Sono trascorso quindici anni da quei giorni in cui le sei suore delle Poverelle sono morte in una impressionante successione vittime del terribile virus Ebola. Sr. Floralba Rondi, sr. Clarangela Ghilardi, sr. Danielangela Sorti, sr. Dinarosa Belleri, sr. Annelvira Ossoli, sr. Vitarosa Zorza: questi i loro nomi.
Vere figlie del beato Luigi Maria Palazzolo loro fondatore, avevano accolto fino in fondo la sua raccomandazione: vivere azvvolte tra i poveri. E i poveri in mezzo ai quali erano state mandate a vivere erano quelli di Kikwit, diocesi suffraganea di Kinshasa (Repubblica democratica del Congo), con circa 4 milioni di abitanti, e circa 2 milioni e mezzo di battezzati. È qui dove le sei suore hanno vissuto quell’ esagerazione della carità che le ha portate a dare la loro vita, “povere tra i poveri”, solidali con loro fino in fondo. Era il 1995. Un’epidemia di Ebola aveva colpito intere popolazioni africane mietendo una quantità di vittime. Esse avrebbero potuto riparare in Europa finché fosse passato il rischio di contagio. Invece scelsero semplicemente di restare, fedeli al Buon Pastore che non fugge davanti al pericolo, ma dà la vita per le sue pecorelle. Così l’epidemia se le portò via tutte e sei nel giro di un mese, tra la fine di aprile e la fine di maggio.
Paolo Aresi ne ha ora raccolto le memorie in un libro dal titolo significativo L’ultimo dono affinché una testimonianza di così alto valore evangelico non vada perduta, ma sia conosciuta a un pubblico sempre più vasto soprattutto in un momento come questo di sofferenza per la Chiesa per la controtestimonianza di alcuni suoi figli.

Un'esagerazione di amore

Queste suore hanno dimostrato con il dono della vita e con le loro testimonianze scritte, quanto si può “esagerare” per amore. «Con Maria ai piedi della croce vogliamo ravvivare la nostra fede e ripetere con Gesù e con Maria, con tutte le sorelle, con la Madre generale il Fiat, certe che Lui sa tutto ed è con noi anche in questa durissima prova» (sr Annelvira). Nello spirito del Fondatore, il dono della vita delle sei Poverelle, è stato un quotidiano abbraccio ai poveri, ai rifiutati, ai dimenticati, agli ultimi affidati al loro cuore materno.
«La mia missione è quella di servire i poveri! Cosa ha fatto il mio fondatore? Io sono qui per seguire le sue orme …» diceva sr. Dinarosa poche settimane prima di morire.
«Aprimi interamente al tuo amore, Padre, ponimi accanto ai miei fratelli libera, accogliente, felice, povera tra i poveri, come una goccia d’acqua, sperduta nell’oceano immenso del tuo amore» (sr. Clarangela).
L’abbraccio quotidiano, sulle orme di Gesù, ha reso le religiose capaci di riflettere con la loro vita l’amore di Dio e di “seminare la misericordia del Signore”, come era solita dire sr.Floralba; capaci di dare e di riconoscere i doni di Dio, come scrisse un giorno sr.Vitarosa: « Posso dire che ho ricevuto tanto da loro, (i miei poveri) soprattutto la serenità e la capacità di sopportazione. Loro accettano tutto dalla mano di Dio». Sr.Danielangela, negli ultimi giorni della sua vita, continuava a dire che «non sappiamo né l’ora né il giorno in cui il Signore ci può chiamare», ma che occorre sempre «restare nella gioia, perché amore chiama amore».

“Attraverso il mare salvo un’anima e poi muoio”


Lo diceva ancora ragazzina suor Floralba Rondi. Era nata nel 1924 a Pedrengo, paesino della bergamasca, e fin da bambina aveva sentito la vocazione missionaria. La morte della mamma la costringe, ancora quindicenne, a farsi carico degli otto fratelli più piccoli, cosa che non le impedisce di continuare a sognare l'Africa. Nel 1945 entra all’istituto delle Poverelle, e finalmente realizza il suo sogno: "attraversa il mare" verso lo sconosciuto e sterminato Congo belga, nel cuore dell'Africa equatoriale, in mezzo a lebbrosi, tubercolosi, bambini denutriti, handicappati, poveri di pane e di speranza. Quarantatrè anni così: di giorno sempre sorridente e instancabile nelle corsie o nella sala operatoria dell'ospedale della missione; la sera immobile a lungo davanti a Gesù Eucaristia. Quando qualcuno le raccomandava di riposarsi, la risposta sorridente era sempre la stessa: "E dove la trovo la forza se non qui, davanti a Gesù?" Prende il virus Ebola in sala operatoria mentre assiste come tante altre volte un malato grave. Muore il 25 aprile 1995.

Lasciatemi andare dal mio Signore

Suor Clarangela Ghilardi era nata a Trescore Balneario nel 1931, ultima di quattro fratelli. Dalla famiglia contadina, semplice e buona quanto povera, suor Clara non eredita beni materiali, ma un carattere sempre sereno, allegro, ottimista anche nelle difficoltà. Entra in istituto a 21 anni e prima ancora della professione perpetua, parte per la missione, dove vi rimarrà trentasei anni tra gli ammalati e soprattutto tra le giovani mamme in sala parto, dove con la sua professione di ostetrica esprime tutta la sua gioia di vivere e di proteggere la vita. Vicino a lei, che con una battuta sdrammatizza le situazioni più pesanti, o che corre spericolata da un padiglione all'altro col suo fedele motorino, fischiettando vecchie romanze, non si riesce a essere tristi! Suor Clara si contagia nel reparto medicina dell'ospedale di Kikwit e muore il 6 maggio. Le sue ultime parole sono una commovente testimonianza del suo amore ai fratelli congolesi e del suo intenso desiderio di Dio: «Signore, abbi pietà del nostro popolo. Tu vedi i bisogni, ma io voglio fare solo la tua volontà... Lasciatemi andare dal mio Signore!»

Amore chiede amore

Suor Danielangela Sorti nasce a Bergamo nel 1947, ultima di 13 figli. A nove anni è orfana di papà e di mamma. Forse è proprio il doversi "far strada" in mezzo a tanti fratelli più grandi che le forgia quel carattere forte, autonomo e battagliero che la caratterizzava. A 19 anni entra tra le Poverelle, si diploma infermiera e lavora per alcuni anni tra gli anziani dell'istituto Palazzolo di Milano. Nel 1978 parte per il Congo dove, pur “travolta” dal lavoro e dai bisogni dei poveri, non perde la dimensione contemplativa della vita, tanto che le consorelle la ribattezzano "la trappistina". Lei scrive: "Cerchiamo di lottare per una liberazione prossima e futura di questo nostro Paese di adozione. Il Signore ascolti il nostro grido e mandi un nuovo Mosè. Ma per incontrare il Signore occorre passare molte ore in preghiera davanti a Lui... Amore chiede amore!". Si contagia assistendo con amore una sua consorella e muore l'11 maggio 1995.

La missione è servire i poveri

Suor Dinarosa Belleri nasce in Valtrompia, (Brescia), nel 1936 e da bambina conosce la povertà della guerra e la paura dei bombardamenti. Quando trova lavoro in una fabbrica di bulloni, fa chilometri a piedi e risparmia i soldi della corriera "per portarli un giorno in missione". Suor Dina vivrà in Congo per 29 anni, tra ammalati di tubercolosi e di aids e tra continue crisi politiche, disordini e saccheggi. Dal sorriso mite, è lei la "giullare" della comunità, sempre pronta a mettersi in maschera e rallegrare ogni momento di festa. Il virus Ebola la colpisce tra i tubercolotici di Kikwit. A una persona che le chiede se non ha paura, risponde: «Cosa ha fatto il mio fondatore? Io sono qui per seguire le sue orme, sono qui per servire i poveri. Il Padre Eterno mi aiuterà». Il virus la distrugge in pochi giorni e muore il 14 maggio 1995.

Con Maria vogliamo ripetere: Fiat

Di Suor Annelvira Ossoli una consorella ha testimoniato: «Nell'assistere le suore colpite dal virus prima di lei, ha proprio esagerato nell'Amore!». Sr. Anna non poteva essere che così: una esagerazione d'amore! Era nata a Orzivecchi nel 1936 e da ragazza aveva imparato a fare la magliaia, oltre che aiutare il papà al mercato della verdura e d'estate in una piccola gelateria. A 19 anni pronuncia i voti religiosi tra le suore delle Poverelle. Studia e diventa infermiera, poi caposala, poi ostetrica: trova così immenso campo di lavoro in Congo, dove la sua vocazione missionaria la porta ancora giovanissima. L'ultimo periodo dei suoi 34 anni di missione lo spende nel servizio di Madre Provinciale per le comunità d'Africa. Madre nei tanti anni di appassionato servizio come ostetrica, Madre nel prendersi cura delle sue consorelle fino a dare con estrema lucidità e generosità la vita per loro! Alcuni giorni prima di morire, isolata in una stanzetta della missione di Kikwit, scrive: «Ci rimettiamo a Dio. Con Maria ai piedi della croce vogliamo ravvivare la nostra fede e ripetere con Gesù e Maria il nostro fiat». Muore il 23 maggio 1995.

Dio mi ama di amore infinito

Suor Vitarosa Zorza nasce a Palosco nel 1943, in una famiglia numerosa e laboriosa. Orfana di mamma a soli due anni, Rosa cresce però serena e vivace, conosce un giovane e sogna un futuro di sposa e di mamma felice. Per guadagnare qualcosa va a lavorare nell'ospedale psichiatrico di Varese, conosce da vicino il carisma delle suore delle Poverelle e a 21 anni decide: «E' l'ora di dare la mia risposta a Dio». Dopo alcuni anni di vita religiosa e di servizio infermieristico in varie realtà italiane, viene mandata in Congo dove lavora per altri 13 anni, fino al giorno in cui, saputo che a 500 Km. c'è un'epidemia che fa morire tanta gente, lei si offre di andare a dare una mano e parte per Kikwit con due valige di medicinali e l'immancabile sorriso: «Perchè avere paura? Anche le altre suore sono là. In questo momento hanno bisogno di me». Il segreto della sua carità simpatica e gioiosa lo scrive nei suoi appunti personali: «Ho percepito che Dio mi ama di un amore infinito. Più mi riconosco di avere tanti limiti e di essere tanto povera, più sento che Dio mi ama. Si, perché Dio ama i piccoli!». A Kikwit assiste le sorelle contagiate dal terribile virus e le raggiunge in cielo, ultima della fila, il 28 maggio, festa dell'Ascensione.

Ebola e l’ultimo dono

Ebola è un virus che prende il nome da un torrente in Congo dove si manifestò la prima epidemia nel 1976. Si tratta di una febbre emorragica: in pochi giorni attacca tutti gli organi del corpo e alla fine dissolve tutti i tessuti provocando grosse emorragie. Conduce alla morte nell’80% dei casi. È venuta alla ribalta mondiale nel 1995 quando a Kikwit nel nord est del Congo causò la morte di 240 persone, di cui 60 erano operatori sanitari: tra questi le sei suore infermiere che decisero di restare in mezzo a un popolo già tragicamente colpito.
«Ho sostato nel piccolo cimitero di Kikwit» – racconta don Arturo Bellini , sacerdote di Bergamo in visita alla missione delle Poverelle in Congo. « Suor Floralba, suor Clarangela, suor Danielangela, suor Dinarosa, suor Annelvira, suor Vitarosa sono sepolte tra i poveri, con segni poveri, secondo lo spirito del beato Palazzolo: tra fiori di campo e una piccola croce di legno. Ci vuole poco per rivelare l’essenziale di una vita donata giorno per giorno, con letizia e umiltà, nel silenzio del servizio quotidiano. Ci vuole poco a raccontare il Vangelo: basta accoglierlo come un seme» e come un seme accettare di morire per portare frutto.