Qualche mese fa l’ufficio centrale di statistica della Chiesa ha presentato alcuni dati sulla situazione numerica della presenza cattolica nel mondo . Come già da diversi anni si sta osservando, il baricentro dell’universo dei cattolici si sta spostando verso il cosiddetto sud del mondo. Com’è naturale, anche la vita religiosa segue questo trend demografico con inevitabili ripercussioni sul modo stesso di ricomprendersi in un ottica interculturale.
Alla luce di questa globale trasformazione della Chiesa e degli istituti religiosi ci pare interessante presentare la testimonianza che la vita monastica benedettina intende offrire anche oggi di fronte alle attuali sfide del nostro tempo.


Dall’inverno europeo alla primavera del mondo

Dal punto di vista sociologico la vita consacrata in Europa sta attraversando una progressiva diminuzione di presenza, con l’inevitabile invecchiamento dei suoi membri a motivo dell’innalzamento dell’età media. Se alla scarsità vocazionale aggiungiamo una comprensibile stanchezza progettuale della comunità religiose di fronte alla secolarizzazione del continente europeo, ci si rende subito conto che – usando una metafora – stiamo attraversando una stagione invernale.
Eppure il monachesimo benedettino non ha motivo per scoraggiarsi sia in Europa che nel resto del mondo. Infatti, secondo un recente censimento dell’AIM (Alleanza inter-monastica, l’organismo che raccoglie le famiglie monastiche ispirate al carisma di san Benedetto) attualmente vi sono 30486 monaci e monache benedettini. Dal 1997 al 2007 sono state aperte 103 nuove fondazioni. Di queste 30 sono in Africa, 19 in Asia, 14 in America Latina, 5 nell’America del Nord, 35 in Europa. «Paradossalmente – scrive p. Martin Neyt presidente AIM – è l’Europa (nord Europa ed Europa dell’est) che ha conosciuto il più grande numero di fondazioni».
Un dato, questo, in controtendenza rispetto alle dinamiche statistiche e sociologiche. Dove risiede la motivazione di tale fenomeno? Possiamo semplificarle a due: l’ascolto delle sfide del nostro tempo e la formidabile attualità del carismo benedettino nella chiesa a noi contemporanea. Con ciò non intendiamo sottovalutare gli sforzi e le scelte profetiche di tanti istituti religiosi maschili e femminili. Al contrario, la vita monastica si annovera fra i tanti tasselli che compongono quella primavera dello spirito necessaria alla Chiesa e alla società civile.


Monaci nella chiesa monaci per la chiesa

I recenti scandali perpretati nella Chiesa da numerosi suoi responsabili hanno ingenerato in molti credenti (e non) una sorta di smarrimento ed allontanamento da essa. In questo cammino di “purificazione” – come l’ha definito Benedetto XVI – la vita consacrata raccoglie la piena consapevolezza del necessario radicamento al suo carisma fondativo. La spiritualità benedettina offre un’accentuazione particolare su alcuni aspetti della vita cristiana, il cui richiamo oggi si svela particolarmente urgente. Li possiamo rincondurre a tre: solitudine e comunione, prospettiva escatologica, condivisione spirituale.

Solitudine e comunione

Una caratteristica della vita benedettina consiste nel coniugare armoniosamente la solitudine personale con la comunione fraterna. Sono due elementi inscindibile nell’esperienza umana. Ora, si tratta di mettere in atto un paziente e lungo cammino spirituale che educa il monaco a riconoscere da un lato l’importanza del silenzio e della solitudine e dall’altro di vivere la vita fraterna come un’insieme di persone che incoraggiano nel cammino verso Dio.
Non ci si devo scordare che sia la solitudine come la comunione fraterna sono finalizzati all’unione con Dio. Era lo stesso Benedetto che richiamava ciò ai monaci desiderosi di una vita eremitica: la solitudine si innesta nell’amore e nella preghiera fiduciosa. Vivere nella solitudine implica anche un percorso segnato dalla lotta, ossia quel combattimento spirituale che rende il monaco testimone del mistero pasquale di morte e risurrezione, nella sequela di Cristo.
Nella misura in cui riconosce la presenza di Dio nella propria carne, scoprendo Dio come sorgente d’acqua e Gesù roccia di vita, il monaco trova la radice della comunione fraterna.
La comunità fraterna non si sostituisce al cammino interiore che ogni monaco è chiamato a compiere, ma sostiene e incoraggia il fratello nei suoi «combattimenti». La Regola benedettina è uno strumento perché ciascun monaco proceda nell’esercizio di accoglienza della volontà di Dio. Ed è anche la tradizione monastica sapientemente trasmessa lungo i secoli che insegna il giusto equilibro tra solitudine e comunione. La figura dell’abate come padre e maestro (RB 2) e il concetto di stabilitas riflettono l’importanza di un cammino di conversione in un permanente cammino discepolare.
L’aspetto che viene richiamato nella vita della Chiesa è, dunque, l’impegno a mettere al primo posto la vita interiore e l’educazione del cuore e degli affetti. Ogni credente (e non) vive nella solitudine o è attraversato dalla prova che essa comporta. È l’esperienza biblica di patriarchi e profeti come Abramo, Isaia e Mosè. Ma anche di Gesù. Si affronta la solitudine come Gesù, alla ricerca del Padre e dell’Assoluto, nella preghiera, nel silenzio, nello scrutare le Scritture che ci raccontano le tracce di Dio nella trama della storia personale e sociale. La vita cristiana è strutturalmente fraterna. La comunione fraterna perciò non è solo un auspicio a tutti i livelli della componente ecclesiale, ma è la forma evangelica attraverso la quale si è riconosciuti come discepoli di Gesù.


Una prospettiva escatologica: verso l’ottavo giorno

Nella nostra società registriamo un’allarmante fragilità: l’appiattimento sul presente. Gli stessi strumenti di comunicazione, ad esempio, ci offrono una smisurata quantità di informazioni che rendono quasi superfluo l’esercizio della memoria e la preoccupazione per il futuro.
Al contrario, la Regola di san Benedetto fin dal suo Prologo insite sul tendere verso il Regno che deve compiersi e che i monaci desiderano comparteciparvi già qui sulla terra: «Armati dunque di fede e di opere buone, sotto la guida del Vangelo, incamminiamoci per le sue vie in modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati nel suo regno» (RB, Prologo 21).
È la spiritualità dell’avvento che regola la vita del monaco, un tempo che si vive nell’attesa di incontrare l’amore misericordioso (RB Prologo 49) e che ci si impegna insieme nel comune sforzo di vigilanza e premura, a partire dallo stesso abate (RB 27,5).
Si tratta di uno degli aspetti più caratteristici dell’esperienza monastica. Il rapporto con il tempo e il ritmo con il quale si scandiscono le giornate hanno l’obiettivo di umanizzare le stagioni della vita rendendole teologicamente colme dell’attesa del Veniente. La liturgia delle ore è il canto che congiunge il cielo e la terra, simile a una festa nella quale si celebrano le nozze dell’Agnello immolato. La comunità fraterna che si ritrova nella liturgia delle ore rivela e svela la dimensione della fraternità universale. L’ unum necessarium lucano (cf. Lc 10,42) è per il monaco l’attesa escatologica che si esplicita soprattutto nella preghiera liturgica.
I monaci e le monache sono come tutti gli altri cristiani, ma sono maggiormente sensibili a mettere in risalto l’ottavo giorno dell’esistenza umana e cristiana, cioè la prospettiva della domenica senza tramonto. In realtà, ciascun cristiano è invitato a entrare in questa prospettiva ogni volta che celebra l’eucaristia. I monaci e le monache non cessano di ricordarlo con la loro stessa vita quotidiana.

Condivisione spirituale

Se i primi due attegiamenti concernono più direttamente la crescita della persona e le sue relazioni fraterne, la condivisione spirituale riflette più apertamente la dimensione esterna, la condivisione appunto del “tesoro” umano che ciascuno monaco racchiude nella cella del suo cuore. In particolare è nell’ospitalità che si manifesta questa comunione spirituale. A più riprese lo sottolinea la Regola di San Benedetto : «Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto”» (RB 53, 1). Superfluo sottolineare qui come per il monaco l’ospitalità ha una valenza cristologica. Ogni ospite è il volto di Cristo e l’accoglienza deve essere compiuta in modo attento, discreto, e completo.
Ogni comunità monastica oggi non fa alcuna distinzione sul tipo di ospiti da accogliere, riservando particolare attenzione ai poveri (RB 53,15). Molti si accostano ai monaci per trovare silenzio, riposo, preghiera, o semplicemente per incontrare i suoi membri. Questa rimane ancora oggi una specifica caratteristica dell’accoglienza benedettina.
La condivisione spirituale non si esaurisce qui. Essa si allarga al dialogo ecumenico e interreligioso, al mondo del lavoro e alla promozione culturale e sociale in senso largo.
Il carisma benedettino richiama a ciascun credente (e alle comunità religiose a volte troppo refrattarie…) il dovere dell’accoglienza e dell’ospitalità. Un richiamo questo quanto mai attuale, a motivo della crescente mobilitazione di persone e popoli che la globalizzazione ha accelerato.

In una parola, la vita monastica non è altro che un tentativo di vivere la pagina evangelica della primitiva comunità cristiana in At 2. Un dono e un impegno affidato a ogni istituto religioso. Il futuro della vita consacrata non risiede nella forza dei numeri o delle opere, ma in una esistenza accogliente e amichevole alla ricerca dell’essenziale. Insieme al nostro prossimo riconosciuto come fratello e sorella. Patrimonio alla portata di ciascun credente.