Gesù ci ha conosciuti e amati, tutti e ciascuno, durante la sua vita, la sua
agonia e la sua passione e per ognuno di noi si è offerto: “Il Figlio di Dio mi
ha amato e ha dato se stesso per me”. Ci ha amati tutti con un cuore umano (Haurietis
aquas 27 e 38).
Il Cuore di Gesù è il simbolo privilegiato dell’amore che il Redentore nutre per
il Padre e per tutti gli uomini senza eccezione. Cristo non si sarebbe
consegnato per ciascuno di noi, se non avesse amato ciascuno di un amore
personale.
Sia Paolo che Giovanni hanno insegnato che, nell’atto redentore, “Cristo ha dato
se stesso per i nostri peccati” (Gal 1,4); “Io dò la mia vita per le pecore” (Gv
10,15) aveva dichiarato in anticipo colui che sarebbe diventato “in virtù del
sangue di un’alleanza eterna” il loro “pastore grande” (Eb 13,20). Dio non ha
risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato “per” tutti noi (Rm 8,32).
La vigilia della sua passione, Gesù espresse la motivazione che aveva nel suo
“Cuore” sotto la forma di questo “per” mediante il quale indicava la sua
intenzione di dare liberamente la sua vita non solo a favore dei “suoi” presenti
quella sera, ma per la salvezza della moltitudine degli uomini. E questa parola
fondatrice era talmente importante agli occhi del nostro Redentore da ordinare
ai Dodici di ripeterla in memoria di lui. Perciò la Chiesa non cesserà mai di
ripetere fino al ritorno di Cristo: “Questo è il calice del mio sangue, il
sangue della nuova ed eterna alleanza, che sarà versato per voi e per la
moltitudine in remissione dei peccati”.
A differenza del discepolo prediletto, san Paolo non era fra i dodici convitati
dell’ultima cena. Tuttavia sapeva che lo sguardo redentore del Figlio di Dio,
nel momento in cui aveva pronunciato le parole della sua offerta universale,
aveva visto anche lui.
Nell’atto redentore, noi siamo stati, tutti e ciascuno, conosciuti e amati da
Cristo. Perciò il Cuore di Gesù non è solo il “luogo” simbolico nel quale si è
operato l’atto di mediazione tra Dio e l’umanità. Se è vero che, in quanto
uomini,noi siamo presenti a noi stessi nel nostro cuore, in ogni nostro atto,
allora l’uomo Gesù di Nazaret non è semplicemente servito, attraverso il suo
destino tragico, da strumento passivo della nostra salvezza nelle mani del Dio
della misericordia. Ma avendo un vero “cuore” d’uomo – totalmente trasparente a
se stesso, al Padre e ai suoi fratelli – ha operato consciamente la redenzione
di “tutto l’uomo e di ogni uomo”.
Poiché tutti gli uomini sono stati salvati da lui su una croce innalzata sotto
Ponzio Pilato, ciascuno di noi può quindi finalmente dire a se stesso in tutta
verità che il luogo simbolico in cui, nella storia, si è giocata la sua
salvezza, è stato il Cuore di Gesù.
In ciascuno dei vangeli il tema di Cristo pastore viene sempre presentato nella
prospettiva dell’amore misericordioso che fonda il “perché” dell’incarnazione.
Marco e Matteo attestano la commozione delle “viscere” di Gesù di Nazaret
davanti alle folle “senza pastore” (Mt 9,36; Mc 6,34). In più Matteo gli mette
in bocca la parabola dell’uomo per il quale l’unica pecora smarrita conta più
delle novantanove che sono rimaste nell’ovile (Mt 18,12-14). E Luca, riprendendo
lo stesso racconto, presenta Gesù che fa direttamente appello all’esperienza
personale degli abitanti del suo villaggio, che per lui prefigurava quella del
suo cuore di Redentore: “Chi di voi” non correrebbe in aiuto di quella pecora
che, nel corso dei mesi passati insieme, gli è diventata cara? (Lc 15,4).
“Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra”. Da vero discepolo di colui che
ha così riassunto la sua missione d’amore fra i suoi fratelli umani, apriti,
nella preghiera, alla luce ardente che emana dal Cuore-Sole del tuo amato
Signore. E altri, a contatto con te, arderanno a loro volta. Infatti l’incendio
dell’amore è la cosa più contagiosa esistente al mondo.
Èdouard Glotin
da La Bibbia del Cuore di Gesù
EDB, Bologna, 2009