Il 14 giugno scorso sono stati celebrati a Milano i funerali di mons.Padovese, vicario apostolico per l’Anatolia, con sede a Iskenderun (Turchia) il giorno del Corpus Domini, il 3 giugno scorso. Mons. Ruggero Franceschini, vescovo di Smirne, prendendo la parola al termine del rito funebre celebrato dal card. Dionigi Tettamanzi, arc. Di Milano, ha detto: «Stiamo per dare l’ultimo saluto al nostro e vostro vescovo Luigi; come ho già detto nell’omelia a Iskenderun, non è il caso di farne l’elogio funebre, di raccontare al mondo quanto fosse buono, mansueto, intelligente, modesto; chi ha testimoniato con il sangue non ha bisogno di parole, e neanche di miracoli…Hanno ucciso il pastore buono… Impressiona leggere oggi un delle prime lettere pastorali ai suoi fedeli: «Cari fratelli,– scriveva – a noi, forse, non è chiesto di testimoniare la nostra fede sino al martirio, ma è pur vero che ci è chiesto di testimoniarla”. Ahimè, almeno per ciò che riguardava don Andrea Santoro e se stesso:purtroppo si sbagliava. O forse era solo una premura per non spaventare la sua comunità. Nella stessa lettera infatti, lucidamente, scrive quasi presagendo la sua sorte: «Fra tutti i paesi di antica tradizione cristiana, nessuno ha avuto tanti martiri come la Turchia. La terra che calpestiamo è stata lavata con il sangue di tanti martiri che hanno scelto di morire per Cristo anziché rinnegarlo». Anch’egli ora fa parte di questa schiera di martiri, assieme a don Santoro e altri.

Stava per recarsi a Cipro per incontrare il papa

Quando è stato ucciso si apprestava a partire alla volta di Cipro per incontrare il papa Benedetto XVI. Aveva 64 anni; era francescano cappuccino, docente di patrologia, già preside della pontificia Università Antonianum di Roma (in tale veste promosse simposi di studio su san Paolo, a Tarso, e su san Giovanni, a Efeso). Dal novembre 2004 vescovo, vicario apostolico per l’Anatolia, con sede a Iskenderun (città portuale a sud della Turchia), presidente della Conferenza episcopale.
L’abbiamo incontrato nell’aprile del 2006, pochi mesi dopo l’uccisione di don Andrea Santoro a Trebisonda (5 febbraio). Alla luce del suo martirio, ci sembrano illuminanti le parole che ebbe a dirci, in maniera quasi profetica, in quell’incontro.

Sulla cattedra di Pietro

«Io sono qui da 18 mesi ormai, anche se la Turchia la conosco da tantissimi anni, perché è da oltre 30 anni che ci vengo… Sono arrivato contento della nomina a vescovo che mi è stata fatta. Quando sono andato dal papa a ringraziarlo, egli era ormai verso la fine dei suoi giorni, stava abbastanza male, faceva fatica anche a parlare. Il segretario mi ha consigliato di prendere la parola per animarlo un pochino. Bene, sono andato e mi sono presentato: “Santità, io sono il successore di san Pietro sulla cattedra di Antiochia” e questo lo ha svegliato. Ha prestato attenzione, forse ha pensato di aver scelto la persona sbagliata! Di fatto è così, in fondo qui tra i vescovi (anche se parecchi, anche se ad Antiochia ci sono 5 patriarchi che hanno il titolo di patriarca) non c’è nessuno che risiede: quindi l’unico che può sedersi sulla cattedra di san Pietro sono io. Non ho detto una falsità, soltanto che la verità non era completa!
Sono contento di essere qui perché questa è la mia terra, in un certo senso, proprio anche per il tipo di studi che ho svolto in tantissimi anni di docenza. È la terra degli Apostoli, è la terra dei padri cappadoci, dei padri siriaci, degli antiocheni, è una terra che adesso cerco di conoscere sempre di più quando ho un po’ di libertà, veramente poca. Faccio qualche puntatina qua e là e devo dire che sto scoprendo un volto di Turchia del tutto inedito per me che pure conosco da tanti anni. Vedo cose che non avevo mai visto… Qui dall’altra parte del mare c’è la famosa Aias, che soprattutto per i veneziani ha un fascino speciale, anche se ormai l’hanno dimenticata, perché è il punto dal quale Marco Polo è partito per il lungo viaggio verso la Cina. Qui, a una trentina di chilometri di distanza, c’è una piccola cappella, vicina a un castello crociato, dove si ricorda il luogo in cui Giona è stato sputato fuori dal cetaceo. In effetti per arrivare a Ninive questo è il punto più vicino, via mare. Qui a poca distanza stanno rendendo visitabile l’antica Issos, luogo famoso della battaglia del 333 a.C. che ha permesso ad Alessandro Magno di passare verso l’oriente, l’Egitto e anche verso l’India».

Comunità cristiana minoritaria,piccola e dispersa

Mons. Luigi ci mette a nostro agio con squisito senso dell’ospitalità e con la sua cultura popolare.
«Mi trovo qui. La comunità che ho è quanto mai eterogenea. Innanzitutto sparsa su un territorio che è più di una volta e mezzo il territorio italiano. Ho due parrocchie: quella di Samsun dista 950 km da qui e quella di Trebisonda 1350 km. C’è una famiglia di italiani che lavora per il vicariato nell’estremo est della Turchia; religiosi trentini sono in Cappadocia ad Avanos; tutte le nostre altre presenze sono dislocate qui sulla costa: Mersin, Adana, Tarso (soltanto tre suore); infine qui a Iskenderum e Antiochia.
Una realtà molto eterogenea, perché se io guardo i cristiani che vengono qui alla messa di domenica, devo dire che i latini sono il 10%, gli altri sono ortodossi, per buona parte. Qui vengono cattolici latini, greco-cattolici, maroniti, siro-cattolici, siro-ortodossi, caldei cattolici, caldei ortodossi, armeni cattolici, armeni ortodossi. Una mescolanza di riti che comunque accettano la nostra realtà di Chiesa cattolica e si adattano… evidentemente con qualche piccola modifica per non urtare la loro sensibilità: ad esempio nel Credo non diciamo Chiesa cattolica ma Chiesa universale, che è poi la stessa cosa tutto sommato. In questo clima di adattamento i rapporti con gli ortodossi sono diventati molto buoni… Vediamo se riusciamo a trovare una data comune per celebrare assieme la Pasqua e non in due date diverse, perché il problema che si pone è quello dei matrimoni misti: capita che la moglie faccia festa perché magari è cattolica, il marito deve fare digiuno perchè festeggia 2-3 settimane dopo! Quindi si generano situazioni che creano un po’ di difficoltà anche all’interno delle nostre famiglie, prevalentemente miste: armeni, cattolici, ortodossi, caldei.
La situazione della Chiesa in Turchia è quella di una realtà minoritaria all’interno di un mondo musulmano. Si sa che la Turchia ha voluto essere uno stato laico. Di fatto, per ragioni di carattere politico, la laicità è andata dimenticata. Questo ha avuto delle conseguenze anche nei nostri confronti, perché è vero siamo una minoranza ma minoranza che ha perso quasi tutti i diritti! Non ha perso ancora il diritto di sopravvivere. Io ad esempio sono qui in Turchia, ma non ho nessun riconoscimento da parte dello stato turco perché la Chiesa cattolica latina in Turchia non è riconosciuta… In pratica, in Turchia le uniche minoranze riconosciute sono quella ortodossa, quella bulgara, quella armena e quella ebraica. Tutte le altre minoranze, quindi i protestanti, i cattolici, i siro-cattolici, i caldei non hanno nessuno status giuridico e non sono riconosciute. Questo ci ha creato un po’ di difficoltà nel passato e ce ne sta creando ancora oggi».

Stare tra la gente contro i pregiudizi

«Devo dire che personalmente il mio rapporto con la gente è abbastanza buono. Non ho avuto grandi difficoltà, perché ho trovato da parte del popolo turco una buona accoglienza nei miei confronti… parlo della gente semplice ma anche dei responsabili. Però evidentemente ci sono anche delle teste calde dalle quali bisogna sempre guardarsi. Mi hanno rimesso il poliziotto, che mi era stato tolto per grazia di Dio qualche settimana fa, perché una decina di giorni fa hanno cercato di investirmi in motorino, in un passaggio pedonale. C’è una situazione relativamente tranquilla, ma bisogna prestare ugualmente molta attenzione perché non si sa chi e quando può colpire… soprattutto adesso, che si celebrerà il processo del presunto assassino di don Andrea, è possibile che gli animi si surriscaldino ancora un po’…
Io ricevo due volte la settimana il bollettino dell’Ufficio stampa della Conferenza episcopale turca: ebbene vengono riportate tutte le notizie sui cristiani, sulla Chiesa, sulle diverse confessioni. Devo dire che l’80% delle cose che leggo settimanalmente o sono calunnie o prese in giro o sono banalità sulla Chiesa, sui cristiani. Quindi chi legge questi giornali, parlo dei giornali nazionali, si crea un’opinione sui cristiani totalmente falsa. Per questo quello che sto facendo adesso è di mettere in piedi strumenti di comunicazione, anche per contrastare queste letture distorte del cristianesimo, che poi creano soprattutto nei più sprovveduti un atteggiamento negativo nei nostri riguardi.
Un paio di settimane fa un ragazzino ha scritto una lettera: compio 18 anni, se voi mi date 100 euro io sono disposto a diventare cristiano. Ci sono anche dei miei amici che sono disposti a diventare cristiani. Questo per dire come certe notizie, che circolano soprattutto nei più sprovveduti, trovano buon terreno con la conseguenza che le letture che danno di noi sono distorte. Il poliziotto di scorta, quando mi ha lasciato due settimane fa, mi ha detto: io non credevo che voi cristiani foste così diversi da come vi dipingono. Non credevo che foste persone così normali, così affabili, sempre tranquilli e sorridenti. Per dire cosa ci sta dietro: un monte di pregiudizi, di preconcetti che ci grava ancora sulle spalle. Per cui la cosa molto importante è di rendersi presente, di comunicare, di stare anche tra la gente, di dare un volto diverso».

Pericoli e speranze per i cristiani


Mons. Padovese non è tranquillo. «Il pregiudizio più comune è che noi cristiani siamo senza fede, che abbiamo la fede sbagliata o che siamo piuttosto superficiali… Dopo l’omicidio di don Santoro, viviamo nella stessa situazione di prima, con un atteggiamento di maggiore prudenza rispetto al passato, perchè fino alla morte di don Andrea nessuno si sentiva minacciato. Adesso abbiamo dovuto mettere in tutte le nostre case una telecamera, prima non c’era. In certi posti nelle ore di visita della chiesa adesso c’è sempre un poliziotto.
L’altro ieri mi ha chiamato il giovane sacerdote, che ho mandato a Trazon per non lasciare la parrocchia totalmente sguarnita, e mi ha detto: è venuto un pazzo durante la notte, ha continuato a bussare alla nostra porta, a gridare; non sapevo cosa fare, se chiamare la polizia oppure no. Qui a Mersin un mese fa, un giovane forse squilibrato, con una scimitarra nascosta dietro le spalle, è entrato nella parrocchia: a un certo punto ha tirato fuori l’arma e ha minacciato i due sacerdoti. Sono fatti che lasciano un po’ perplessi… Sono tanti episodi, che però prima non c’erano. Adesso pensiamo sempre che ci sia un collegamento, almeno tra i più gravi».
Ci stringiamo ancor più intorno al vescovo e gli chiediamo cosa possiamo fare per lui in Turchia.
«Io penso già che il fatto che ci vedano, che vi vedano anche qui, questo è già quanto mai significativo. Capiscono che non siamo una realtà isolata, sola. Poi ci sono altre forme di aiuto, legate alla situazione che stiamo vivendo. Qui ad esempio ho parecchi cristiani che sono disoccupati. I cristiani sono centinaia di migliaia, però sui documenti figura che sono di religione islamica per non perdere il posto di lavoro… la gente semplice, gli operai, soprattutto gli armeni, hanno dovuto cambiare il cognome e sulla carta d’identità hanno “religione islamica”. Uno dei miei compiti adesso è anche quello di trovare il sistema di far lavorare autonomamente queste persone, perché non abbiano né loro né i lori figli paura di dire quello che sono. Perché il cristianesimo qui in Turchia è andato smarrito proprio in questo modo, per paura. La paura è legata al fatto di essere isolato, di non avere più lavoro, di non trovare poi la possibilità di andare avanti».
Le ultime battute del lungo colloquio vertono sul bisogno di formare laici evangelizzatori, capaci di introdurre le persone alla fede in Cristo, e sulla sua idea di creare di un centro di studi biblico-patristici e per il dialogo interreligioso con il mondo musulmano. Un sogno di pace che potremo realizzare solo col perdono vicendevole, con la preghiera e col sacrificio.