrivare ad atteggiamenti comuni che
rispettino il diritto di ogni persona e la sua completa libertà di coscienza, a
qualunque religione essa appartenga.
Per favorire le condizioni necessarie a una tale evoluzione delle mentalità e
della società, la Chiesa ha grandi possibilità, soprattutto attraverso le sue
scuole e università a cui accorrono migliaia di studenti di ogni confessione e
condizione sociale, cristiani, musulmani, drusi ed ebrei, come pure attraverso i
suoi centri ospedalieri e i suoi servizi sociali.
Un problema che preoccupa grandemente è inoltre la crescita dell’islam politico.
A partire dagli anni ’70, è un fenomeno saliente che si ripercuote sulla regione
e sulla situazione dei cristiani nel mondo arabo. Questo islam politico
comprende differenti correnti religiose che vorrebbero imporre un modo di vita
islamico alle società arabe, turche o iraniane e a tutti coloro che vi vivono,
musulmani e non musulmani. Per queste correnti, la causa di tutti i mali è
l’allontanamento dall’islam. La soluzione, quindi, è il ritorno all’islam delle
origini. Di qui lo slogan: l’islam è la soluzione (...) A questo scopo, alcuni
non esitano a ricorrere alla violenza. Queste correnti estremiste rappresentano
una minaccia per tutti, cristiani, ebrei e musulmani e bisogna affrontarle
insieme.
Il fenomeno della migrazione
All’interno di questa realtà, dove spesso è impossibile vivere, si colloca il
fenomeno dell’emigrazione dei cristiani e dei non cristiani. L’emigrazione,
iniziata già verso la fine del sec. XIX, ha due cause principali: una di ordine
politico e l’altra di ordine economico. L’emigrazione, sottolinea lo Strumento
di lavoro si è accentuata oggi con il conflitto israeliano-palestinese e
l’instabilità che ha causato in tutta la regione, mentre la situazione sociale
minacciosa dell’Iraq e l’instabilità politica del Libano hanno contribuito ad
ampliare il fenomeno. Purtroppo nel gioco delle politiche internazionali si
ignora spesso l’esistenza dei cristiani, i quali ne sono le prime vittime;
questa è una delle cause principali dell’emigrazione.
Una seconda causa è la situazione economica. Nella situazione politica attuale
del Medio Oriente, infatti, è difficile creare un’economia che possa procurare
un livello di vita degno per tutta la società.
La Chiesa fa il possibile per ridurre l’emigrazione, ma è chiaro che spetta allo
stato adottare le misure necessarie. «In altre parole, solo la pace e la
democrazia, accompagnate da sufficiente sviluppo economico, e quindi sociale e
culturale, delle nazioni cui appartengono i cristiani possono plasmare ambienti
e condizioni in cui cristiani, famiglie e singoli, non si sentano più tanto
spinti all’emigrazione come lo sono oggi».
Un altro aspetto che potrebbe aiutare a limitare questo fenomeno consiste nel
rendere i cristiani, a cominciare dai pastori, maggiormente consapevoli della
loro presenza e della necessità di impegnarsi, qui e ora, nella vita pubblica:
«ciascuno, infatti, nel proprio paese, è portatore del messaggio di Cristo alla
sua società e ciò deve avvenire nelle difficoltà e nella persecuzione».
L’arrivo degli immigrati
Nei paesi del Medio Oriente c’è però anche un fenomeno nuovo e importante da
tenere presente: è quello dell’immigrazione cristiana di centinaia di migliaia
di lavoratori africani e asiatici accolti in diverse nazioni. Il più delle
volte, rileva lo Strumento di lavoro, si tratta di donne che lavorano come
domestiche per permettere ai propri figli un’educazione e una vita più
dignitose. Queste persone sono spesso oggetto di ingiustizie sociali da parte
degli stati che le accolgono, e di sfruttamento e abusi sessuali, sia da parte
delle agenzie che le fanno venire, sia dei datori di lavoro. Per di più, spesso
le leggi e le convenzioni internazionali non sono rispettate.
È anche questa una realtà che interpella la chiese, un’altra sfida che si pone.
C’è qui una responsabilità pastorale per accompagnare queste persone, tanto sul
piano religioso che sociale. Tali immigrati si trovano spesso a far fronte a dei
drammi, e la Chiesa fa tutto ciò che è in suo potere, in conformità con le sue
risorse. Parallelamente, è urgente e indispensabile un’educazione dei cristiani
alla dottrina sociale della Chiesa e alla giustizia sociale, per evitare ogni
atteggiamento di superiorità, cioè di disprezzo.
La risposta nella vita quotidiana
A tutte queste sfide i cristiani sono chiamati a offrire delle risposte nella
loro vita quotidiana, osserva il documento sinodale. Anzitutto attraverso i
valori evangelici della vita monastica apparsa fin agli inizi del cristianesimo
e che costituiscono «un tesoro di inestimabile valore sia per la Chiesa
cattolica sia per le Chiese ortodosse». La vita contemplativa, è detto, compie
anche la sua missione con la preghiera d’intercessione per la società: per una
maggiore giustizia nella politica e nell’economia, per più solidarietà e
rispetto nei rapporti familiari, più coraggio per denunciare le ingiustizie, più
onestà per non lasciarsi trascinare negli intrighi della civitas o nella ricerca
di interessi personali. Purtroppo, dalle risposte giunte da varie risulta che
oggi la vita contemplativa è poco presente presso le Chiese cattoliche orientali
sui iuris, mentre invece è significativa nel Patriarcato latino di Gerusalemme.
Ma anche la vita religiosa attiva, tanto degli istituti secolari quanto delle
società di vita apostolica, nata inizialmente in Occidente, si è diffusa pure
nell’Oriente cristiano con significativi frutti di testimonianza evangelica.
Essa è fondamentalmente dedicata all’annuncio del Vangelo, alla promozione umana
nel campo della salute, dell’educazione e della cultura, così come nel dialogo
ecumenico e interreligioso. Secondo alcune risposte, le persone di vita
consacrata sono invitate a superare la tentazione della passività come anche di
anteporre gli interessi personali alle esigenze della fede. Sono chiamate a
essere testimoni con una vita cristiana esemplare nella pratica dei voti
dell’obbedienza, della castità e della povertà, seguendo sempre meglio Gesù
Cristo, modello di ogni perfezione.
Lo Strumento di lavoro – e il suggerimento sarà certamente accolto dai padri
sinodali – auspica che tutti i membri del popolo di Dio, pastori, persone
consacrate e laici si propongano di vivere, secondo la propria vocazione, con
grande coerenza di vita personale e comunitaria, nelle nostre istituzioni
sociali, caritative ed educative, affinché i fedeli siano anch’essi sempre più
testimoni autentici della risurrezione nella società. Inoltre che siano
«raddoppiati gli sforzi già in atto per scoprire e formare i “quadri” necessari,
sacerdoti, religiosi, religiose, laici – uomini e donne – affinché siano, nella
società, veri testimoni di Dio Padre e di Gesù risorto e dello Spirito Santo
inviato alla sua Chiesa, per confortare i loro fratelli e sorelle in questi
tempi difficili».