In occasione della recente assemblea USG (26-28 maggio), il saluto di apertura di don Pascual Chavez, rettor maggiore dei salesiani, è stato tutt’altro che un saluto formale del presidente USG ai 130 superiori e consiglieri generali presenti. Con estrema concretezza è subito sceso “in medias res”, anticipando non pochi temi che sarebbero poi stati sviluppati dai diversi relatori. Una delle preoccupazioni maggiori, ha detto, nasce dalla convinzione che tra il cattolicesimo e i principi in cui si riconosce l’Europa come istituzione, «esiste un’incompatibilità sostanziale».
Don Chavez parlava con piena cognizione di causa. Da tempo la sua congregazione è impegnata in un vero e proprio “Progetto Europa” per rilanciare e rivitalizzare la presenza salesiana nel nostro continente. Altri istituti stanno adattando alla propria realtà il modello salesiano. È la risposta più concreta a un’Europa, ha detto don Chavez, «senza religione e senza Dio». Non è in gioco soltanto il mancato riconoscimento delle sue radici cristiane. Siamo di fronte a un tessuto sociale «caratterizzato dalla irrilevanza della fede, dalla privatizzazione della religione, dalla disaffezione verso la Chiesa, dalla dissoluzione della famiglia, dalla rottura degli anelli della trasmissione della fede e dei valori». In poche parole, siamo di fronte al «rifiuto di tutto quanto possa dirsi cattolico».
In un contesto del genere, più che semplici strategie, servirebbero nuovi modelli di VC, dando meno credito a quanti, pessimisticamente, affermano che «il ciclo vitale della VC sta raggiungendo il suo termine» con l’unica alternativa di «attendere che l’ultimo dei religiosi spenga la luce e chiuda la porta». Perché non provare, sull’esempio dell’apostolo Barnaba ad Antiochia, ad «assumere una prospettiva da credenti che in questa nuova situazione dell’Europa riescono a vedere la grazia del Signore e rallegrarsene?». Basterebbe «esortare i nostri confratelli a perseverare nella fedeltà al Vangelo, vissuto e predicato». Non è possibile «rassegnarci a una morte naturale, propria di coloro che vogliono lasciare le cose come stanno, pur di non cambiare». La fede, il Vangelo, la VC sono un dono di Dio per la Chiesa e per il mondo. «Io mi auguro, ha concluso don Chavez, che possiamo uscire da questo incontro storico convinti che abbiamo futuro, perché questa Europa ha bisogno più che mai del Vangelo, anche se esplicitamente lo rifiuta».

Un grande laboratorio a cielo aperto

Alle parole del presidente dei superiori generali, hanno fatto eco quelle non meno preoccupate di Mauro Magatti, padre di famiglia, preside della facoltà di sociologia della Cattolica di Milano. A lui era stato chiesto esplicitamente di aiutare i superiori generali ad approfondire il senso del declino storico dell’Europa e di quello della fede nel nostro tempo. In questo inizio di secolo, ha esordito, l’Europa si trova di fronte a una transizione difficile. La combinazione di declino demografico, rallentamento economico e di fragilità politico-istituzionale «costituisce una miscela micidiale che rischia di spingerla verso un mesto declino». L’emozione prevalente, in un simile frangente, non può che essere la paura del futuro e dell’altro. Ora, «il rischio di declino e il diffondersi di sentimenti negativi non possono lasciare indifferenti le Chiese, visto l’intimo legame storico tra Europa e cristianesimo». Senza escludere la vivacità di comunità di altri continenti, «tocca certamente alle Chiese del vecchio continente sforzarsi di trovare parole ed elaborare pratiche capaci di rispondere alle tante domande inevase di questo tempo».
Magatti è convinto, e nel corso della sua esposizione lo ha ampiamente dimostrato, che l’Europa stia vivendo una seconda fase della battaglia con il nichilismo annunciata da Nietzsche nel 1878. Dopo la prima fase, associata alla drammatica esperienza del nazismo e della shoa, si è oggi di fronte ad un nichilismo sorridente «che si compiace di smontare tutto quello che prova a sussistere, con scarsissima capacità di presa in carico dei problemi del presente e del futuro».
Anche se l’Europa non ha una sua vera e propria identità, non andrebbe sottovalutato il fatto che essa «costituisce oggi uno dei principali laboratori a cielo aperto presenti al mondo». Nel suo non facile tentativo di «forgiare nuove istituzioni che sappiano tenere insieme unità e differenza, località e globalità», l’Europa sta anticipando un processo che «prima o poi, su scala più grande, sarà necessario fare a livello planetario». Magatti non l’ha detto esplicitamente, ma ha lasciato facilmente intuire che anche il problematico e faticoso rinnovamento della VC in Europa, potrebbe rivelarsi un «laboratorio a cielo aperto” per la soluzione delle difficoltà che, prima o poi, si potrebbero manifestare anche in altri continenti.

“Rinascenza” in Europa e ordini religiosi


La conferma indiretta, infatti, di questa possibile connessione, è venuta subito dopo. R. Brague , citando Magatti, ha parlato di un’attitudine tutta europea alla “rinascenza”, vale a dire a una «capacità di stare come sospesa tra la nostalgia di un’epoca classica ormai perduta e, al tempo stesso, la disponibilità, seppur sofferta, di venire a patti con il nuovo, visto come una provocazione da integrare senza annientarlo, ma semmai trasformandolo in un arricchimento».
Ripetutamente, e non a caso, il relatore ha chiamato in causa, insieme alla Chiesa, anche gli ordini religiosi per tutte le loro potenzialità di spiritualità, di storia, di cultura, con cui potrebbero indubbiamente favorire la “rinascenza” dell’Europa nella sua più vera identità cristiana. Parlando dell’urgente necessità di costruire delle “oasi spirituali” dove la domanda degli uomini di oggi sul senso della vita e sulle sue conseguenze possano trovare rispetto e ascolto, il riferimenti agli ordini religiosi è stato immediato. Solo loro, infatti, ancora oggi «conservano luoghi importantissimi della spiritualità europea, luoghi che sono capaci di parlare a tutti – credenti e non credenti». Nessuno come loro può vantare un «grande patrimonio di persone e di luoghi per avviare nuove sperimentazioni in vista di una rimodulazione della relazione tra appartenenza particolare e cittadinanza universale in un mondo complesso come quello europeo».
Anche di fronte a tutte le forme di fragilità, di fallimenti, di povertà, gli ordini religiosi si trovano in una posizione tutta particolare. Da sempre, infatti, è stato loro riconosciuto il carisma di saper stare accanto «all’uomo ferito e gettato sul ciglio della strada» dell’Europa di oggi. «Il mio augurio, ha concluso, Magatti, è che, proprio qui nel vecchio continente, essi continuino a essere, negli anni che verranno, le avanguardie – sul piano della fede, delle relazioni, delle istituzioni – del modo in cui potremo vincere, una volta per tutte, la sfida nichilista alla quale, come europei contemporanei, siamo assoggettati».

La VC una specie in via di estinzione?


La voce in qualche modo più laica ascoltata nel corso dell’assemblea è stata sicuramente quella della giornalista Isabelle de Gaulmyn, madre di famiglia, responsabile dei servizi religiosi, a Roma, del quotidiano francese La Croix. «Non sono una sociologa e neanche una teologa», ha esordito. Da giornalista e, quindi, “dall’esterno” del mondo ecclesiale, ha cercato di far comprendere al suo uditorio che cosa si pensa della VC nel mondo europeo in genere e, in particolare, in quello “estremamente secolarizzato” della Francia. Per chi non conosce quel mondo non è facile rendersi conto di quanto la fede cristiana non faccia più parte, ormai, della cultura (ex-culturazione) francese.
Orientarsi, poi, nel mondo della VC sempre più alle prese con tutte le sue forme nuove e antiche (istituti secolari, consacrati, terzi ordini di laici, nuove comunità monastiche ecc.), per chi lo guardi dall’esterno, è un’impresa tutt’altro che facile. Quanto una comunità religiosa possa fisicamente scomparire tra l’indifferenza generale, lo dimostra il fatto che, come è avvenuto recentemente nella diocesi di Chartres, mentre di fronte all’accorpamento di più parrocchie affidate a un solo parroco, tutti (incominciando dal sindaco e dai deputati della zona) hanno vivamente protestato, alla chiusura, invece, di una comunità femminile, presente in quel luogo da lunghissimo tempo, non c’è stata la minima reazione. È in qualche modo paradossale, inoltre, il fatto che si continuino a beatificare tanti fondatori e fondatrici proprio nel momento in cui i loro istituti rischiano di scomparire.
Giornalisticamente parlando, la VC è, infatti, «una specie in via di estinzione». In Francia, mentre nel 1967 c’erano 114.000 religiose, nel 2003 erano poco meno di 38.000, comprese le monache, con un’età media di 80 anni. Solo apparentemente può sembrare migliore la situazione dei religiosi, passati, nello stesso arco di tempo, da 13.300 a poco più di 8.000 (compresi 1403 monaci), con un’età media di 70 anni. Se, poi, si tiene presente il numero crescente, un po’ ovunque in Europa, di religiosi/e provenienti da altri continenti, è sempre più facile vedere «grandi costruzioni religiose abitate da religiosi bianchi anziani insieme a religiosi africani o asiatici giovani».
Nel mondo attuale è sempre più difficile capire come una persona si possa impegnare per tutta la vita e giustificare il voto di castità e di obbedienza. Le attività nel campo della salute, dell’istruzione e dell’assistenza sociale, un tempo ambito privilegiato se non esclusivo dei religiosi, oggi sono direttamente assunte e gestite in proprio dallo stato. È vero che soprattutto i più grandi ordini o istituti religiosi conservano sempre una loro consistente visibilità. Però anch’essi devono in qualche modo confrontarsi con le cose nuove che stanno nascendo nell’ambito della VC, con tutto il loro dinamismo, la loro creatività e, insieme, la loro fragilità e la loro radicalità.
È un fatto, comunque, ha detto la giornalista francese, che nella società di oggi esistono frontiere, soprattutto nelle periferie, in cui solo le comunità religiose sono disposte ad andare. Non è la domanda che manca! C’è una richiesta sempre maggiore di centri di spiritualità e di accompagnamento personale. È in crescita, inoltre, il numero di laici che intendono condividere, proprio come laici, i carismi di un istituto religioso. In Francia questo fenomeno è talmente vistoso da pensare che sia quasi una strategia messa in atto per impedire all’uno o all’altro istituto di scomparire.
Il declino di tanti istituti è qualcosa di non facilmente spiegabile, proprio quando si pensa che la vita religiosa «presenta aspetti di vita estremamente moderni». La loro sempre più accentuata internazionalizzazione, con la possibilità d’interazione e di scambi di personale tra il Nord e il Sud è una forma di sapiente globalizzazione ante litteram. È un peccato veder morire un patrimonio di spiritualità come quello incarnato da tanti fondatori, veri e propri “libri aperti di saggezza” anche per la società di oggi. Mentre i media tendono a identificare la Chiesa con la gerarchia e il Vaticano, andrebbe maggiormente valorizzata, invece, la ricchezza spirituale, culturale e sociale delle grandi famiglie religiose.
Anche solo nei pochi anni della sua permanenza a Roma De Gaulmyn ha avuto modo di constatare più spazi di libertà all’interno degli ordini religiosi che non in tanti altri settori della Chiesa. Non ci si dovrebbe mai dimenticare, ha concluso, che «le due grandi figure più popolari, nella classifica delle personalità preferite dai francesi, in un paese, quindi, che si proclama apertamente laico, sono due religiosi: l’abbé Pierre e suor Emmanuelle». Ma purtroppo, «sono morti!».

Priorità apostoliche sempre attuali

Sempre in ambito prevalentemente francese, va letto anche l’intervento del vescovo di Metz, il domenicano Pierre Raffin. Dopo essersi introdotto a parlare, quasi a sorpresa, del monachesimo, e prima di concludere con una serie di rilievi sulle nuove forme di VC, ha riservato il corpo centrale del suo discorso alla vita religiosa apostolica, distinguendo quella maschile da quella femminile «molto più complessa» di quella maschile.
Una ragione, forse, di questa diversa problematicità, potrebbe essere ricercata nel fatto che «la maggior parte dei religiosi europei e francesi sono sacerdoti». Ma qui il rischio è quello di una sempre più facile loro omologazione al clero diocesano. «Nella mia diocesi ho quattro frati minori cappuccini impegnati in parrocchia. Sono degli ottimi sacerdoti, ma hanno perso il gusto della vita comune». In precedenza, avevano animato con efficacia molte missioni parrocchiali. Terminata l’epoca di queste missioni, l’unica alternativa è diventata quella del servizio parrocchiale.
Soprattutto in passato, oltre a impegnarsi nel campo scolastico-educativo, in opere sociali, nell’animazione di movimenti spirituali e apostolici e nella rievangelizzazione degli adulti con le missioni parrocchiali, i religiosi hanno sempre offerto un «consistente contributo nel campo intellettuale, soprattutto teologico, negli istituti cattolici e nei luoghi di formazione del clero». Hanno, inoltre, assicurato una presenza qualificata nel mondo dei media e in quello editoriale. Ma il passato è passato. Oggi non possono non porsi una domanda di fondo: «tenuto conto del personale disponibile, a quali tipi di appelli antichi e nuovi siamo in grado di rispondere?».
E dire che ci sarebbero tanti campi aperti, primo fra tutti, quello dell’educazione umana e cristiana della gioventù! E invece, proprio qui, si è costretti ad assistere alla progressiva scomparsa degli istituti insegnanti sia maschili che femminili. «Ciò che si può dire con certezza è il fatto che la Chiesa in Francia, se continuerà a occuparsi dei bambini e dei giovani, non ruberà il posto a nessuno». Anzi, colmerebbe un grande vuoto proprio in questo campo come in quello dell’assistenza dei giovani senza lavoro o dei tossicodipendenti. Si tratta di vere e proprie priorità sociali e apostoliche che, in Francia e in Europa, rimarranno tali ancora molto a lungo.
Nonostante una reale e più approfondita formazione teologica di tanti laici, la nuova evangelizzazione, però, è ancora in gran parte da inventare. Perché, si chiede mons. Raffin, gli istituti religiosi non potrebbero impegnarsi «in modo completamente rinnovato e coordinato nell’annuncio delle prime verità cristiane e in una catechesi sistematica del popolo di Dio?». È vero che i religiosi fanno già tante cose! Ma oggi, in Francia, è impensabile la mobilitazione di tutte le forze più attive della Chiesa senza l’impegno e le potenzialità dei religiosi.
Anche la missio ad gentes è sempre stata una loro storica prerogativa. Basti pensare all’importanza di un osservatorio privilegiato come quello della Società delle missioni estere di Parigi, per la conoscenza dei problemi delle Chiese dell’Asia. Di fronte alla nascita di tante giovani Chiese, i religiosi dovrebbero fare un passo ulteriore: «formare le giovani Chiese alla missione e suscitare degli scambi tra Chiese giovani e antiche». Purtroppo, commenta amaramente mons. Raffin, la prospettiva più reale è quella di una scomparsa per sempre dal panorama europeo di non pochi di questi gloriosi istituti missionari! Certo, è sempre auspicabile un’inversione di tendenza. Sarà, però, impossibile, senza progetti apostolicamente stimolanti.
Non si può onestamente chiedere a dei giovani religiosi che investano tutto il loro futuro solo nel prendersi cura dei loro confratelli più anziani! «Non si dona la propria vita che per delle grandi cause!». Senza sottovalutare l’importanza del dialogo intergenerazionale, oggi l’attività assistenziale dei confratelli anziani e ammalati, andrebbe affidata a del «personale laico qualificato» sotto la responsabilità di un religioso più giovane. Quanto si dice per i religiosi, vale ovviamente anche per le religiose. Non c’è alternativa, se si vuole assicurare a dei giovani o a delle giovani la possibilità di un impegno apostolico più rispondente non solo alla loro età, ma anche alle tante esigenze della Chiesa e del mondo di oggi.

Discernimento e nuove forme di VC

L’ultima parte del suo intervento, mons. Raffin l’ha dedicata a una riflessione molto critica e, insieme, propositiva sulle nuove forme di VC. In molte di queste nuove realtà, ha detto, «si fa fatica a discernere la loro principalis intentio». Molte di queste nuove comunità, nate a ridosso della contestazione del ‘68, «sono composte in gran parte da laici, uomini e donne, sposati o celibi, con la presenza, a volte, di religiosi e religiose, non esclusi dei sacerdoti, in ricerca di una propria identità». Al loro interno «regna in via di principio una perfetta uguaglianza sotto la guida di un pastore o di una pastora carismatici istituiti, però, non si sa come». È fin troppo vistosa, in molti casi, l’assenza di una mediazione istituzionale.
Mentre in molti casi, negli ordini e istituti classici si sta, di fatto, dismettendo l’abito, nelle nuove comunità si va alla ricerca degli abiti più strani. E così «ci si trova talvolta di fronte ad una situazione paradossale: i veri religiosi portano un abito secolare (lo impone la secolarizzazione!), mentre i nuovi consacrati portano l’abito religioso».
La mancanza di un doveroso accompagnamento da parte dell’autorità ecclesiastica può aver favorito, in certe situazioni, «il sorgere di autentici guru» alla guida delle nuove comunità. La crisi in atto in alcune di esse, magari con trent’anni di storia alle spalle, come nel caso della Comunità delle beatitudini, impone necessariamente un discernimento più rigoroso da parte della competente autorità ecclesiastica.
Mons. Raffin arriva addirittura a suggerire un drastico criterio di discernimento: «qualunque comunità con finalità religiosa che, nel giro di dieci anni, non fosse in grado di realizzare le condizioni necessarie per essere eretta in istituto di VC, dovrebbe essere soppressa ipso facto». La Chiesa non dovrebbe aver nessun interesse «a garantire dei gruppuscoli che non hanno una vera originalità e possiedono un debole sensus Ecclesiae».
Non sarebbe onesto, però, «negare il loro coraggio e il loro zelo, anche se talvolta male orientato». In queste comunità «ci sono innegabili energie missionarie. Solo vanno purificate, educate e, successivamente, integrate nel grande slancio di evangelizzazione di cui il continente europeo ha bisogno». L’autorità ecclesiastica, da parte sua, non può più sottrarsi all’elaborazione di un vero e proprio statuto, condizione indispensabile perché le nuove comunità possano realmente «offrire il meglio di se stesse».
Una volta prese tutte le debite precauzioni «è legittimo sperare che le nuove comunità rappresentino una vera chance per il rinnovamento missionario della Chiesa in Europa». Non essendo direttamente legate al ministero parrocchiale in quanto tale, «possono costituire una rete missionaria ancora più efficace». È un dato di fatto che la collaborazione tra clero, laici e consacrati molto spesso «è più concretamente vissuta qui che non nelle strutture abituali della Chiesa». «Sarebbe un vero peccato, conclude mons. Raffin, se, a causa degli errori commessi – alcuni dei quali imputabili, oltretutto, alle carenze dei singoli vescovi –, si dovesse azzerare una pagina di storia, piena di promesse, come questa». Significherebbe non essere in grado di riconoscere i doni che lo Spirito Santo «continua incessantemente ad elargire alla sua Chiesa».

Prosciugata del tutto la sorgente?

Dopo gli interventi della giornalista de La Croix e del vescovo di Metz, la terza relazione a tutto tondo sulla problematicità attuale della VC in Europa è stata sicuramente quella di fr. Mauro Jöhri, da quattro anni ministro generale dei cappuccini. Anche nel suo paese di origine, la Svizzera, come in tutta Europa, ha esordito, «sono molti coloro che non si sentono più legati a nessuna religione».
Una delle conseguenze più vistose di questo stato di cose è la diminuzione delle vocazioni. In vent’anni, ad esempio, dal 1989 al 2009, i cappuccini in Europa sono passati complessivamente da 6.656 a 4.601 unità, con un calo netto di 2.055 religiosi. Solo in Polonia c’è stato, nello stesso arco di tempo, un aumento: da 500 a 540 unità. Molto più vistoso è stato il calo in Svizzera. dove, negli ultimi 40 anni, sono passati da 800 a 200 religiosi. È superfluo aggiungere che, di pari passo, quelli rimasti sono anche invecchiati. «La maggior parte delle province europee, commenta fr. Jöhri, sono, con piccole varianti, nella stessa situazione della Svizzera».
Anche solo alla luce di questi pochi dati, è il caso di dire che «la sorgente si è improvvisamente prosciugata!», innescando un inarrestabile processo di ridimensionamento o di chiusura delle fraternità (una quindicina, in 40 anni, nella sola Svizzera). Solo in parte questa ritirata è stata mitigata dal fatto che spesso si è rimasti attivi sul campo anche oltre l’età del pensionamento. Con l’aumento, oltretutto particolarmente oneroso, poi, degli impiegati laici, «le nostre fraternità hanno accentuato il loro aspetto clericale e, a vario modo, si sono anche imborghesite».
L’ecclesiologia di comunione del Vaticano II ha positivamente influito «sulle scelte pastorali messe in atto dalle parrocchie». È aumentata la partecipazione attiva dei battezzati alla vita della comunità ecclesiale. Nello stesso tempo, però, i cappuccini, almeno in Svizzera, «un tempo molto richiesti come confessori e predicatori, si sono ritrovati progressivamente con meno lavoro», dal momento che la richiesta pastorale era sempre più orientata verso gli specialisti in bibbia, in teologia e in animazione comunitaria. Inoltre, mentre fin verso la metà degli anni ’60, «i collegi erano stati la fucina dalla quale proveniva il maggior numero dei candidati alla vita religiosa e sacerdotale», successivamente anche queste strutture sono state abbandonate. Inevitabili, allora, un progressivo ripiegamento verso il convento e una presenza sempre più sporadica nelle parrocchie. Anche il semplice fatto, inoltre, di indossare sempre meno l’abito religioso, non ha certo favorito la loro visibilità.

“Siamo cambiati anche noi”


Tutto l’insieme di queste realtà «è stato vissuto al nostro interno come un vero choc dal quale non è facile riprendersi». Non è mancata la spinta a riqualificare diversamente alcuni conventi, rendendoli più significativi sul piano dell’accoglienza e dell’ospitalità anche di persone non credenti o di altre confessioni religiose. Tuttavia, questo «non ha comportato alcun rinnovamento vocazionale». Sono stati tentati tutti i mezzi per una maggior visibilità dell’ordine. Si è cercato anche di adottare un linguaggio più immediatamente accessibile al mondo dei giovani. «Tutto, però, con scarso successo».
Mancando le persone, anche i progetti più suggestivi «sono destinati a scomparire». Per evitare di giungere a una situazione irreversibile, si è guardato con sempre maggior fiducia all’emisfero Sud del mondo particolarmente ricco di vocazioni. Ma, fin dai primi innesti di frati dal Sud al Nord, è apparso tutto il peso della diversità culturale. Un’altra strada aperta, è quella dell’unificazione di due o più province. Di fronte all’impegnativa unificazione delle quattro province spagnole attualmente in corso, «c’è solo da sperare e da pregare che vi riescano!».
Il problema di fondo, ha osservato fr. Jöhri, è che, insieme al modo di pensare e di agire della gente, «siamo cambiati anche noi!». «Ciò che sta segnando la vita dell’individuo nella società, tocca decisamente anche noi religiosi! Ovunque il singolo individuo deve stare al centro di tutte le attenzioni e così lo vediamo preoccupato prima di tutto del suo benessere personale». Oggi la libertà «è concepita sempre più come libertà da ogni genere di costrizione e di condizionamento e assai meno come libertà per donarsi e trovare un senso alla propria vita anche in una situazione di privazione».
Ora, di fronte a questo processo di ridimensionamento, di riduzioni numeriche, di perdita di prestigio e di potere, non ci potrebbe essere anche una sua possibile lettura in chiave teologica? Non è forse che il Signore stia chiamando i religiosi a riscoprire il valore del lievito, del piccolo seme, a confidare pienamente «in modo nuovo in Colui al quale nulla è impossibile?». Mai come oggi, infatti, «siamo sfidati a vivere di fede e di speranza». Anche «il rischio calcolato di scomparire», andrebbe interpretato in chiave teologica.
I segni di ripresa, un po’, ovunque, non mancano. Ma «non vi sarà comunque nessuna inversione di tendenza fino a quando la gente avrà l’impressione che i consacrati sono persone tristi, prive di gioia e che quasi si scusano di non essere ancora del tutto scomparsi. Tutto questo dipende unicamente da noi!». Solo una VC vissuta nella gioia, aperta ad una missione in grado di dare senso a tutta la propria vita, è la più eloquente testimonianza «che il fatto di essere stati afferrati dal Dio vivente per una missione esigente, porta ad una vita in pienezza».

Sospesi tra l’oggi…e la parusia!

Questi tentativi di una lettura globale della VC in Europa, nei suoi aspetti non solo problematici ma anche propositivi, sono stati integrati da vari altri interventi di religiosi e di laici. Dispiace, in questa sede, non avere tutto lo spazio adeguato anche solo per una loro sintetica rilettura. Adam Zak, gesuita, consigliere generale per l’Europa Orientale, nella sua appassionata testimonianza, ha parlato del martirio di tanti fratelli e sorelle nella fede e della loro resistenza a tutte le forme d’ingiustizia nell’ex Unione Sovietica. Non era altro che una risposta a un’esigenza fondamentale, quella di «far emergere la fede cristiana come forza positiva che non condanna ma salva, che non è una voce di sventura ma di speranza, che aiuta a leggere l’opera della grazia in mezzo alla storia». Anche nei religiosi la drammatica esperienza vissuta continua a lasciare segni vistosi. «La modernizzazione della nostra società e la trasformazione economica e istituzionale sono estremamente complicate e impongono pesi che non eravamo abituati a portare». La complessità del mondo presente può facilmente ingenerare anche nei religiosi «la nostalgia di un mondo semplice, bianco-nero». Nei paesi dell’ex Unione sovietica la dimensione più danneggiata è «la capacità d’immaginare e di progettare il futuro». Non ci si può stupire, allora, se «ciò che conta è l’oggi e… la parusia. Tra l’oggi e la parusia c’è un vuoto, qualcosa di innominabile. Il domani è una copia esatta del passato».

«Cari religiosi, contate su di noi!»

Il superiore generale dei fratelli maristi, Emili Turú, attraverso le vicende quanto mai problematiche del suo istituto, in qualche modo ha tratteggiato una situazione più generale esistente soprattutto in Spagna e in Francia. Non mancano sicuramente segni di vitalità nel campo della missione, della formazione e dell’evangelizzazione del mondo giovanile, in piena sintonia con il proprio carisma. Di fronte al calo preoccupante di vocazioni, è invece in costante aumento il prezioso coinvolgimento dei laici a fianco dei fratelli maristi. Solo in Spagna, senza i 3.500 collaboratori laici sarebbe impensabile far fronte all’educazione di ben 58.000 giovani e ragazzi che frequentano i diversi centri scolastici dei maristi.
Rileggendo, però, l’insieme del suo intervento, è difficile sfuggire all’impressione di una difficoltà crescente, anche da parte dei fratelli maristi, di far fronte a questo loro qualificato impegno apostolico. Alcuni dei termini più ricorrenti nell’intervento del superiore generale, sono stati quelli di disorientamento, di amarezza, di sfiducia, di disagio, di crisi – se non proprio di identità – sicuramente di significato e di spiritualità. «Probabilmente il futuro che il Signore ha preparato per noi, ha concluso citando l’ultimo capitolo generale, non coinciderà con le nostre aspettative, frequentemente vincolate più a situazioni di passato che alla novità del futuro. La nostra apertura di cuore alla creatività dello Spirito ci permetterà di vivere con gioia la sua presenza che sempre opera in mezzo a noi».
Una conferma diretta di quanto possa essere significativa la collaborazione dei laici, si è avuta dalla testimonianza di Anna Maria Sarrate, spagnola, responsabile a livello europeo dei gruppi di coordinamento proprio dei laici maristi. Parlando con passione della condivisione del carisma, ha dato l’impressione di essere, detto con molto rispetto!, più marista dei maristi stessi. «Il nostro essere cristiani, ha detto, ha raggiunto la sua pienezza attraverso i carismi che originariamente sono nati negli istituti religiosi». Non si tratta solo di venire incontro a una necessità contingente dovuta al calo di vocazioni religiose. Si tratta piuttosto di «una chiamata personale, e quindi di una iniziativa di Dio», con la certezza che «le nostre vocazioni specifiche, senza confondersi, si illuminano reciprocamente». Grazie soprattutto alla presenza di tante donne tra i collaboratori laici, «noi donne possiamo arrecare alla congregazione maschile una nuova percezione femminile del carisma». La loro collaborazione laicale è vissuta fino al punto di sentirsi «responsabili anche per l’animazione vocazionale di coloro che ci circondano». Questo coinvolgimento è frutto e, anzi, postula ulteriormente la imprescindibilità di una formazione sempre più congiunta tra collaboratori laici e religiosi maristi. «Non abbiate paura. Contate su di noi», ha concluso. «Ci sentiamo responsabili insieme con voi per ricreare il carisma alla luce dei segni dei tempi. Insieme camminiamo verso il futuro».

“Abbiamo bisogno del vostro aiuto”


Anche Judith King, insegnante e terapista irlandese che ha vissuto in prima persona la “decostruzione” (il collasso) del complesso scolastico parrocchiale della Chiesa locale nel suo paese, ha approfondito, in termini molto più sofferti, il problema del rapporto laici-religiosi. Più che una relazione, la sua è stata una lucida testimonianza, sulla quale varrebbe la pena ritornare più ampiamente, scaturita dalla profonda disillusione, se non proprio dalla disperazione, causata dagli abusi sessuali «perpetrati da alcuni religiosi e da alcuni sacerdoti» nel suo paese.
In queste condizioni, si è chiesta, com’è possibile «esplorare il futuro della VC quando la Chiesa istituzionale in Irlanda è stata così discreditata e il cattolicesimo stesso è stato posto in questione in modo così radicale?». Per quanto i laici possano essere «persone piene di entusiasmo», non possono essere, però, in grado di rispondere da soli alle sfide aperte da questa situazione. «Abbiamo bisogno del vostro aiuto, ha concluso rivolgendosi ai superiori generali, del vostro incoraggiamento, della vostra assistenza». Soprattutto nella vita dei religiosi, in Irlanda, i laici si attendono oggi una concreta esemplificazione del messaggio evangelico ad essere, nonostante tutto, “sale della terra” e “luce del mondo”.
L’ultimo intervento in assemblea è stato quello del vicedirettore dell’Osservatore Romano, il dott. Carlo Di Cicco, che ha potuto seguire tutti i lavori. La sua ampia riflessione di stimolo e di profondo apprezzamento del lavoro dei superiori generali, potrebbe idealmente servire da collegamento con la prossima assemblea di novembre non più sul presente, ma sul futuro della VC in Europa.