“Il gran numero di sapienti è salvezza per il mondo” . Così dice la Bibbia.
La presenza di persone sagge è, dunque, indispensabile: per la Chiesa come per
l’umanità in genere, nel campo dell’educazione come in quello dell’economia e
della politica, per chi è alla guida di una diocesi come di un istituto
religioso o di una comunità. È significativo che Dio lodi Salomone perché gli ha
chiesto non ricchezza e gloria, ma saggezza nel governare: “Ecco, io faccio come
tu hai detto. Ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e
intelligente” . Quando preghiamo i Salmi, spesso invochiamo il dono della
saggezza; in uno dei più belli ci rivolgiamo al Signore così: “Insegnaci a
contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”
Non ci manca, generalmente, almeno una qualche vaga idea di ciò che essa possa
significare e non ci è difficile riconoscere qualche persona di nostra
conoscenza come persona saggia, di cui avvertiamo il fascino. Nel complesso,
però, sembra che se ne parli poco e sia, in definitiva, una di quelle parole che
più guardiamo da vicino più essa sembra guardarci da lontano (K. Kraus). Su tale
materia conviene che ci si metta soprattutto in ascolto di coloro che sono
riconosciuti saggi e la cui vita è fonte di ispirazione e conforto.
Descrizione della saggezza
Le scienze psicologiche si sono occupate poco della saggezza e solo recentemente
essa «è stata accolta dalla psicologia sperimentale per essere definita nella
sua fenomenologia, misurata ed esaminata empiricamente, per capirne meglio le
sue componenti, chiarirne i rapporti con concetti affini e per vederne le
implicanze operative» . Si è convenuto che la saggezza implica un livello
superiore di conoscenza, di giudizio e di consiglio, è richiesta quando occorre
affrontare e risolvere questioni dell’esistenza umana.
Polacek, prendendo in esame le conclusioni di diverse ricerche, afferma che
«dalla valutazione della gente comune risulta che le persone sagge hanno
raggiunto una notevole maturità generale e hanno fatto un’ampia esperienza nelle
questioni importanti della vita» . E conclude che dai contributi offerti dai
ricercatori «la saggezza è emersa come un’armonica struttura, formata dalle
dimensioni cognitiva, riflessiva e affettiva, di cui fanno parte le conoscenze
fattuali e procedurali sugli aspetti pragmatici della vita. Il soggetto in
possesso di tale struttura ha la possibilità di vivere la vita nella sua
pienezza, gestire efficacemente le vicende personali, capire se stesso e gli
altri, interagire validamente con l’ambiente fisico e sociale e, se necessario,
guidare le persone in un rapporto formale di terapia oppure in quello informale
di soccorso o di amicizia. La saggezza si colloca all’apice dello sviluppo umano
e rappresenta una rara e completa maturità» .
Della saggezza, comunque, l’uomo si è interessato fin dall’antichità e lo studio
della filosofia è lì a documentare come essa sia stata pensata e descritta nel
corso dei secoli.
Il termine deriva dalla parola latina sapere, un verbo che indica, tra l’altro,
l’idea di “sentire, gustare il sapore”. La saggezza ha, dunque, a che fare con
il “sapore” delle cose e la capacità di coglierlo e gustarlo. Appare indovinata,
da questo punto di vista, la definizione che ne dà l’Imitazione di Cristo:
«saggio è colui che sa il sapore di ogni cosa per come veramente è, non per come
in genere si dice o si pensa; costui è veramente sapiente e ammaestrato da Dio
più che dagli uomini» .
Mediante la saggezza ogni cosa è misurata nella sua verità e consistenza. È la
capacità di entrare in rapporto con la realtà così come essa è, con il massimo
di intelligenza e ragionevolezza: la propria realtà personale; la realtà delle
persone che ci circondano, delle situazioni concrete e del tempo in cui si è
chiamati a vivere. Questo accostamento leale alla realtà, senza il tentativo di
deformarla o piegarla ai propri desideri, è il presupposto per ogni giudizio e
decisione. Saggezza prende in questo caso il nome di prudenza, la prima delle
quattro virtù cardinali.
Saggezza è saper discernere il bene dal male, ciò che è importante da ciò che è
irrilevante, il necessario dal superfluo, ciò che è perenne rispetto a ciò che è
passeggero, ciò che è autentico e reale e ciò che invece è soltanto fornito di
una vuota apparenza, ciò che ha valore rispetto a ciò che è di poco prezzo.
«Cosa significa oggi la saggezza? Essere saggio significa saper scegliere tra il
bene e il male, o almeno tra il male minore e il male maggiore, tra ciò che
riesce e ciò che fallisce. Saper discernere» . La saggezza, secondo Guardini, fa
sì che la vita dell’uomo riesca a trovare il suo senso vero, ad aver parte a ciò
che dura; essa si preoccupa che l’uomo alla fine non resti a mani vuote. «Se noi
ci chiediamo...: che cosa debbo fare? Dimmelo un po’ tu, o saggezza! – essa
risponderà: tu devi imparare a saper distinguere. Tu devi riempire la tua vita
di cose che hanno una natura simile a quella di Dio. Che non soltanto si
ammucchino o riescano eccitanti, ma che siano anche valide. Ma che cosa c’è di
valido e di duraturo a questo mondo? La saggezza risponde: il bene... Esso ha
una natura che è simile a quella di Dio» .
Saggezza è sinonimo di equilibrio; è la realizzazione della “giusta misura”, la
quale secondo Aristotele definisce la virtù.
Saggezza è anche capacità di ricapitolare in uno sguardo unitario ciò che si
sparpaglia dinanzi ai nostri occhi disattenti, la capacità di uno sguardo
dall’alto che permette di risalire ai principi e alle cause prime: è capacità di
sintesi.
«Una delle caratteristiche delle persone sagge è quella di avere chiari
obiettivi da raggiungere nella vita» : è la sapienza dei fini, è sapere dove
porta la vita. La saggezza è, quindi, legata al possesso di una concezione
unificatrice della vita: «la sapienza è conoscenza dell’essenziale – conoscenza
dello scopo della nostra esistenza e di come dobbiamo vivere perché la vita
riesca nel modo giusto» . Si comprende, allora, perché l’ascetica cristiana da
sempre invita il credente a considerare ogni cosa sub specie aeternitatis (cioè
dal punto di vista dell’eternità), tenendo presente le realtà ultime – i
novissimi – meditando le quali non si peccherà. Saggezza è la scienza del saper
vivere.
«La saggezza è qualcosa di diverso dall’intelligenza acuta o dalla sagacia. È
ciò che si viene a creare quando l’assoluto e l’eterno penetrano nella coscienza
contingente e finita, e da questa gettano luce sulla vita» .
Il saggio diventa guida a se stesso e «cerca in se stesso ciò che gli è
necessario, mentre il volgare lo cerca negli altri» (Confucio). Il saggio è
piuttosto silenzioso – «essere saggio vuol dire imparare a tacere» (Bossuet) – e
capace quindi di ascoltare .
Il saggio, quando muore, non brama di andare in cielo: vi è dentro ben prima che
gli si spezzi il cuore (Angelo Silesio).
Diventare persone sagge oggi
Si può tentare di ricavare, da quanto fin qui richiamato a proposito della
saggezza, qualche “saggia” considerazione o applicazione riguardante il nostro
attuale contesto di vita? Propongo qualche breve riflessione.
Il momento attuale sembra caratterizzato da un diffuso senso di smarrimento e
disorientamento morale, una crisi che nelle singole persone si manifesta
nell’insicurezza della coscienza dei valori e degli atteggiamenti nei confronti
dei valori, mentre nella vita collettiva essa trova espressione nella (relativa)
incapacità di arrivare a un accordo sulle norme fondamentali e su una gerarchia
dei beni che sia da tutti condivisa. Come già ebbe a scrivere Giovanni Paolo II,
l'attuale panorama culturale presenta chiaramente i segni di «un declino o
oscuramento del senso morale» . Anche Benedetto XVI sottolinea che ci troviamo
di fronte, oggi, a una «massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di
quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima
misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà
diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo
ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”.
Un altro tratto della cultura contemporanea che merita di essere sottolineato
per il tema che stiamo considerando è quello che M. Lacroix, in un suo pregevole
lavoro , chiama “Il culto dell’emozione”. Oggi c’è una preferenza per le
emozioni forti a detrimento delle emozioni calme. La nostra epoca ama l’eccesso.
«Siamo spesso spinti ad abbandonare le emozioni contemplative. Gli affetti
disordinati prevalgono sul raccoglimento. Il veleno dell’intemperanza rode la
nostra interiorità... “Sempre più eccitazione, agitazione, furore”, questa è la
parola d’ordine della nostra epoca» .
La vita emotiva dell’uomo contemporaneo risulta come “drogata”, sia a causa di
una sovrastimolazione sensoriale, come anche a motivo di una “geografia
deviata”. «Designiamo con questo nome il fatto di percorrere il mondo allo scopo
di trarne il massimo di sensazioni. Noi ci comportiamo nel mondo da insaziabili
cercatori di sensazioni. Il nostro atteggiamento non è contemplativo ma
predatore, divoratore. Siamo dei consumatori a caccia di esperienze stuzzicanti,
insolite, grandiose» .
Un altro aspetto della crisi della sensibilità contemporanea è l’oblìo del
naturale. «L’emozione-shock va di pari passo con l’artificialismo...
L’emozione-contemplazione si accontenta dello sguardo di un bambino, del
frusciare del vento tra gli alberi, del canto di un uccello, dello sciabordìo di
un fiume, di una poesia, di un quadro, ma per l’appassionato di sensazioni forti
questi oggetti sono privi di fascino. Il balletto televisivo, le immagini
digitali, i videogiochi, i grandi spettacoli, le feste frenetiche, i
divertimenti chiassosi, la musica agitata, i deliri collettivi, gli sport a
rischio, gli stati di trance prosciugano la sua capacità di emozionarsi per
delle cose semplici. Intossicata dalle sensazioni forti, la sua anima diviene
indisponibile per la bellezza del mondo. Essa non può palpitare, fremere davanti
a ciò che è naturale... La sensibilità diventa tecno dipendente» .
Anche la fretta sembra spesso caratterizzare la vita dell’uomo moderno. Messo di
fronte a «un eccesso di stimoli ed un eccesso di scelte» (Toffler), preso
nell’ingranaggio di una vita che richiede tanti impegni, sollecitato da bisogni
spesso indotti dalla pubblicità o dalla moda, costretto da ritmi lavorativi
incalzanti, l’uomo di oggi sembra costretto a correre senza sosta, con poco
tempo per rilassarsi e godere con calma della propria vita.
Se questi sono alcuni aspetti che caratterizzano la vita dell’uomo di oggi, è
necessario chiederci a quali condizioni è possibile progredire verso quella
saggezza di vita di cui sono stati richiamati precedentemente i tratti
essenziali. Ecco qualche spunto.
Vivere con lentezza
È il titolo significativo di un libro apparso recentemente ed esprime
un’esigenza che oggi l’uomo avverte forse più di ieri. Un primo atto da
compiere, dunque, se si vuole modificare la nostra vita emotiva e favorire la
vita interiore è darsi del tempo, rallentare il ritmo della propria esistenza,
stabilire priorità, programmare con intelligenza le nostre attività. La lentezza
educa la sensibilità e permette di gustare il sapore della vita. Le cose ci
parlano se noi abbiamo il tempo di ascoltare. Qualcuno molto opportunamente ha
detto che nella vita non si cammina solo per arrivare, ma anche per vivere
mentre si cammina; Pascal, da parte sua, diceva che «tutta l’infelicità degli
uomini viene dal fatto che non sanno restare in pace in una camera».
Disponibilità e selettività nell’apertura al mondo
Se si vuole rieducare la sensibilità malata dell’uomo moderno «si deve
sostituire alla cultura dell’emozione-shock una cultura
dell’emozione-contemplazione. Ciò implica una duplice esigenza di qualità, dal
lato del soggetto e dal lato dell’oggetto. Da una parte, la corrente di una
emozione contemplativa non può formarsi se di fronte al mondo non viene preso un
atteggiamento di accoglienza e di apertura. Dall’altra, bisogna vigilare sulla
qualità degli oggetti ai quali accordiamo la nostra attenzione. Questi oggetti
devono essere elevati, nobili, degni di ammirazione, altrimenti l’attenzione
contemplativa che gli viene accordata non regge. Bisogna essere allo stesso
tempo disponibili e selettivi» .
L’atteggiamento di apertura e accoglienza, anzitutto, perché la vita interiore
richiede la disponibilità e l’attenzione al mondo. La vita interiore è nutrita
dalla disponibilità alla contemplazione e si forma in seguito ai “depositi”
lasciati dalle emozioni provate a contatto col mondo: «uno scambio di sguardi
con una persona amata, una musica ascoltata con rapimento, un momento di
voluttuoso abbandono alla bellezza di un giardino, un abbraccio appassionato o
l’intenerimento provato per alcuni bambini che stanno giocando... L’anima... si
costruisce grazie alle bellezze che vengono da fuori» .
Un arricchimento del tutto particolare viene all’anima dalla lettura. Essa è
superiore all’immagine, perché l’elaborazione mentale viene realizzata
progressivamente. Il libro è un potente anticorpo contro la TV e il senso
comune. I libri ci sostengono nella solitudine e ci evitano di essere un peso a
noi stessi. L’amore per la lettura – come del resto l’atteggiamento
contemplativo – è la diga che fa risalire l’acqua nel nostro “bacino interiore”,
cioè – fuori metafora – ci arricchisce e accresce quell’energia interiore che
guida e sostiene l’azione. Dovremmo chiederci a quali libri ricorriamo per
bisogno o per diletto o per consiglio.
Se è importante un atteggiamento di contemplazione, di apertura e disponibilità
al mondo, è altrettanto importante che questa disponibilità sia selettiva. Non
si può essere disponibili per qualsiasi cosa. È, dunque, necessario vigilare
sulla qualità di ciò a cui accordiamo la nostra attenzione, il nostro tempo, la
nostra passione, il nostro denaro: si tratti di situazioni, spettacoli, libri,
divertimenti, impegni, anche persone (se vale l’invito biblico: “Tra gli
insensati non perdere tempo, tra i saggi invece fermati a lungo” ). È necessario
vigilare contro l’inquinamento visivo (banalità, pornografia) e sonoro: ne va
della formazione e dell’affinamento del gusto, ne va della sensibilità del senso
morale e della capacità di gustare tutto ciò che è vero, bello e buono. Già s.
Agostino faceva un’amara constatazione che sembra valere anche oggi per tante
persone: “Necessaria non noverunt quia superflua didicerunt” (Non hanno scoperto
ciò che era necessario conoscere perché si sono limitati ad apprendere cose
superflue). A questa annotazione del santo si può accostare il monito di
Benedetto XVI, il quale afferma: «la capacità di interiorità, una maggiore
apertura dello spirito, uno stile di vita che sappia sottrarsi a quanto è
chiassoso e invadente, devono tornare ad apparirci mete da annoverare tra le
nostre priorità... Siamo onesti: oggi vi è un’ipertrofia dell’uomo esteriore e
un indebolimento preoccupante della sua energia interiore» .
Educazione e saggezza
Quale più alta aspirazione potrebbero avere padri e madri per i loro figli e gli
insegnanti per i loro alunni se non che essi siano saggi? Competenza
specialistica, successo e affermazione professionale, riuscita nella vita sono
certamente obiettivi importanti, ma in definitiva se non ci si avvicina
progressivamente alla saggezza che cosa può contare tutto il resto nella vita?
Che ne è di una posizione professionale affermata o del potere acquistato o di
una ricchezza accumulata se tutte queste possibilità non sono finalizzate per
scopi buoni e nobili?
Oggi assistiamo a un grande sviluppo scientifico e tecnico: L’umanità è divenuta
molto più esperta, rispetto al passato, nell’acquisire sapere, sviluppare
capacità e know-how, ma si è trascurata la “formazione del cuore” . Questa
constatazione faceva dire al filosofo francese J. Guitton: «Sì, bisogna parlare
della saggezza, fondamento delle virtù; ritrovare le fonti essenziali. Farle
zampillare... Siamo saturi di informazione come non lo siamo mai stati. Questa
sovrainformazione finisce per destabilizzare il mentale. Quello che manca è il
giudizio, il discernimento, la capacità di dire quello che è bene e quello che è
male. L’arte di comportarsi, dopo una sintesi obiettiva dell’informazione. Per
questo è necessario acquisire una saggezza» . E aggiungeva ancora: «Ai nostri
giorni le conoscenze ci sommergono. Più che mai avremmo bisogno non di sapere,
ma di esempi e di idee luminose e semplici, che illustrano dei principi
direttivi. Si tratta di studiare nell’esperienza che ci offre l’umanità qualche
punto concreto. Studiarli con accanimento e speranza» . Fa eco a questa
considerazioni J. Maritain, il quale afferma: «La tragedia della civiltà moderna
non sta nel fatto di aver amato e coltivato moltissimo la scienza, ma nel fatto
di aver amato la scienza contro la sapienza» .
Anche la tendenza molto marcata alla specializzazione, tipica della cultura
attuale, può creare un ostacolo all’acquisizione della saggezza. Occorre
guardarsi da un sapere frammentato e dall’eccessiva specializzazione se ci si
vuole incamminare verso la sapienza, che è «quella conoscenza cioè che penetra e
abbraccia le cose servendosi delle vedute intelligibili più profonde, più
universali e più riportate all’unità» .
Sul tema di un’autentica educazione che dovrebbe essere fornita dalla scuola
sono ancora assai illuminanti e moderne anche le considerazioni che circa un
secolo e mezzo fa faceva un pensatore straordinariamente lucido: J.H. Newman:
«Affermo dunque che se vogliamo migliorare l’intelligenza, per prima cosa
dobbiamo salire... Voi dovete essere al di sopra delle vostre conoscenze, e non
al di sotto, altrimenti vi schiacceranno; e quante più ne avete, tanto maggiore
sarà il peso» . La sapienza è sempre data da un sapere ordinato, da un sapere
sobrio, da un sapere che dà gioia (S. Agostino parla di gaudium de veritate – la
gioia che nasce dalla scoperta della verità).
Dialogo autentico con Dio
La vita spirituale di una persona si nutre e si arricchisce, oltre che
nell’incontro con i vari aspetti della realtà, anche e soprattutto nel dialogo
con Dio, fonte di ogni sapienza, che dobbiamo quindi pregare perché “nell’intimo
ce la insegni” . La Sapienza che viene dall’alto “forma amici di Dio” :
«bellissima espressione, questa, che mette in risalto da una parte l’aspetto
formativo, che cioè la Sapienza forma la persona, la fa crescere dall’interno
verso la piena misura della sua maturità; e contestualmente afferma che questa
pienezza di vita consiste nell’amicizia con Dio, nell’intima consonanza con il
suo essere e il suo volere. Il luogo interiore in cui opera la divina Sapienza è
quello che la Bibbia chiama il cuore, centro spirituale della persona. Per
questo il ritornello del Salmo responsoriale ci ha fatto pregare: “donaci, o
Dio, la Sapienza del cuore”. Il Salmo 89 ricorda poi che questa sapienza viene
concessa a chi impara a “contare i giorni” (v. 12), cioè a riconoscere che tutto
il resto della vita è passeggero, effimero, caduco; e che l’uomo peccatore non
può e non deve nascondersi davanti a Dio, ma riconoscersi per quello che è,
creatura bisognosa di pietà e di grazia. Chi accetta questa verità e si dispone
ad accogliere la Sapienza la riceve in dono» .
Imparare a diventare saggi
La saggezza non è oggetto di un insegnamento specifico. «Ci sono corsi di
filosofia, ma non corsi di saggezza; la saggezza si raggiunge per mezzo
dell’esperienza spirituale, e in quanto alla saggezza pratica bisogna dire con
Aristotele che l’esperienza dei vecchi è al tempo stesso tanto indimostrabile e
tanto illuminante quanto i principi primi dell’intelletto» . Una considerazione
analoga faceva Confucio quando diceva che possiamo imparare ad essere saggi in
tre modi. Il primo è quello di imparare a riflettere, ed è il migliore. Il
secondo è l’imitazione, ed è il più facile. Il terzo è l’affidarsi
all’esperienza, ed è il più doloroso.
Possiamo, dunque, e dobbiamo fare qualcosa – anzi: molto – per acquistare
saggezza con il passare dei giorni. Possiamo imparare dai fatti della vita e
dall' «intero campo dell’attività umana, particolarmente il lavoro e le pene di
ogni giorno, le dure esperienze dell’amicizia e dell’amore, i costumi sociali,
la legge (che è un “pedagogo”, secondo s. Paolo), la comune saggezza incarnata
nelle tradizioni collettive, lo splendore ispirante dell’arte e della poesia, la
penetrante influenza delle feste religiose e della liturgia» . La Bibbia ci dà
questo suggerimento: “Se vedi una persona saggia, va’ di buon mattino da lei; il
tuo piede logori i gradini della sua porta” , e anche quest’altro: “Chiedi il
consiglio ad ogni persona che sia saggia e non disprezzare nessun buon
consiglio” . Rientrano tra le persone sagge da consultare abitualmente anzitutto
i santi: la lettura assidua delle loro opere, il meditare sui loro pensieri ci
permette di partecipare, almeno un po’, della loro saggezza. Una volta fu
chiesto a Guitton chi, secondo lui, fosse l’uomo che meglio ha incarnato la
saggezza nel XX secolo. Ecco la sua risposta: «Il buon papa Giovanni XXIII. La
sua parola era uno sfogo tranquillo. Si aveva l’impressione di non essere
propriamente ascoltato e tuttavia assolutamente capito. La sua virtù era la
familiarità, quella di cui Vauvenargues ha detto: “È solo in una familiarità
libera e ingenua che si possono conoscere gli uomini”. Angelo Roncalli ricercava
questo contatto. Aveva bisogno di questo abbandono all’altro per essere se
stesso e per donarsi a Dio. Trovava in questa distensione familiare l’occasione
e l’esercizio della grandezza. Sapeva mettersi in stato di raccoglimento e di
disponibilità. Le idee profonde che lo abitavano gli erano proposte
improvvisamente come dal di fuori. Era uno di quegli spiriti pronti e docili che
hanno bisogno dell’imprevisto... Parlava volentieri dei suoi metodi senza metodi
che consistevano nel non avere modi di essere, ma nell’essere, semplicemente.
Praticava una filosofia del momento presente, senza timore, mettendo tutta la
sua fiducia in Dio... Non si preoccupava dell’avvenire. La luce genera la luce.
La via seguita consiglia la via che si deve seguire ancora. La vita precede la
verità... Pensava probabilmente che c’è qualcosa di più alto dell’esercizio
dell’intelligenza: il buon senso, la semplicità dell’essere, il senso delle
condizioni umane» .
Se facciamo tesoro, nel trascorrere degli anni, delle varie esperienze di vita
abbiamo la possibilità di diventare sempre più saggi. La saggezza prende
infatti, di norma, il volto dell’uomo anziano, di colui cioè che procedendo
negli anni ha accumulato esperienza e conoscenza della vita: «La giovinezza è il
tempo per studiare la saggezza; la vecchiaia è il tempo per praticarla» (J.J.
Rousseau). L’età avanzata è un periodo di ricapitolazione, che permette di
vedere le cose dall’alto e meditare sulle loro dimensioni; è l’età in cui si
vive un rapporto più maturo con tutto ciò che ci circonda, un maggiore distacco
e «indifferenza verso tutte le cose create» (s. Ignazio), «una disposizione più
notevole a capire e a compatire e una più grande chiarezza e tranquillità di
impressioni e di giudizi» .
La saggezza è, dunque, conquista legata al tempo e all’esperienza, ma è anche
dono, che deve essere invocato con la preghiera assidua, rivolgendoci a Colui
che ha promesso: “Ti farò saggio, ti indicherò la via da seguire; con gli occhi
su di te, ti darò consiglio” . «La sapienza è una visione limpida, calma,
accurata, è la comprensione dell’intero corso, dell’intera opera di Dio; e
benché non vi sia alcuno che la possieda pienamente se non Colui che “scruta
ogni cosa, anche le profondità” del Creatore, tuttavia, in una certa misura, «a
noi ne è stata fatta rivelazione» . La sapienza è uno dei doni dello Spirito
Santo. Nel libro del Deuteronomio si accenna al fatto che «la sapienza, in
ultima analisi, è identica alla Torà – alla Parola di Dio che ci rivela ciò che
è essenziale… Credo che valga la pena soffermarsi un attimo sulla gioia di
Israele per il fatto di conoscere la volontà di Dio e di aver così ricevuto in
dono la sapienza che ci guarisce e che non possiamo trovare da soli» .
Si potrebbero dire ancora molte cose sul tema della saggezza, ma – come afferma
Guardini – «ne aggiungeremo una sola, certamente molto essenziale. Fa parte
della saggezza il comportarsi con molta precauzione con la propria saggezza.
Essa è una virtù che si deteriora molto facilmente. Quando uno diventa troppo
conscio e sicuro di possederla, anzi la ostenta, essa si trasforma in follia.
Una follia, anzi di un tipo molto peggiore di quella che si voleva superare, in
partenza» . Ecco perché Montaigne, nei suoi Saggi, afferma che i sapienti sono
come spighe di grano: finché sono vuote si alzano diritte e fiere, ma appena
sono colme di chicchi cominciano ad abbassare la testa.
Aldo Basso