Faceva una certa impressione anche solo il semplice colpo d’occhio delle
circa 800 partecipanti alla triennale assemblea plenaria dell’Unione delle
superiore generali, dal 7 all’11 maggio, all’Ergife di Roma. All’insegna di un
testo ispirante di san Giovanni della Croce: “Io conosco bene la fonte che
zampilla e scorre… benché sia notte”, si sono ritrovate da tutto il mondo (per
oltre la metà dall’Europa!) per confrontarsi su un tema impegnativo come mistica
e profezia.
Il bilancio positivo della vita consacrata
«Mistica e profezia, ha esordito il primo relatore, il carmelitano scalzo Ciro
García Fernández, sono due dimensioni essenziali di ogni identità religiosa,
della vita cristiana e della VC, strettamente correlati». Mistici e profeti
hanno qualcosa in comune: «entrambi sono testimoni dell’irruzione dell’Altro che
li trascende e nel cui nome si trasformano, modificando la loro identità
personale». La VC, più ancora della vita cristiana, deve saper rispondere
profeticamente agli interrogativi più profondi dell’essere umano e a tutte le
drammatiche situazioni di emarginazione e di povertà. Proprio per questo dev’essere
fondata su quelle fonti bibliche, liturgiche, teologiche che le consentano più
facilmente di entrare nel mistero rivelato e di superare, così, «il divorzio tra
teologia e spiritualità».
Di fronte alle tante sfide odierne, «tutti conosciamo e abbiamo sperimentato i
cambiamenti della VC, con le sue luci e le sue ombre, con i suoi punti di forza
e di debolezza, con i suoi successi e i suoi limiti. Senza cercare di fare
bilanci, oggi abbiamo una comprensione migliore di ciò che è la VC, dei suoi
valori fondamentali, della sua teologia, della sua spiritualità e della sua
missione nella Chiesa ed abbiamo anche una comprensione migliore del carisma
specifico dei nostri fondatori». Questa comprensione, sarà tanto più profonda
quanto più, mistica e profezia sono viste come «due prospettive della VC che si
fondono in un’unica realtà e che, pertanto, non possono essere vissute e
coltivate separatamente». Solo il mistico, infatti, è profeta e tutti i profeti,
dal canto loro, non possono non essere mistici. Ci si dovrebbe convincere che
l’esperienza mistica non è qualcosa di eccezionale. É qualcosa, invece, che
«accade ogni volta che la persona umana percepisce con chiarezza i fatti della
vita quotidiana».
Mai come oggi la VC è chiamata soprattutto ad ascoltare Dio, la sua Parola, il
mondo, la società, i poveri, con tutti i loro problemi e tutte le loro gioie,
nelle loro condizioni di vita e nella loro dignità. Ma insieme è chiamata ad
ascoltare i vescovi, i laici, i presbiteri diocesani, le altre comunità
religiose, i giovani e gli anziani, comprese le persone che hanno altri modi di
pensare. La VC «sarà capace di umanizzare la nostra cultura e la nostra società
solo nella misura in cui saprà rendere più umana la vita dei suoi stessi
membri». Di tanto in tanto ci si dovrebbe seriamente interrogare sulla «qualità
delle nostre istituzioni o sull’esito delle nostre imprese apostoliche». Non si
rischia, spesso, di soffocare tutta la sapienza delle beatitudini evangeliche
sotto l’idolatria dell’efficienza manageriale, delle quote di mercato e degli
obiettivi da raggiungere a tutti i costi? Il Vangelo insegna anche ai consacrati
la politica dei piccoli passi, dei segni umili, ma espressivi. Gesù non ha
organizzato una sorta di protezione civile per tutta la Palestina. Ha
manifestato attraverso alcuni segni eloquenti «che il Regno di Dio si stava
realizzando nella sua persona».
La casa di Lidia e i nostri conventi
L’importanza di un attento ascolto della Parola di Dio, le superiore generali
che gremivano il salone dell’Ergife, l’hanno potuta verificare anche dalla
rilettura e dall’attualizzazione fatta dalla filippina Judette Gallares
(religiosa del Cenacolo), della conversione di Lidia (Atti degli apostoli, cap.
16). Il luogo di preghiera lungo il fiume, alle porte della città di Filippi,
«ha un profondo significato simbolico, legato alla nostra vocazione cristiana».
Subito dopo la sua conversione, la casa di Lidia diventa la culla della prima
comunità cristiana di Filippi. Il suo entusiasmo e il suo spirito di ospitalità
«sono espressioni autentiche della sua conversione allo Spirito del Vangelo…
frutto del suo spirito contemplativo e della sua fedele applicazione degli
insegnamenti di Cristo».
Proprio a partire dalla storia di Lidia, «se dovessimo metterci al posto di
Lidia e della sua comunità di donne, quali sarebbero i desideri e le aspirazioni
profonde del nostro cuore? Di quali incongruenze, nella nostra vita personale di
fede o nella nostra vocazione religiosa, diverremmo consapevoli? Quanto le
nostre varie osservanze e le pratiche esteriori della vita religiosa e della
spiritualità riempiono il vuoto e soddisfano i nostri desideri più profondi e la
sete di significato nella nostra vita? Che cosa manca?».
Dal momento che la mistica è parte integrante della vocazione e testimonianza
profetica, allora ci si potrebbe chiedere quali eventi di oggi stanno
risvegliando e chiamando le comunità religiose «ad una preghiera più profonda e
ad un discernimento nella nostra azione profetica». Lidia è stata in grado di
sfruttare la forza del suo carattere e il suo dono di leadership per promuovere
la fede cristiana nel suo nucleo familiare e, perfino, nella comunità di
Filippi. Se, sull’esempio di Lidia, una comunità religiosa volesse aprire la sua
casa, chi inviterebbe e in che modo potrebbe diventare un vero «centro di
accoglienza e d’incontro con Dio?». Sarebbe disposta, quella comunità, a
invitare anche «coloro che non hanno fede, che hanno cessato di impegnarsi nella
pratica della loro fede, che appartengono ad altre fedi?».
Non si rischia a volte di sacrificare il misticismo di fronte alle esigenze
della missione e alle aspettative orientate più verso la produzione che non
verso la spiritualità? Quante volte, proprio la mancanza della preghiera
contemplativa ha contribuito al fallimento della vita di fede di certe comunità
apostoliche!
Proprio per questo, la conversione di Lidia può diventare una importante
occasione di riflessione sulla dimensione mistica e profetica della VC. Solo
nella misura in cui «riconosceremo la contemplazione come uno stile di vita per
tutta la Chiesa, noi religiosi e le nostre comunità diventeremo centri di
spiritualità e di esperienza di Dio».
Nuovi percorsi di profezia
Con uno sguardo più direttamente rivolto al continente africano, anche Liliane
Sweko, delle suore di Notre Dame di Namur, si è posta dei seri interrogativi sul
senso mistico e profetico della VC. Non si può essere mistici e profeti nel
mondo di oggi, senza sentire «le grida e i richiami degli uomini e delle donne
feriti dalla violenza, dalla fame, dalla povertà, dalle guerre e da tante altre
situazioni che degradano la loro dignità». Tre compiti, in particolare,
caratterizzano la vita profetica dei consacrati: la denuncia, l’annuncio e la
rinuncia. Per trovare nuovi percorsi di profezia, basterebbe dare uno sguardo al
modo con cui oggi vengono vissuti i voti religiosi. Non basta affermare che sono
«fonte di libertà, una via verso la libertà, la maturità e la realizzazione»,
senza chiedersi, poi, come di fatto sono vissuti.
Non si può essere povere senza denunciare pubblicamente, a nome dei poveri,
anche a costo della propria vita, «le ricchezze e l’arricchimento ottenuti al
prezzo di vite umane e dello sfruttamento di popoli». Non si può essere caste
senza denunciare «la profanazione dell’amore, lo stupro, la promiscuità e il
sessismo, tutto ciò che svuota l’amore umano del suo significato e del suo
carattere sacro». Non si può, infine, essere obbedienti, senza denunciare «tutto
ciò che mantiene gli uomini infantili, tutto quanto li rende irresponsabili e li
mantiene nell’ignoranza e nella indifferenza».
Proprio attraverso la pratica dei voti religiosi ci si dovrebbe chiedere fino a
che punto ci si appassiona di fronte «all’umanità ferita e abbandonata, a questa
umanità che il Cristo porta nel suo cuore in maniera preferenziale». Non si può
non dedicarsi «a coloro che frequentano le mense per i poveri, ai bambini
abbandonati e sporchi nelle nostre città moderne, alle vedove in lutto, alle
donne violentate o maltrattate le cui grida sono coperte dall’egoismo e dalle
paure delle nostre società, a tutta un’umanità che, per mancanza di amore, «è
diventata incapace di amare». In un mondo in continuo cambiamento che chiede
anche alle religiose un maggior impegno nella ricerca teologica, sociologica,
antropologica, economica, politica, fino a che punto ci si sente impegnate a
«migliorare ulteriormente la qualità dello sviluppo intellettuale nelle nostre
congregazioni?». Solo in questo modo, ha concluso sr. Sweko, potrebbe essere
possibile dare uno spessore maggiore «alla nostra attività apostolica e alla
dimensione profetica della nostra spiritualità e del nostro carisma».
La debole voce dei consacrati
Nell’insieme dei lavori della Plenaria, era stato intenzionalmente previsto
anche l’intervento di un rabbino, anzi, come lui stesso si è definito, «un
maestro di maestri che ha dedicato gran parte della sua vita alla formazione dei
rabbini», il rabbi Arthur Green. «Credo fermamente, ha detto, che l'ebraismo,
una delle più grandi tradizioni religiose del mondo, abbia ancora molto da
offrire sia ai suoi fedeli che alla comunità universale di tutti coloro che sono
in ricerca». Accennando all’eredità dell’ebraismo, il relatore ne ha illustrato
alcuni aspetti mistici e teologici fondamentali come la preghiera dello Schema
Israel, il monoteismo ebraico, la tradizione mistica del giudaismo, l’amore del
prossimo, il divieto esplicito di scolpire immagini di Dio, il significato del
terribile evento dell’olocausto, fino ai problematici rapporti storici
dell’ebraismo con il cristianesimo. Il Vaticano II e, in particolare, il
documento Nostra Aetate, hanno comunque alimentato non poca speranza. «Molti di
noi, me compreso, abbiamo imparato e siamo stati ispirati dalla capacità della
vostra Chiesa di pentirsi, di crescere e di cambiare, pur restando fedele alla
propria identità». L’augurio finale è stato quello di «continuare questo
percorso di crescita, senza scendere a compromessi», con la promessa che i
rabbini presenti e futuri lotteranno a fianco dei cristiani «perché la nostra
tradizione abbracci tutta l’umanità».
A Bruno Secondin, carmelitano, è stato infine affidato il non facile compito di
tentare una sintesi dei diversi relatori che lo avevano preceduto. Rileggendo la
vicenda della VC odierna alla luce del simbolismo del ramo di mandorlo e della
pentola bollente di cui parla Geremia (cap. 1), i religiosi oggi, ha detto, si
trovano di fronte all’alternativa o di «moltiplicare le confessioni disperate,
cariche di amarezza e di ribellione impotente», oppure di «ripensare le radici
di questa nostra avventura», nella consapevolezza che «non ci siamo inventati
noi la missione di edificare e sradicare, distruggere e piantare, gridare e
intercedere».
Troppo a lungo, nella VC, ci si è illusi «che i nostri templi sacri, le nostre
alleanze strategiche, i nostri granai ripieni, le nostre statistiche in
progresso, fossero benedizioni di Dio, premio acquisito e consolatore».
Mai come certe situazioni difficili come quelle odierne stanno ponendo a dura
prova la dimensione profetica della VC. Di fronte, ad esempio, allo scandalo
della pedofilia dei sacerdoti, di fronte alle sofferenze e ai disagi causati
dalla Visita Apostolica alla vita religiosa femminile negli USA o in altre
situazioni difficili e complesse, quali risposte si sono elevate dal mondo dei
consacrati? Non è forse più facile «far sentire la nostra voce profetica nei
disastri naturali piuttosto che nelle problematiche ecclesiali e civili?». Senza
una lettura sostenuta dalla concreta testimonianza di parole e opere, sarà
sempre più difficile vedere tutte queste diverse crisi come «un kairòs di
purificazione», come «occasioni per esprimere la creatività e la genialità
femminile».