“Il gran numero di sapienti è salvezza per il mondo” . Così dice la Bibbia. La presenza di persone sagge è, dunque, indispensabile: per la Chiesa come per l’umanità in genere, nel campo dell’educazione come in quello dell’economia e della politica, per chi è alla guida di una diocesi come di un istituto religioso o di una comunità. È significativo che Dio lodi Salomone perché gli ha chiesto non ricchezza e gloria, ma saggezza nel governare: “Ecco, io faccio come tu hai detto. Ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente” . Quando preghiamo i Salmi, spesso invochiamo il dono della saggezza; in uno dei più belli ci rivolgiamo al Signore così: “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”
Non ci manca, generalmente, almeno una qualche vaga idea di ciò che essa possa significare e non ci è difficile riconoscere qualche persona di nostra conoscenza come persona saggia, di cui avvertiamo il fascino. Nel complesso, però, sembra che se ne parli poco e sia, in definitiva, una di quelle parole che più guardiamo da vicino più essa sembra guardarci da lontano (K. Kraus). Su tale materia conviene che ci si metta soprattutto in ascolto di coloro che sono riconosciuti saggi e la cui vita è fonte di ispirazione e conforto.

Descrizione della saggezza

Le scienze psicologiche si sono occupate poco della saggezza e solo recentemente essa «è stata accolta dalla psicologia sperimentale per essere definita nella sua fenomenologia, misurata ed esaminata empiricamente, per capirne meglio le sue componenti, chiarirne i rapporti con concetti affini e per vederne le implicanze operative» . Si è convenuto che la saggezza implica un livello superiore di conoscenza, di giudizio e di consiglio, è richiesta quando occorre affrontare e risolvere questioni dell’esistenza umana.
Polacek, prendendo in esame le conclusioni di diverse ricerche, afferma che «dalla valutazione della gente comune risulta che le persone sagge hanno raggiunto una notevole maturità generale e hanno fatto un’ampia esperienza nelle questioni importanti della vita» . E conclude che dai contributi offerti dai ricercatori «la saggezza è emersa come un’armonica struttura, formata dalle dimensioni cognitiva, riflessiva e affettiva, di cui fanno parte le conoscenze fattuali e procedurali sugli aspetti pragmatici della vita. Il soggetto in possesso di tale struttura ha la possibilità di vivere la vita nella sua pienezza, gestire efficacemente le vicende personali, capire se stesso e gli altri, interagire validamente con l’ambiente fisico e sociale e, se necessario, guidare le persone in un rapporto formale di terapia oppure in quello informale di soccorso o di amicizia. La saggezza si colloca all’apice dello sviluppo umano e rappresenta una rara e completa maturità» .
Della saggezza, comunque, l’uomo si è interessato fin dall’antichità e lo studio della filosofia è lì a documentare come essa sia stata pensata e descritta nel corso dei secoli.
Il termine deriva dalla parola latina sapere, un verbo che indica, tra l’altro, l’idea di “sentire, gustare il sapore”. La saggezza ha, dunque, a che fare con il “sapore” delle cose e la capacità di coglierlo e gustarlo. Appare indovinata, da questo punto di vista, la definizione che ne dà l’Imitazione di Cristo: «saggio è colui che sa il sapore di ogni cosa per come veramente è, non per come in genere si dice o si pensa; costui è veramente sapiente e ammaestrato da Dio più che dagli uomini» .
Mediante la saggezza ogni cosa è misurata nella sua verità e consistenza. È la capacità di entrare in rapporto con la realtà così come essa è, con il massimo di intelligenza e ragionevolezza: la propria realtà personale; la realtà delle persone che ci circondano, delle situazioni concrete e del tempo in cui si è chiamati a vivere. Questo accostamento leale alla realtà, senza il tentativo di deformarla o piegarla ai propri desideri, è il presupposto per ogni giudizio e decisione. Saggezza prende in questo caso il nome di prudenza, la prima delle quattro virtù cardinali.
Saggezza è saper discernere il bene dal male, ciò che è importante da ciò che è irrilevante, il necessario dal superfluo, ciò che è perenne rispetto a ciò che è passeggero, ciò che è autentico e reale e ciò che invece è soltanto fornito di una vuota apparenza, ciò che ha valore rispetto a ciò che è di poco prezzo. «Cosa significa oggi la saggezza? Essere saggio significa saper scegliere tra il bene e il male, o almeno tra il male minore e il male maggiore, tra ciò che riesce e ciò che fallisce. Saper discernere» . La saggezza, secondo Guardini, fa sì che la vita dell’uomo riesca a trovare il suo senso vero, ad aver parte a ciò che dura; essa si preoccupa che l’uomo alla fine non resti a mani vuote. «Se noi ci chiediamo...: che cosa debbo fare? Dimmelo un po’ tu, o saggezza! – essa risponderà: tu devi imparare a saper distinguere. Tu devi riempire la tua vita di cose che hanno una natura simile a quella di Dio. Che non soltanto si ammucchino o riescano eccitanti, ma che siano anche valide. Ma che cosa c’è di valido e di duraturo a questo mondo? La saggezza risponde: il bene... Esso ha una natura che è simile a quella di Dio» .
Saggezza è sinonimo di equilibrio; è la realizzazione della “giusta misura”, la quale secondo Aristotele definisce la virtù.
Saggezza è anche capacità di ricapitolare in uno sguardo unitario ciò che si sparpaglia dinanzi ai nostri occhi disattenti, la capacità di uno sguardo dall’alto che permette di risalire ai principi e alle cause prime: è capacità di sintesi.
«Una delle caratteristiche delle persone sagge è quella di avere chiari obiettivi da raggiungere nella vita» : è la sapienza dei fini, è sapere dove porta la vita. La saggezza è, quindi, legata al possesso di una concezione unificatrice della vita: «la sapienza è conoscenza dell’essenziale – conoscenza dello scopo della nostra esistenza e di come dobbiamo vivere perché la vita riesca nel modo giusto» . Si comprende, allora, perché l’ascetica cristiana da sempre invita il credente a considerare ogni cosa sub specie aeternitatis (cioè dal punto di vista dell’eternità), tenendo presente le realtà ultime – i novissimi – meditando le quali non si peccherà. Saggezza è la scienza del saper vivere.
«La saggezza è qualcosa di diverso dall’intelligenza acuta o dalla sagacia. È ciò che si viene a creare quando l’assoluto e l’eterno penetrano nella coscienza contingente e finita, e da questa gettano luce sulla vita» .
Il saggio diventa guida a se stesso e «cerca in se stesso ciò che gli è necessario, mentre il volgare lo cerca negli altri» (Confucio). Il saggio è piuttosto silenzioso – «essere saggio vuol dire imparare a tacere» (Bossuet) – e capace quindi di ascoltare .
Il saggio, quando muore, non brama di andare in cielo: vi è dentro ben prima che gli si spezzi il cuore (Angelo Silesio).

Diventare persone sagge oggi

Si può tentare di ricavare, da quanto fin qui richiamato a proposito della saggezza, qualche “saggia” considerazione o applicazione riguardante il nostro attuale contesto di vita? Propongo qualche breve riflessione.
Il momento attuale sembra caratterizzato da un diffuso senso di smarrimento e disorientamento morale, una crisi che nelle singole persone si manifesta nell’insicurezza della coscienza dei valori e degli atteggiamenti nei confronti dei valori, mentre nella vita collettiva essa trova espressione nella (relativa) incapacità di arrivare a un accordo sulle norme fondamentali e su una gerarchia dei beni che sia da tutti condivisa. Come già ebbe a scrivere Giovanni Paolo II, l'attuale panorama culturale presenta chiaramente i segni di «un declino o oscuramento del senso morale» . Anche Benedetto XVI sottolinea che ci troviamo di fronte, oggi, a una «massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”.
Un altro tratto della cultura contemporanea che merita di essere sottolineato per il tema che stiamo considerando è quello che M. Lacroix, in un suo pregevole lavoro , chiama “Il culto dell’emozione”. Oggi c’è una preferenza per le emozioni forti a detrimento delle emozioni calme. La nostra epoca ama l’eccesso. «Siamo spesso spinti ad abbandonare le emozioni contemplative. Gli affetti disordinati prevalgono sul raccoglimento. Il veleno dell’intemperanza rode la nostra interiorità... “Sempre più eccitazione, agitazione, furore”, questa è la parola d’ordine della nostra epoca» .
La vita emotiva dell’uomo contemporaneo risulta come “drogata”, sia a causa di una sovrastimolazione sensoriale, come anche a motivo di una “geografia deviata”. «Designiamo con questo nome il fatto di percorrere il mondo allo scopo di trarne il massimo di sensazioni. Noi ci comportiamo nel mondo da insaziabili cercatori di sensazioni. Il nostro atteggiamento non è contemplativo ma predatore, divoratore. Siamo dei consumatori a caccia di esperienze stuzzicanti, insolite, grandiose» .
Un altro aspetto della crisi della sensibilità contemporanea è l’oblìo del naturale. «L’emozione-shock va di pari passo con l’artificialismo... L’emozione-contemplazione si accontenta dello sguardo di un bambino, del frusciare del vento tra gli alberi, del canto di un uccello, dello sciabordìo di un fiume, di una poesia, di un quadro, ma per l’appassionato di sensazioni forti questi oggetti sono privi di fascino. Il balletto televisivo, le immagini digitali, i videogiochi, i grandi spettacoli, le feste frenetiche, i divertimenti chiassosi, la musica agitata, i deliri collettivi, gli sport a rischio, gli stati di trance prosciugano la sua capacità di emozionarsi per delle cose semplici. Intossicata dalle sensazioni forti, la sua anima diviene indisponibile per la bellezza del mondo. Essa non può palpitare, fremere davanti a ciò che è naturale... La sensibilità diventa tecno dipendente» .
Anche la fretta sembra spesso caratterizzare la vita dell’uomo moderno. Messo di fronte a «un eccesso di stimoli ed un eccesso di scelte» (Toffler), preso nell’ingranaggio di una vita che richiede tanti impegni, sollecitato da bisogni spesso indotti dalla pubblicità o dalla moda, costretto da ritmi lavorativi incalzanti, l’uomo di oggi sembra costretto a correre senza sosta, con poco tempo per rilassarsi e godere con calma della propria vita.
Se questi sono alcuni aspetti che caratterizzano la vita dell’uomo di oggi, è necessario chiederci a quali condizioni è possibile progredire verso quella saggezza di vita di cui sono stati richiamati precedentemente i tratti essenziali. Ecco qualche spunto.

Vivere con lentezza


È il titolo significativo di un libro apparso recentemente ed esprime un’esigenza che oggi l’uomo avverte forse più di ieri. Un primo atto da compiere, dunque, se si vuole modificare la nostra vita emotiva e favorire la vita interiore è darsi del tempo, rallentare il ritmo della propria esistenza, stabilire priorità, programmare con intelligenza le nostre attività. La lentezza educa la sensibilità e permette di gustare il sapore della vita. Le cose ci parlano se noi abbiamo il tempo di ascoltare. Qualcuno molto opportunamente ha detto che nella vita non si cammina solo per arrivare, ma anche per vivere mentre si cammina; Pascal, da parte sua, diceva che «tutta l’infelicità degli uomini viene dal fatto che non sanno restare in pace in una camera».

Disponibilità e selettività nell’apertura al mondo

Se si vuole rieducare la sensibilità malata dell’uomo moderno «si deve sostituire alla cultura dell’emozione-shock una cultura dell’emozione-contemplazione. Ciò implica una duplice esigenza di qualità, dal lato del soggetto e dal lato dell’oggetto. Da una parte, la corrente di una emozione contemplativa non può formarsi se di fronte al mondo non viene preso un atteggiamento di accoglienza e di apertura. Dall’altra, bisogna vigilare sulla qualità degli oggetti ai quali accordiamo la nostra attenzione. Questi oggetti devono essere elevati, nobili, degni di ammirazione, altrimenti l’attenzione contemplativa che gli viene accordata non regge. Bisogna essere allo stesso tempo disponibili e selettivi» .
L’atteggiamento di apertura e accoglienza, anzitutto, perché la vita interiore richiede la disponibilità e l’attenzione al mondo. La vita interiore è nutrita dalla disponibilità alla contemplazione e si forma in seguito ai “depositi” lasciati dalle emozioni provate a contatto col mondo: «uno scambio di sguardi con una persona amata, una musica ascoltata con rapimento, un momento di voluttuoso abbandono alla bellezza di un giardino, un abbraccio appassionato o l’intenerimento provato per alcuni bambini che stanno giocando... L’anima... si costruisce grazie alle bellezze che vengono da fuori» .
Un arricchimento del tutto particolare viene all’anima dalla lettura. Essa è superiore all’immagine, perché l’elaborazione mentale viene realizzata progressivamente. Il libro è un potente anticorpo contro la TV e il senso comune. I libri ci sostengono nella solitudine e ci evitano di essere un peso a noi stessi. L’amore per la lettura – come del resto l’atteggiamento contemplativo – è la diga che fa risalire l’acqua nel nostro “bacino interiore”, cioè – fuori metafora – ci arricchisce e accresce quell’energia interiore che guida e sostiene l’azione. Dovremmo chiederci a quali libri ricorriamo per bisogno o per diletto o per consiglio.
Se è importante un atteggiamento di contemplazione, di apertura e disponibilità al mondo, è altrettanto importante che questa disponibilità sia selettiva. Non si può essere disponibili per qualsiasi cosa. È, dunque, necessario vigilare sulla qualità di ciò a cui accordiamo la nostra attenzione, il nostro tempo, la nostra passione, il nostro denaro: si tratti di situazioni, spettacoli, libri, divertimenti, impegni, anche persone (se vale l’invito biblico: “Tra gli insensati non perdere tempo, tra i saggi invece fermati a lungo” ). È necessario vigilare contro l’inquinamento visivo (banalità, pornografia) e sonoro: ne va della formazione e dell’affinamento del gusto, ne va della sensibilità del senso morale e della capacità di gustare tutto ciò che è vero, bello e buono. Già s. Agostino faceva un’amara constatazione che sembra valere anche oggi per tante persone: “Necessaria non noverunt quia superflua didicerunt” (Non hanno scoperto ciò che era necessario conoscere perché si sono limitati ad apprendere cose superflue). A questa annotazione del santo si può accostare il monito di Benedetto XVI, il quale afferma: «la capacità di interiorità, una maggiore apertura dello spirito, uno stile di vita che sappia sottrarsi a quanto è chiassoso e invadente, devono tornare ad apparirci mete da annoverare tra le nostre priorità... Siamo onesti: oggi vi è un’ipertrofia dell’uomo esteriore e un indebolimento preoccupante della sua energia interiore» .
Educazione e saggezza

Quale più alta aspirazione potrebbero avere padri e madri per i loro figli e gli insegnanti per i loro alunni se non che essi siano saggi? Competenza specialistica, successo e affermazione professionale, riuscita nella vita sono certamente obiettivi importanti, ma in definitiva se non ci si avvicina progressivamente alla saggezza che cosa può contare tutto il resto nella vita? Che ne è di una posizione professionale affermata o del potere acquistato o di una ricchezza accumulata se tutte queste possibilità non sono finalizzate per scopi buoni e nobili?
Oggi assistiamo a un grande sviluppo scientifico e tecnico: L’umanità è divenuta molto più esperta, rispetto al passato, nell’acquisire sapere, sviluppare capacità e know-how, ma si è trascurata la “formazione del cuore” . Questa constatazione faceva dire al filosofo francese J. Guitton: «Sì, bisogna parlare della saggezza, fondamento delle virtù; ritrovare le fonti essenziali. Farle zampillare... Siamo saturi di informazione come non lo siamo mai stati. Questa sovrainformazione finisce per destabilizzare il mentale. Quello che manca è il giudizio, il discernimento, la capacità di dire quello che è bene e quello che è male. L’arte di comportarsi, dopo una sintesi obiettiva dell’informazione. Per questo è necessario acquisire una saggezza» . E aggiungeva ancora: «Ai nostri giorni le conoscenze ci sommergono. Più che mai avremmo bisogno non di sapere, ma di esempi e di idee luminose e semplici, che illustrano dei principi direttivi. Si tratta di studiare nell’esperienza che ci offre l’umanità qualche punto concreto. Studiarli con accanimento e speranza» . Fa eco a questa considerazioni J. Maritain, il quale afferma: «La tragedia della civiltà moderna non sta nel fatto di aver amato e coltivato moltissimo la scienza, ma nel fatto di aver amato la scienza contro la sapienza» .
Anche la tendenza molto marcata alla specializzazione, tipica della cultura attuale, può creare un ostacolo all’acquisizione della saggezza. Occorre guardarsi da un sapere frammentato e dall’eccessiva specializzazione se ci si vuole incamminare verso la sapienza, che è «quella conoscenza cioè che penetra e abbraccia le cose servendosi delle vedute intelligibili più profonde, più universali e più riportate all’unità» .
Sul tema di un’autentica educazione che dovrebbe essere fornita dalla scuola sono ancora assai illuminanti e moderne anche le considerazioni che circa un secolo e mezzo fa faceva un pensatore straordinariamente lucido: J.H. Newman: «Affermo dunque che se vogliamo migliorare l’intelligenza, per prima cosa dobbiamo salire... Voi dovete essere al di sopra delle vostre conoscenze, e non al di sotto, altrimenti vi schiacceranno; e quante più ne avete, tanto maggiore sarà il peso» . La sapienza è sempre data da un sapere ordinato, da un sapere sobrio, da un sapere che dà gioia (S. Agostino parla di gaudium de veritate – la gioia che nasce dalla scoperta della verità).

Dialogo autentico con Dio

La vita spirituale di una persona si nutre e si arricchisce, oltre che nell’incontro con i vari aspetti della realtà, anche e soprattutto nel dialogo con Dio, fonte di ogni sapienza, che dobbiamo quindi pregare perché “nell’intimo ce la insegni” . La Sapienza che viene dall’alto “forma amici di Dio” : «bellissima espressione, questa, che mette in risalto da una parte l’aspetto formativo, che cioè la Sapienza forma la persona, la fa crescere dall’interno verso la piena misura della sua maturità; e contestualmente afferma che questa pienezza di vita consiste nell’amicizia con Dio, nell’intima consonanza con il suo essere e il suo volere. Il luogo interiore in cui opera la divina Sapienza è quello che la Bibbia chiama il cuore, centro spirituale della persona. Per questo il ritornello del Salmo responsoriale ci ha fatto pregare: “donaci, o Dio, la Sapienza del cuore”. Il Salmo 89 ricorda poi che questa sapienza viene concessa a chi impara a “contare i giorni” (v. 12), cioè a riconoscere che tutto il resto della vita è passeggero, effimero, caduco; e che l’uomo peccatore non può e non deve nascondersi davanti a Dio, ma riconoscersi per quello che è, creatura bisognosa di pietà e di grazia. Chi accetta questa verità e si dispone ad accogliere la Sapienza la riceve in dono» .

Imparare a diventare saggi

La saggezza non è oggetto di un insegnamento specifico. «Ci sono corsi di filosofia, ma non corsi di saggezza; la saggezza si raggiunge per mezzo dell’esperienza spirituale, e in quanto alla saggezza pratica bisogna dire con Aristotele che l’esperienza dei vecchi è al tempo stesso tanto indimostrabile e tanto illuminante quanto i principi primi dell’intelletto» . Una considerazione analoga faceva Confucio quando diceva che possiamo imparare ad essere saggi in tre modi. Il primo è quello di imparare a riflettere, ed è il migliore. Il secondo è l’imitazione, ed è il più facile. Il terzo è l’affidarsi all’esperienza, ed è il più doloroso.
Possiamo, dunque, e dobbiamo fare qualcosa – anzi: molto – per acquistare saggezza con il passare dei giorni. Possiamo imparare dai fatti della vita e dall' «intero campo dell’attività umana, particolarmente il lavoro e le pene di ogni giorno, le dure esperienze dell’amicizia e dell’amore, i costumi sociali, la legge (che è un “pedagogo”, secondo s. Paolo), la comune saggezza incarnata nelle tradizioni collettive, lo splendore ispirante dell’arte e della poesia, la penetrante influenza delle feste religiose e della liturgia» . La Bibbia ci dà questo suggerimento: “Se vedi una persona saggia, va’ di buon mattino da lei; il tuo piede logori i gradini della sua porta” , e anche quest’altro: “Chiedi il consiglio ad ogni persona che sia saggia e non disprezzare nessun buon consiglio” . Rientrano tra le persone sagge da consultare abitualmente anzitutto i santi: la lettura assidua delle loro opere, il meditare sui loro pensieri ci permette di partecipare, almeno un po’, della loro saggezza. Una volta fu chiesto a Guitton chi, secondo lui, fosse l’uomo che meglio ha incarnato la saggezza nel XX secolo. Ecco la sua risposta: «Il buon papa Giovanni XXIII. La sua parola era uno sfogo tranquillo. Si aveva l’impressione di non essere propriamente ascoltato e tuttavia assolutamente capito. La sua virtù era la familiarità, quella di cui Vauvenargues ha detto: “È solo in una familiarità libera e ingenua che si possono conoscere gli uomini”. Angelo Roncalli ricercava questo contatto. Aveva bisogno di questo abbandono all’altro per essere se stesso e per donarsi a Dio. Trovava in questa distensione familiare l’occasione e l’esercizio della grandezza. Sapeva mettersi in stato di raccoglimento e di disponibilità. Le idee profonde che lo abitavano gli erano proposte improvvisamente come dal di fuori. Era uno di quegli spiriti pronti e docili che hanno bisogno dell’imprevisto... Parlava volentieri dei suoi metodi senza metodi che consistevano nel non avere modi di essere, ma nell’essere, semplicemente. Praticava una filosofia del momento presente, senza timore, mettendo tutta la sua fiducia in Dio... Non si preoccupava dell’avvenire. La luce genera la luce. La via seguita consiglia la via che si deve seguire ancora. La vita precede la verità... Pensava probabilmente che c’è qualcosa di più alto dell’esercizio dell’intelligenza: il buon senso, la semplicità dell’essere, il senso delle condizioni umane» .
Se facciamo tesoro, nel trascorrere degli anni, delle varie esperienze di vita abbiamo la possibilità di diventare sempre più saggi. La saggezza prende infatti, di norma, il volto dell’uomo anziano, di colui cioè che procedendo negli anni ha accumulato esperienza e conoscenza della vita: «La giovinezza è il tempo per studiare la saggezza; la vecchiaia è il tempo per praticarla» (J.J. Rousseau). L’età avanzata è un periodo di ricapitolazione, che permette di vedere le cose dall’alto e meditare sulle loro dimensioni; è l’età in cui si vive un rapporto più maturo con tutto ciò che ci circonda, un maggiore distacco e «indifferenza verso tutte le cose create» (s. Ignazio), «una disposizione più notevole a capire e a compatire e una più grande chiarezza e tranquillità di impressioni e di giudizi» .
La saggezza è, dunque, conquista legata al tempo e all’esperienza, ma è anche dono, che deve essere invocato con la preghiera assidua, rivolgendoci a Colui che ha promesso: “Ti farò saggio, ti indicherò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio” . «La sapienza è una visione limpida, calma, accurata, è la comprensione dell’intero corso, dell’intera opera di Dio; e benché non vi sia alcuno che la possieda pienamente se non Colui che “scruta ogni cosa, anche le profondità” del Creatore, tuttavia, in una certa misura, «a noi ne è stata fatta rivelazione» . La sapienza è uno dei doni dello Spirito Santo. Nel libro del Deuteronomio si accenna al fatto che «la sapienza, in ultima analisi, è identica alla Torà – alla Parola di Dio che ci rivela ciò che è essenziale… Credo che valga la pena soffermarsi un attimo sulla gioia di Israele per il fatto di conoscere la volontà di Dio e di aver così ricevuto in dono la sapienza che ci guarisce e che non possiamo trovare da soli» .

Si potrebbero dire ancora molte cose sul tema della saggezza, ma – come afferma Guardini – «ne aggiungeremo una sola, certamente molto essenziale. Fa parte della saggezza il comportarsi con molta precauzione con la propria saggezza. Essa è una virtù che si deteriora molto facilmente. Quando uno diventa troppo conscio e sicuro di possederla, anzi la ostenta, essa si trasforma in follia. Una follia, anzi di un tipo molto peggiore di quella che si voleva superare, in partenza» . Ecco perché Montaigne, nei suoi Saggi, afferma che i sapienti sono come spighe di grano: finché sono vuote si alzano diritte e fiere, ma appena sono colme di chicchi cominciano ad abbassare la testa.
Aldo Basso