Mi chiamo suor Maria Sabina dell'Eucaristia e vivo nel "Carmelo" da circa
nove anni. Sono nata in una famiglia molto semplice dove ho imparato a conoscere
Gesù e respirato la fede nel clima stesso della vita famigliare, attraverso
varie esperienze di gioia e anche di sofferenza. Nonostante i vari cambiamenti
di abitazione (anche fuori Viterbo), il centro della vita della nostra famiglia
è stato ovunque la parrocchia, dove mia madre è stata sempre impegnata come
catechista. Ho conosciuto molte realtà parrocchiali, frequentate assiduamente
soprattutto nel catechismo e nella messa domenicale che credo di non aver mai
tralasciato nella mia vita. Dall'età di otto anni entrai a far parte di un
gruppo scout a Viterbo: anche questa realtà ha molto inciso nella mia formazione
umana, soprattutto nei due aspetti della comunità e del servizio.
Un sogno nel cassetto
L'inizio delle scuole medie fu per me l'incontro con il mondo della musica in
cui cominciai lo studio del violino. Riuscii subito molto bene
nell'apprendimento dello strumento e mi accorsi che forse avevo un talento
particolare, delle buone qualità per riuscire in questo campo e questo mi spinse
a cercare un livello sempre più alto, a dedicarmi totalmente a quell'attività e
all'attività concertistica. Di successo in successo mi impegnavo per salire
sempre più in alto. Dopo il liceo vinsi il concorso all'Orchestra Giovanile
Italiana, ma pian piano anche quell'ambiente mi divenne stretto. Entrai anche
nell' ambiente della Scala a Milano, dove mi recavo ogni mese per perfezionare
la tecnica violinistica, finché cominciai a inseguire un altro sogno: arrivare
alla Filarmonica di Berlino dove il mio maestro aveva suonato per trent' anni.
Nel rincorrere questo sogno però tutto il resto della mia vita era passato in
secondo piano: le amicizie, i miei interessi, il tempo libero, tutto era in
funzione della musica e dei miei ideali che erano diventati un vero idolo.
Nonostante fossi rimasta sempre fedele alla pratica dei sacramenti e alla
partecipazione domenicale all'Eucaristia, nella mia vita quotidiana il Signore
era alquanto estraneo. Persino l'ideale del matrimonio e della maternità era
stato riposto in un angolo chiuso della mia vita. Avevo vissuto l'esperienza del
fidanzamento per circa due anni, ma pian piano sentii che nemmeno
quell'esperienza colmava i miei desideri più profondi.
Questa situazione di rincorsa andava raggiungendo il suo culmine, mentre
interiormente non faceva che lasciarmi un grande vuoto, un'inquietudine e
insoddisfazione che forse oggi molti oserebbero chiamare con il termine così
inflazionato di depressione: più tardi ho capito come questa inquietudine era un
vero deserto che Dio permetteva nella mia vita per poter entrare al momento
opportuno, o meglio – per usare un'espressione di S. Teresa di Gesù – per
rientrare nel mio "castello interiore".
Una presenza improvvisa
Il momento vero e proprio della chiamata avvenne improvviso e folgorante, un po'
come quello di S. Paolo sulla strada di Damasco. Era il 1 gennaio 1999,
solennità della Madre di Dio; dopo un periodo di riposo natalizio, stavo
tornando a Firenze, dove avrei avuto l'indomani un'audizione molto importante
con l'orchestra, quando sul treno fui avvolta improvvisamente dalla presenza di
Dio. Non è facile descrivere a parole quella esperienza: sentivo tutta
l'immensità dell' amore di Dio concentrato su di me come fossi stata l'unica
creatura al mondo e contemporaneamente, anche se non saprei spiegare come, la
chiamata ad appartenere totalmente a Lui: come se quell'invito fosse stato la
risposta a un desiderio nascosto nel mio cuore, sentii nascere dentro di me una
gioia profonda che non mi lasciò più. Credo che tutti se ne siano accorti anche
quando mi trovai con i miei colleghi d'orchestra. Sentivo forte il desiderio di
comunicare questa esperienza, ma in realtà, mi era impossibile farlo, perché in
quell'ambiente mi avrebbero preso per pazza. Quella stessa sera mi venne una
febbre altissima e per diversi giorni rimasi in albergo per curarmi e lì potei
riflettere molto anche sulla mia vita, ma siccome non riuscivo a guarire dovetti
prendere il treno e tornare a Viterbo.
La ricerca di un altro senso
Ero finalmente rientrata in me stessa e cominciai a chiedermi che cosa il
Signore volesse dalla mia vita, che aveva preso ormai una nuova luce. Cominciai
a fare esperienza della Divina Provvidenza, di come tutto quello che riempie la
nostra vita quotidiana rientra in un grande progetto di Dio. Innanzitutto,
cercai qualcuno a cui confidare ciò che avevo vissuto e man mano che ne parlavo,
questa realtà divina e il desiderio di appartenere totalmente a Dio si faceva
più concreto e reale nella mia vita. È proprio qui che sentii pronunciare per la
prima volta il mio nome dal Signore, quando nella mia vita si fecero
misteriosamente presenti due nuove persone: l'Eucarestia e Maria. Pur
continuando l'attività con l'orchestra avevo cominciato a leggere la Parola di
Dio e ad andare a Messa quotidianamente, quando cominciò ad accadere un fatto un
po' singolare: un giorno passai accanto ad una chiesa in un orario normalmente
di chiusura e vidi da una finestra laterale una luce accesa: pensando che ci
fosse la Messa entrai e mi trovai di fronte a Gesù Eucaristia esposto sull'
altare. Mi fermai in silenzio davanti a Lui. Sentii di nuovo quell'attrazione
folgorante e il desiderio di appartenere totalmente a Lui. Questo fu l'inizio di
tanti incontri con Gesù Eucaristia, perché per alcuni mesi di seguito ogni volta
che entravo in una chiesa, anche durante le tournée in città che non conoscevo,
mi ritrovavo di fronte a Gesù esposto sull'altare, tanto che divenne quasi un
gioco: Lui cercava me ed io cominciai a cercare Lui su tutti gli altari. Presi
come un segno ciò che accadeva e mi colpiva che anche i giorni in cui ero più
occupata e presa dal lavoro, facevo una piccola sosta e in una chiesa qualunque
c'era Lui che mi aspettava sull'altare e questo è uno dei primi punti che mi
diedero luce sulla nostra vocazione claustrale dove tutta la vita e le attività
sono vissute alla sua presenza, come Lui è pienamente operante e presente a noi
in questa esperienza silenziosa.
A questo punto ero decisa ad entrare in un ordine eucaristico: le clarisse
francescane del SS. Sacramento, che avevo conosciuto durante un viaggio a La
Verna e anche perché la spiritualità francescana mi aveva sempre accompagnato
dall'infanzia. Ma non era quello il disegno di Dio su di me.
Si sviluppano nuove amicizie
Intanto si rese presente nella mia vita un'altra figura, quella di Maria, il cui
incontro avvenne in un modo un po' particolare. Un giorno (era il mese di
maggio) mi trovai nel giardino di una congregazione religiosa che frequentavo
spesso e le suore stavano pregando il Rosario con i bambini. Mi si avvicinò il
più piccolo di loro (aveva circa 4 anni) porgendo mi la corona del Rosario (una
corona missionaria), poi prendendomi per mano mi condusse in mezzo al piccolo
gruppo. Mi trovai in forte imbarazzo perché non avevo più pregato da anni quella
preghiera: la consideravo una preghiera da "vecchiette". Con disinvoltura, però,
cercai di unirmi alla preghiera di quei bambini. Forse quella esperienza così
umiliante doveva insegnarmi che per aprirsi all'amore di questa Madre divina
bisogna essere veramente semplici e poveri in spirito come dei bambini. Così
cominciai a pregare ogni giorno il Rosario, preghiera che mi riaprì al rapporto
con Maria alla quale mi rivolsi accoratamente perché mi conducesse a una più
chiara conoscenza della volontà di Dio nella mia vita. Fu lei che mi aprì la
strada verso il Carmelo.
Un giorno andai a trovare il mio parroco che stava sistemando la biblioteca e mi
regalò un libro di cui possedeva un doppione: era la biografia di Edith Stein,
Teresa Benedetta della Croce. Mi colpì molto perché questa donna per entrare in
clausura aveva dovuto lasciare una grande carriera e in questo senso era un
forte esempio per me, ma nella sua storia mi risaltò una parola in particolare:
il Carmelo. Non sapevo che cosa fosse, non mi ero mai chiesta prima d'ora quale
fosse la particolarità dei vari ordini religiosi. Da quel momento cominciai a
cercare il Carmelo. Tornai dal mio parroco e da vari sacerdoti, ma -non so per
quale motivomi rispondevano che era un Ordine troppo rigido, troppo severo per
me che ero abituata ad una vita di relazioni, di viaggi, spostamenti, ecc.
eppure quella domanda mi spin¬geva a cercare.
L’incontro con il Carmelo
Arrivò l'estate e ancora non avevo incontrato il Carmelo. Prima di partire andai
a salutare il mio parroco che, un po' sorridendo, mi disse: "Vedrai che, se il
Signore vorrà, te lo farà incontrare il Carmelo". L'orchestra doveva partire per
una lunga tournée, fermandosi prima circa un mese ad Aosta. In quel periodo era
lì in vacanza il papa Giovanni Paolo II. Un giorno sentii che egli avrebbe detto
l'Angelus la domenica successiva in una piccola località appena fuori Aosta,
così decisi di andare in quel luogo, insieme a una gran folla di gente che
saliva a piedi i ripidi sentieri di montagna. Appena arrivata sul luogo fui
scossa da un fremito nel leggere la scritta scolpita su un'insegna di legno:
"Monastero del Carmelo Mater Misericordiae". Non potevo credere ai miei occhi.
Ma ancor più scossa fui quando durante l'Angelus il Papa parlò proprio degli
Ordini di vita contemplativa come delle autentiche centrali di energia
spirituale che riproducono particolarmente la vita di Maria nel suo stile di
silenzio e di ascolto della Parola. Fece poi un improvviso appello a tutte le
giovani che sentivano una chiamata alla vita contemplativa invitandole a
rispondere con generosità, perché Cristo non toglie nulla ma è ricco in
generosità. Quelle parole mi si scolpivano nel cuore come se Cristo le
rivolgesse a me presente a quell'incontro di grazia. Con le lacrime agli occhi
decisi di attendere la partenza del papa per poter conoscere personalmente le
monache carmelitane e più specificamente lo spirito del Carmelo. Avrei voluto
fermarmi lì, entrare in quel Carmelo, ma mi si consigliò di fare prima
un'esperienza in un monastero più vicino a Viterbo; quindi rinunciai all'idea e
ripartii.
In quei giorni in cui approfittai per parlare con le monache ci fu un episodio
che mi diede luce sul senso di una vita interamente dedita alla preghiera.
Nell'ambiente in cui mi trovavo, mi era capitato ormai spesso di parlare di
questa mia esperienza, che era stata veramente travolgente, eppure molti mi
deridevano, non riuscivano ad accogliere questa realtà di Dio. Un giorno la
Priora di quel Carmelo, suor Maria degli Angeli, mi disse: "È proprio questo il
senso della nostra vita: dove non arrivano le parole o le nostre opere arriva la
preghiera, perché questa riporta all' azione diretta di Dio, soprattutto nei
cuori". Quella frase mi colpì così tanto che anche oggi mi torna alla mente
nelle situazioni delicate che mi si presentano.
Il fascino di s. Teresa di Lisieux
Così terminata la tournée ero ormai decisa a entrare al Carmelo. Non fu facile
il periodo che seguì: spesso, soprattutto nei momenti di maggior successo, il
pensiero di dover lasciare tutto quel mondo, la bellezza di suonare in
un'orchestra, nei grandi teatri, un velo di tristezza mi sfiorava, ma appena
finito il concerto, calato il sipario e cessati gli applausi, mi accorgevo che
tutta quella gloria non era stata altro che fumo, mentre la gioia che il Signore
mi aveva messo nel cuore dal giorno benedetto della mia chiamata era sempre viva
e forte dentro di me.
Intanto avevo conosciuto anche una figura che avrebbe inciso fortemente sul mio
cammino: S. Teresa di Gesù Bambino. Feci esperienza di come non siamo noi a
cercare i santi, ma sono loro che cercano noi per un preciso progetto di Dio.
Teresa mi diede molta forza nella decisione soprattutto per la sua totalità nel
dono di sé a Dio: "Amare è donare tutto e donare se stesso". Questa frase
divenne il mio cavallo di battaglia.
Tornata a Viterbo mi informai se ci fosse un Carmelo nella nostra diocesi e
trovai questo monastero che frequentai per un periodo. Nel frattempo parlai
della mia decisione di consacrarmi totalmente a Dio ai miei genitori, ma non fu
molto facile per loro accogliere questa notizia, pensando che avessi preso un
abbaglio o forse che questa fosse una fuga da qualcosa. Si rivolsero al vescovo
Lorenzo Chiarinelli che paternamente rispose loro: "Vediamo, se son rose
fioriranno" .
Nel mese di dicembre, per un misterioso disegno della Provvidenza ebbi la
possibilità di fare un viaggio a Lisieux ospite di una famiglia del posto e lì a
contatto con i luoghi dove era vissuta Teresa, decisi di fare un' esperienza al
Carmelo appena tornata in Italia.
Prima di questo viaggio però nel mese di ottobre, dedicato a Maria, potei
approfondire il mio rapporto con questa Madre Divina, soprattutto per mezzo
della consacrazione del Montfort, alla quale mi preparai con molta dedizione e
per mezzo della quale compresi come il mio cammino spirituale e vocazionale era
strettamente legato a Maria: mi consacrai a Lei i121 novembre 1999, durante la
Messa nella cappella di una congregazione religiosa.
L'ingresso in Carmelo
Il 10 gennaio 2000 entrai al Carmelo per fare un mese di esperienza in clausura
e in quei giorni mi sentii veramente a casa. Sentivo soprattutto che in questa
forma di vita -prendendo le parole di S. Teresa di G. B. - " ... i miei desideri
erano esauditi, la mia anima provava una pace così profonda che mi sarebbe stato
impossibile esprimerla". Così decisi irremovibilmente di entrare: la sera dell'8
aprile 2000 feci il mio ultimo concerto con l'orchestra a Teatro Unione di
Viterbo e il 9 entrai al Carmelo.
La vita claustrale così misteriosa per chi la osserva da fuori, ho imparato a
comprenderla con il tempo, vivendoci dentro: apparentemente è una vita molto
semplice, a molti può apparire inutile o banale anche di fronte a tante
necessità apostoliche, ma il suo vero valore e ciò che le conferisce forza
apostolica è la presenza di Dio che permea tutta la nostra vita. Nostro modello
è il profeta Elia nella sua celebre espressione: "Viva il Signore alla cui
presenza io sto", presenza che la monaca custodisce soprattutto nel suo mondo
interiore lungo tutto l'arco della giornata: è questo anche il senso dei due
mezzi importanti del silenzio e della solitudine. "Gesù la carmelitana la
riconosce dal di dentro", scriveva Elisabetta della Trinità. La monaca e in
particolare la carmelitana mediante la contemplazione diviene giorno per giorno
esperta del mondo di Dio, il mondo della grazia:
"Sappiamo di avere un'anima, perché ce lo insegna la fede, ma poche volte
pensiamo alle ricchezze che sono in lei e a Colui che in essa abita. Le nostre
preoccupazioni si fermano all'esterno, ai nostri corpi" (S. Teresa di Gesù).
Questo continuo sguardo interiore porta un grande equilibrio tra il lavoro e la
preghiera, tra la solitudine e la vita fraterna: tutto è unificato dalla
presenza di Dio, tutto ha lo scopo di condurci alla unione con Dio, di
trasformarci.
In altre parole la vita della claustrale ha lo scopo di riprodurre sulla terra
la vita di Maria, soprattutto la sua vita interiore fatta di silenzio e di
ascolto della Parola.