La conclusione dell’anno sacerdotale l’11 giugno scorso, solennità liturgica del Sacro Cuore, ha suggerito al p. José Ornelas Carbalho, superiore generale dei dehoniani, e al suo Consiglio, di scrivere la consueta lettera annuale per contribuire a vivere questi eventi con lo sguardo rivolto alle radici del carisma dell’istituto, così da incarnare ed esprimere in modo speciale nella Chiesa e nel mondo l’amore di Cristo. Il Cuore di Gesù si colloca infatti al centro dell’eredità spirituale che p. Dehon ha lasciato al suoi seguaci. Nel suo Testamento spirituale leggiamo: Vi lascio il più meraviglioso dei tesori, il Cuore di Gesù. Ma oggi c’è bisogno di un ripensamento e approfondimento.
Quando infatti p. Dehon morì, nel 1925, la spiritualità del Cuore di Gesù era ampiamente debitrice della tradizione precedente. Era caratterizzata da una forte accentuazione devozionale, in grado tuttavia di toccare in profondità le corde più sensibili dell’animo della gente semplice e di suscitare generose risposte di amore e spesso anche atti di eroismo.

Un viaggio nella tradizione biblica

Oggi, scrive p. Ornelas «il rinnovamento teologico e liturgico che confluisce nel Concilio Vaticano II, , ha fatto sentire la necessità di rivedere, purificare ed esprimere in forma nuova i contorni di questa spiritualità».
Egli paragona questa opera di ripensamento a un viaggio, come quello dei due discepoli di Emmaus, i quali lungo il cammino hanno fatto l’esperienza personale della presenza del Signore risorto e questa ha cambiato radicalmente il loro cuore. Occorre quindi partire mettendosi in ascolto: ascoltare cioè la tradizione biblica in cui «molto prima che nella spiritualità cristiana, il cuore, in senso figurativo-simbolico, occupa uno spazio singolare nella comprensione della persona umana, e dei suoi rapporti con altre persone e con Dio». Ora, «mentre, nella cultura occidentale, la simbologia del cuore evoca l'emozionalità e l'affettività/amore, nella mentalità biblica essa si collega, prima di tutto, con la conoscenza, la memoria, la volontà e la capacità di decidere. Inoltre, parlare del cuore non significa designare un settore o una parte della persona, ma la globalità del suo essere, la sua interiorità in opposizione a quello che è superficiale, la verità intima rispetto a quello che è semplicemente apparente, provvisorio o ingannevole».
«La dimensione del cuore, sottolinea il padre, è particolarmente importante nei rapporti interpersonali. Qui il cuore esprime, prima di tutto, verità e trasparenza, ma anche amabilità e tenerezza nella relazione. Esporre o "effondere" il proprio cuore significa rivelare i propri sentimenti o pensieri, il segreto della propria esistenza; mentre avere accesso o parlare al cuore di qualcuno indica conoscenza intima dell'altro e comunicazione d'affetto. Il cuore di qualcuno è il suo segreto profondo che si conosce solo nella misura in cui la persona stessa si rivela e entra in comunicazione con altre».
«Non stupisce, poi, che "il cuore", cioè, l'uomo nella sua verità personale e intima, sia il campo per eccellenza del rapporto con Dio. Il Creatore conosce i suoi impulsi più intimi, guarisce le sue ferite, spezza la sua durezza, lo istruisce e lo rinnova. Perciò, cosciente della debolezza e delle deviazioni del cuore umano, per bocca del profeta Ezechiele, Dio annuncia il dono di un cuore nuovo, per opera del suo Spirito, come segno e anticipazione dei tempi nuovi della salvezza: "Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno Spirito nuovo" » (Ez 36,26).

È sullo sfondo di questa visione biblica che si sviluppa ora il viaggio per entrare in profondità nella concezione attuale della spiritualità del Cuore di Gesù. Esso comincia fissando lo sguardo sul Cuore di Cristo, in particolare sull'umanità di Gesù, come Verbo fatto carne e venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14): «Nei suoi gesti, si può contemplare la sollecitudine di Dio verso l'umanità, la sua vicinanza a ogni persona, indipendentemente dalla sua razza, cultura o condizione sociale; la priorità dell'attenzione ai più piccoli, ai sofferenti e agli esclusi; la fedeltà dell'amore anche davanti al rifiuto, la sofferenza e la morte. Il "Cuore relazionale" di Cristo esemplifica, in forma umana, l'intramontabile amore di Dio verso la sua creatura prediletta: l'essere umano, ma è, allo stesso tempo, espressione del meglio che può essere quest'uomo, nei rapporti con gli altri e con il Creatore. Per questo si presenta come modello da seguire e imitare : "Imparate da me che sono mite e umile di Cuore" (Mt 11,29).

Sguardo rivolto al costato trafitto di Cristo


Lo sguardo deve essere rivolto in particolare al costato di Gesù trafitto sulla croce, da dove sgorgano sangue e acqua, segni della vita e dello Spirito effusi sull’umanità: «Nel colpo di lancia, l'evangelista contempla lo svelarsi della verità più chiara e profonda sulla vita di Gesù, nel momento in cui porta a conclusione la sua missione in questo mondo. È la prova culminante di una vita offerta per amore fino alle ultime conseguenze: "Avendo amato i suoi che erano nel mondo, portò fino alla fine il suo amore per loro" (Gv 13,1). Indica, per così dire, la nascita dell'uomo nuovo, capace, non solo di una vita libera dall'egoismo e dal peccato, ma libero finalmente dalle catene della morte, perché accolto nella gloria del Padre. Dà inizio alla comunità nuova, formata dal primo e secondo Israele, rappresentati dalla Madre e dal discepolo presso la croce. Questa nuova umanità è riunita, fecondata e orientata dallo Spirito, simbolizzato dal sangue e dall'acqua, che genera una nuova esistenza e apre nuovi orizzonti di rapporti e di vita».
Ma il costato trafitto di Gesù rivela anche che «la manifestazione suprema dell'amore e del dono di se stesso ha luogo in mezzo al dramma del rifiuto, dell'odio, della violenza e della morte che travolge l'umanità. Essa ha estremo bisogno di essere liberata da questo cerchio infernale di violenza e morte, riconciliata dalle sue rotture, rigenerata dalla corruzione, ricreata con un nuovo principio di vita. Nel costato trafitto, riassunto del mistero pasquale, si rivela questa riparazione o rigenerazione dell'umanità colpita dal peccato, che corrompe i rapporti umani e impedisce la relazione con Dio. In obbedienza fedele al progetto del Padre di offrire all'umanità lo Spirito della rigenerazione, Cristo prese su di se il peso della degradazione umana, ''fino alla morte e morte di croce" (Fil 2,8). Anche nel rifiuto, nella sofferenza e nella morte, egli rimane fedele all'amore, rigettando le soluzioni di violenza e repressione e affermando la possibilità di un nuovo cammino nella solidarietà, nella riconciliazione e nel perdono. Come Figlio di Dio e datore dello Spirito, Egli rende possibile questo cammino anche a noi, divenendo "fonte di salvezza eterna", come dice la lettera agli Ebrei (cf. Eb 5,7-10)…».
Da qui deriva che «avvicinarsi o lasciarsi attrarre così dal Cuore di Cristo non è soltanto una visione contemplativa o speculativa, ma un cammino che coinvolge tutta la persona, come richiede la logica propria del cuore. Diventa vicinanza, comprensione, identificazione e trasformazione, a partire dalla richiesta e dalla disponibilità a ricevere il dono dello Spirito».

Un cammino di configurazione


Si apre così un cammino di configurazione al Cuore di Cristo che p. Ornelas descrive a partire da tre atteggiamenti fondamentali: un cuore in ascolto, un cuore aperto agli altri, un cuore solidale.

Anzitutto un cuore in ascolto. Il riferimento torna di nuovo ai due discepoli di Emmaus, dove sono indicati i due elementi fondamentali di questo ascolto che trasforma l'esistenza: «Lungo la strada, i due discepoli, guidati dal misterioso compagno di viaggio, hanno confrontato la parola dei profeti e di Gesù con la loro vita e quella degli altri discepoli. Poi, al calar della sera, lo hanno riconosciuto nello spezzare del pane, quando si è seduto a tavola con loro. Colui che ha accettato la morte come espressione di fedeltà e di amore e che adesso si fa presente in mezzo ai suoi, è l'unico che è capace di conferire senso allo scandalo del rifiuto, della sofferenza e della morte, attraverso i quali passa la redenzione dell'umanità.
Oggi, la "lectio divina" e l'eucaristia sono momenti privilegiati del tempo consacrato a rinnovare questo incontro con Cristo risorto nella comunità. È un ascolto che alimenta la comunione con Dio e con la comunità; insegna a discernere il senso del momento attuale, nella sua speranza e nel suo dramma; modella il cuore e configura la vita nella sequela di Gesù; rende possibile offrire la propria vita, nella gioia e nel dolore per la trasformazione del mondo.
Si tratta di compiere un cammino che ha come guida Cristo…. È un “cammino del cuore” che passa attraverso il Cuore di Cristo via, verità e vita (Gv 14,6). Come osserva l’apostolo Paolo, «la comunione con Cristo è una simbiosi che lo porta a riprodurre nella propria esistenza gli atteggiamenti di Cristo stesso: "Sono stato crocifisso con Cristo. Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Gal 2,19). Non si tratta soltanto dell'imitazione dei gesti di un maestro, ma più radicalmente dell'opera dello Spirito che fa della persona una creatura nuova, secondo il modello e i sentimenti di Cristo».
Il secondo atteggiamento è quello di un cuore aperto agli altri, che si apre a nuovi orizzonti, come è stato per la comunità apostolica a partire dalla Pentecoste. Lo Spirito si rivela come generatore di una nuova famiglia umana, rimuovendo le barriere di nazione, razza o cultura. Questa comunità ha come modello e primogenito il Signore Gesù, che supera ogni divisione e violenza con l'amore e il perdono per gli stessi persecutori, divenendo dono di riconciliazione e di pace».
Il primo compimento di questo progetto «si realizza nell'ambito della propria famiglia, dove s'impara ad amare aldilà del proprio interesse o utilità, nella gratuità dell'amore stesso. Quindi si estende anche alla vita all’interno della comunità che «ha un modello e una legge che è Cristo e il suo amore: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Da questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,34-35)». Questa sfida della comunione, sottolinea il padre, è particolarmente importante nelle nostre comunità di consacrati, che accettano l'invito alla sequela radicale di Cristo, per testimoniare il suo amore e essere interamente al servizio della costruzione del mondo nuovo nella forza dello Spirito. Nei rapporti con gli altri, a cominciare dalla propria comunità, si può vedere fino a che punto ci siamo lasciati realmente convertire e configurare al Cuore di Cristo. Senza la testimonianza dell'amore concreto, inganniamo noi stessi (cf. 1 Gv 4,20) e siamo solo venditori di fumo…».

Un amore universale e solidale

Espressione fondamentale dell’amore di Cristo è, inoltre, la sua universalità, al di là di ogni lingua, cultura o nazione: «Perciò, la dinamica della comunità che viviamo sotto la spinta dello Spirito di Cristo ci apre e ci prepara per vivere l'internazionalità nelle nostre comunità e nei nostri progetti di missione.
Terza caratteristica, un cuore solidale che si apre alla logica della missione, come solidarietà con Dio. A imitazione dell’ecce venio del Figlio di Dio, a cui fa eco l’ecce ancilla di Maria «intravediamo una disponibilità alla missione, fatta di consapevole comunione con il progetto del Padre e di libertà obbediente per realizzarlo. A questa luce comprendiamo la logica del Buon Pastore, che organizza il proprio gregge e vuole raggiungere le pecore che sono fuori (Gv 10,16), ma che perde il tempo con una sola che si è smarrita e ha bisogno di cure speciali (Le 15,4-7), e che, per tutte, offre la propria vita».
Assumere la missione e richiede un cuore libero, umile e generoso, unito a quello di Cristo. Fa parte di questa missione anche « il mettersi in strada, il guardare oltre i bisogni locali, il varcare confini e contattare altre culture e regioni, come pure altri areopaghi dell'attività umana, nel dominio sociale, economico e delle comunicazioni. Rendersi disponibile e prepararsi a questa missione è parte della nostra vocazione, perché essa è implicita nel Cuore universale di Cristo».
«La parabola del buon samaritano (cf. Lc 10-29-37) ci serva come quadro e ispirazione finale di questa riflessione sul "cammino del cuore". Sulla nostra strada, importante non sono le nostre origini, cultura, titoli, funzioni o vestiti; importante è il cuore che determina in nostro modo di guardare, giudicare e agire. Attratti e modellati da Cristo, buon samaritano dell'umanità, sentiamo la sua voce che ci apre gli occhi del cuore e ci provoca: Va e anche tu fa così!

Le radici dell'eredità spirituale che abbiamo ricevuto da P. Dehon – conclude p. Ornelas – ci rivelano un prezioso tesoro di riflessione biblica e teologica, centrata sulla spiritualità del Cuore di Gesù, icona dell'amore di Dio, fatto uomo in mezzo a noi. Essa ci porta all'intimità della persona di Cristo: la sua comunione con il Padre, il suo servizio solidale fino alla morte, la sua presenza nella Chiesa e il dono dello Spirito capace di trasformare il nostro essere a sua immagine di Uomo Nuovo secondo il progetto di Dio»