Il percorso, che sta portando i frati minori cappuccini ad approfondire le vie per comunicare il carisma oggi, ha conosciuto un’altra importante tappa con la V Assemblea dell’Ufficio generale della formazione (Frascati, 26 aprile-1° maggio 2010): esso è il laboratorio internazionale che nell’Ordine si occupa di far avanzare la riflessione e l’animazione sulla formazione permanente e iniziale, in un confronto sempre più serrato e onesto con il contesto culturale e le sfide che da esso provengono alla nostra identità di consacrati.

Un’esigenza dell’interculturalità

La necessità di intraprendere i primi passi verso la realizzazione di una Ratio formationis Ordinis (o “Progetto formativo”) è stato l’oggetto particolare di scambio e di discussione, la cui urgenza deriva direttamente dalla sollecitazione del Magistero della Chiesa e dalle nostre costituzioni , nonché in questo momento storico dalla scelta degli attuali superiori generali, i quali hanno posto la formazione come priorità della loro animazione e del loro servizio fraterno . Il duplice sguardo – caratteristico dell’autentico consacrato – verso la propria identità carismatica da una parte e verso le attese e le spinte del mondo dall’altra, ha portato il Ministro generale a gridare all’Ordine: Ravviviamo la fiamma del nostro carisma!, e con ciò ha messo in movimento le nostre energie alla riscoperta di tutto ciò che può far divampare questo fuoco, di cui noi per primi, assieme al mondo, abbiamo bisogno per rinnovarci.
Che cos’è, dunque, e qual è l’utilità di una Ratio formationis? Da questa domanda si è partiti per entrare con umiltà in un argomento che richiede serietà e impegno, coscienti che l’elaborazione di una Ratio formationis è sempre una responsabilità ecclesiale: a questo scopo ci si è posti in ascolto e si è dato ampio spazio alle voci degli esperti, alcuni consacrati impegnati in prima persona nella formazione o nell’elaborazione di strumenti formativi.
Facendo eco a queste voci, possiamo evidenziare alcune dimensioni essenziali a una Ratio formationis. La prima è l’interculturalità. Fr. Paolo Martinelli (OFM Cap) ha illuminato il valore della Ratio proprio in relazione a questo fenomeno, che incide profondamente nella nostra società e nella vita consacrata. Il motivo per la redazione di una Ratio formationis – ha detto – è l’interculturalità come condizione di una collaborazione più fattiva tra le diverse aree dell’Ordine. La Ratio formationis ha un grande valore di universalità: «unisce al centro ciò che in periferia si frammenta». Dopo la tendenza al centralismo e quella al localismo, ora è il momento della “glocalizzazione”, cioè della «messa in rete delle risorse formative». La Ratio formationis, infatti, è una vera urgenza affinché siano rispettate le singole culture e situazioni ambientali e possano realmente interagire tra loro. La messa in rete non è solo una strategia utile a fronteggiare i nuovi fenomeni sociali che stanno trasformando il mondo e che cambiano profondamente anche la geografia degli ordini religiosi, ma esprime una nuova visione della nostra identità culturale-carismatica: più completa, più aperta e più aderente al mondo attuale. Il retto modello dei rapporti tra le culture è infatti l’interculturalità, che permette l’apertura, la comunicazione, la sintesi e può avvenire solo nell’incontro tra identità chiare, che interagiscono valorizzando le “differenze”. Qualora si tollerassero semplicemente le “diversità”, le culture sarebbero tra loro freddamente giustapposte (“multiculturalismo”). E la forza di un carisma sta proprio nella «capacità interculturale», cioè nel valorizzare le differenze. L’interculturalità, infine, non nasce dall’incontro delle teorie, ma delle persone e si verifica sulla base dell’esperienza spirituale, cioè dell’«ascolto vicendevole della narrazione dell’altro». Concretamente da ciò deriva per il nostro Ordine l’importanza di prevedere già nella formazione iniziale periodi di scambio con culture diverse; di proporre fraternità interculturali per ripensare il tema della solidarietà del personale; di valorizzare la curia generale e il collegio internazionale come luoghi in cui sperimentare la capacità di progettualità condivisa.

Autenticità e unitarietà

Dopo questa preziosa contestualizzazione culturale di un compito che poteva sembrare meramente giuridico e interno agli interessi della nostra famiglia religiosa, la seconda dimensione fortemente segnalata è stata l’autenticità, che ci porta al nucleo perenne della nostra scelta di vita. P. Sante Bisignano (OMI) ha indicato, infatti, con semplicità e chiarezza le caratteristiche e il tono di una Ratio che possa essere realmente efficace: da essa – ha detto – deve emergere chiaro il carisma e la ricchezza dell’identità. Deve essere «un documento ispiratore»: il giovane in formazione, leggendolo, deve poter sentire la gioia di appartenere a quella famiglia religiosa. Essa è «uno strumento pedagogico» per la comunicazione dei valori costitutivi della propria vocazione e pertanto è «uno degli strumenti per la formazione delle persone nella loro identità carismatica»: quando quest’ultima è poco chiara, la Ratio formationis «diventa più uno strumento tecnico che un progetto di vita ispiratore e fonte di creatività».
Le finalità della Ratio formationis si comprendono attraverso due categorie di base: l’unità carismatica da una parte, che riguarda i contenuti essenziali della formazione, e il decentramento dall’altra, che invece esprime il rispetto delle diversità nelle espressioni concrete della formazione. Essa deve assicurare ovunque una formazione solida e promuovere l’unità carismatica e farlo con un linguaggio chiaro, scorrevole, positivo, non condizionato da problemi contingenti, stimolante, impregnato del carisma, completo e organico, flessibile e aperto, ispiratore.
Per comprendere ancor più l’importanza di garantire a tutto il percorso formativo la necessaria unitarietà – è la terza fondamentale dimensione –, è stata utile la relazione di fr. Vidal Rodriguez Lopez, Segretario generale della formazione OFM, che ha ripercorso con cura l’iter storico che ha portato i Frati Minori alla realizzazione e alla revisione della loro Ratio formationis. Occasione anche di scambio fraterno interfrancescano, il suo racconto è stato una preziosa comunicazione di esperienza più che di indicazioni teoriche. Sono emerse le più importanti linee di contenuto e di azione acquisite: la prospettiva di fondo è quella della formazione permanente, che regge tutto il progetto formativo; la pastorale vocazionale è stata inserita con lungimiranza come parte integrante del percorso formativo; si è assunta una volta per sempre la distinzione tra studio e formazione, per superare lo schema accademico della formazione iniziale; la chiave di lettura è quella dell’“accompagnamento”, che sottolinea la necessaria mediazione pedagogica di aiuto nel cammino di sequela. Nell’elaborazione del documento, per coniugare unità e pluralità la via è stata quella della partecipazione: le varie zone dell’Ordine sono state ascoltate e si è sempre partiti da questa esperienza concreta. Il bilancio non può non tener conto delle difficoltà e resistenze, ma indubbiamente la Ratio formationis dà al processo formativo un’unità di fondo molto positiva.

Infine la dinamicità

L’ultimo momento di ascolto è stato curato da don Beppe Roggia (SDB), che con onestà e trasparenza ha presentato un bilancio della Ratio salesiana. Ne è emersa la dinamicità come quarta dimensione imprescindibile. Molto importante la premessa, nella quale il relatore ha esplicitato le provocazioni che pulsano al cuore del sistema della formazione e che condizionano anche la “forma” della Ratio: essa deve essere omologata o “tipica”? deve essere come una “ingessatura” compiuta una volta per sempre o indicare un metodo? deve esser ferma sulla proposta o tener conto della situazione d’ingresso dei giovani? deve essere un manuale o un riferimento per i formatori? deve costituire un “pieno” che basta per tutta la vita o una guida sempre utile?
Dall’analisi critica della Ratio salesiana sono emersi delle importanti indicazioni per chi si appresta a elaborarne una ex novo: essa «non può essere concepita come “sistema”, sarebbe inadeguata alla categoria di “accompagnamento”, oltre che presuntuosa e pericolosa; piuttosto è utile se è fedele alla persona e al progetto carismatico». Certamente non può contenere tutto il carisma, ma neppure deve esprimere pezzi di carisma o un suo standard: deve tenere assieme poli che stanno in dialettica. Ciò salvaguarda la formazione come processo dinamico e come cammino: evitare gli schematismi artificiali permette infatti di dare attenzione a «percorsi enormemente personali», che non è più possibile ignorare anche in conseguenza della rivoluzione dei saperi, che sta trasformando ogni ambito della trasmissione della “cultura”.
I criteri per la fedeltà alla persona sono due: indicare ad essa senza paure il suo volto ideale e sforzarsi di produrre in essa lo stato di formazione permanente. Infine la Ratio formationis non è sufficiente da sola, pur essendo il necessario quadro di base della formazione, ma deve essere «come un pedagogo che conduce a fare amicizia con chi ha fatto un’esperienza esemplare dello stesso itinerario che si propone: un grande maestro spirituale».
Interculturalità, autenticità, unitarietà e dinamicità: sono queste le quattro colonne su cui fondare il lavoro di elaborazione della Ratio e la Ratio stessa come documento formativo. Lo scambio in gruppi linguistici separati e la condivisione in seduta plenaria ha permesso alla V Assemblea dell’UGF, in base a queste importanti piste di riflessione, di far emergere le caratteristiche di una Ratio formationis nel contesto proprio del nostro Ordine e delle nostre Circoscrizioni. Ma soprattutto ha fatto emergere la volontà di rispondere responsabilmente alla sollecitazione dei tempi e della nostra vocazione.
I frati cappuccini hanno bisogno di uno strumento che, raccogliendo il soffio vitale dell’azione dello Spirito Santo nella nostra storia recente, possa funzionare come un mantice per riaccendere il fuoco del carisma . Certo, i documenti non servono se non per i cuori che desiderano “quello stesso Spirito e la sua santa operazione”: proprio la riflessione e lo scambio spirituale di esperienze e progetti si fanno ministri di questo desiderio e, per grazia di Dio, hanno il potere di rianimare anche il piccolo fuoco di brace della nostra vita quotidiana.
“Qual è il segno che manifesta che un percorso formativo ha funzionato?”, è stato chiesto in sede di confronto a don Beppe Roggia. La risposta è stata eloquente: “Arriva un momento in cui i valori carismatici diventano per me un’esigenza. Devo ritrovare in me la dimensione spirituale, relazionale e missionaria del carisma del fondatore: il suo sguardo su Dio, sui fratelli e sulla missione devo averlo in un certo grado nel mio. L’ancoraggio chiaro al percorso formativo deve essere questo: devo sentire che sono in sintonia. Man mano, nello scorrere dei giorni e delle esperienze, ho la conferma che i valori carismatici, nel modo che mi è proprio, tornano in me”.
Il carisma è diventato per me una esigenza: questo è un fuoco che non si può trattenere, ma che si trasmette per contagio vitale. La Ratio formationis deve promuovere una vita così: aperta, autenticamente vissuta, unificata e contagiosa.