Benché sia un dato costante nella storia, oggi è particolarmente forte ed evidente l’interessamento premuroso che la Chiesa nutre per quelle che considera due vie e due espressioni diverse e complementari dell'unica vocazione dell'uomo alla comunione (cioè alla santità): la famiglia e la fraternità religiosa.
Quelli che seguono sono alcuni spunti di riflessione per collegare questi due “stati di vita” e vedere in che rapporto stanno tra loro all'interno della comunità cristiana. È un dato ormai acquisito infatti che tanto il matrimonio come la vita consacrata hanno nel battesimo la fonte della loro santità ontologica (coniugati e consacrati sono "figli di Dio in Cristo"), ed entrambe sono vocazioni a una santità fatta di scelte che rendano l’esperienza concreta di chi cammina in ciascuna di esse sempre più coerente con la sua identità profonda.

Un diverso inizio del cammino

Nella formazione di una famiglia, il punto di partenza è la simpatia e l'attrazione reciproca (fisica ed interiore) tra un uomo e una donna, che ravvisano proprio in questo il “cemento iniziale” con cui costruire una unità. Sopraggiungono poi i figli come ulteriore “collante”, frutto dell'amore fecondo dei coniugi.
Il cammino di una coppia autenticamente cristiana vede però dilatarsi via via l’importanza della presenza del Signore: è in Lui che la famiglia cristiana trova la forza per far crescere la qualità di un amore che, per quanto grande e appassionato, è sempre minacciato dai tanti risvolti dell’umana fragilità, che rende un po’ tutti ondeggianti tra la paura e la dominazione.
È l'itinerario lungo e faticoso che porta alla trasformazione di un amore istintivo e “naturale” in un amore convertito e “soprannaturale”: tale cioè che sappia restare fedele e forte nella prova, e divenga così sempre più “segno” dell'amore oblativo che il Cristo Signore nutre per la Chiesa sua Sposa. Un amore, questo, che ha nella croce il vertice della gratuità e dunque della sua piena maturità anche umana.

Il punto di partenza di una comunità religiosa è invece da subito il Signore, che chiama ciascuno e dona dei fratelli (o delle sorelle) resi capaci di vivere insieme perché “uniti nel suo Nome”, cioè dallo stesso amore per Lui, il Cristo Signore: “congregavit nos in unum Christi amor”, canta con grande finezza l'antico inno monastico “Ubi caritas et amor”.
A differenza della famiglia, nella comunità religiosa si sta insieme non perché ci si è scelti all'inizio, ma perché si è stati chiamati dallo stesso Signore, da Lui “con-vocati” (= chiamati assieme ad altri) e “con-venuti” nello stesso luogo (conventum). Il cemento dei rapporti di comunione è qui sin dall'inizio il Signore, nel quale soltanto ci si riconosce come fratelli o sorelle, e ci si accoglie man mano pur nella diversità e nelle inevitabili fatiche. Dall'amore del Signore, che è fonte inesauribile di “caritas” (amore nella gratuità), si è condotti all'apertura sempre maggiore e sempre più concreta ai tanti volti che Egli pone sul cammino di ognuno, a cominciare da quelli del proprio “convento”.

Una mèta comune

Diverso dunque l’inizio, tra chi vive in una famiglia cristiana e chi fa parte di una fraternità religiosa, ma comune per ogni discepolo del Signore è la mèta: sospinti tutti verso un modo di amare che somigli sempre più a quello del Maestro, che è dare la propria vita per il Regno e dunque per i fratelli.
Il matrimonio è il sacramento che anticipa nell'oggi della nostra storia l'amore di Cristo per la Chiesa. L'amore di Cristo “passa” di fatto attraverso l'amore di tenerezza, di abbandono e di crescente oblatività che i coniugi vivono tra loro e con i figli: una coppia cristiana unita e fedele è segno potente dell'amore forte e fedele del Cristo per la Chiesa “già” in questa nostra storia pur segnata dal limite e dal peccato (è l'accentuata valenza incarnazionista propria del sacramento del matrimonio e della vita familiare).
Ma anche la vita consacrata è anticipazione seppur parziale del casto amore sponsale del Cristo con la Chiesa, ed è profezia insieme povera e vigorosa che il compimento pieno di tale amore lo sperimenteremo solo nella nuova Gerusalemme, quando tutti saremo uniti con Cristo in Dio: è la prevalente valenza escatologica della vita consacrata, protesa verso il “non ancora” del Regno.
Sin qui, succintamente, alcuni cenni di teologia. Ma, nella vita pratica, che cosa hanno poi in comune la famiglia cristiana e la fraternità religiosa? Tenendo presente che nella visione cristiana il fine della vita dell’uomo è la comunione in Cristo con Dio e con gli uomini, possiamo dire che esse sono entrambe "scuole di crescita nella comunione", con i loro pregi e i loro limiti, le loro spinte alla crescita e le trappole che possono far regredire.

Due percorsi per crescere nella comunione


Di fronte alle sfide e ai sacrifici che il loro diverso stato di vita presenta in misura crescente col passare degli anni, e che sono oggi notevolmente accresciuti dal contesto di nuovo paganesimo in cui tutti viviamo, i religiosi e i coniugi cristiani hanno bisogno di procedere insieme e uniti in una spirituale cordata che consenta alle due vocazioni di aiutarsi e sostenersi a vicenda con la stima reciproca, l’incoraggiamento e la preghiera, per non desistere nella difficile scalata della sequela del loro unico Signore. Essi hanno bisogno di rafforzare la loro fede e la loro speranza con un'azione di reciproco sostegno, per essere in grado di attingere dal loro Signore – cercato dagli uni e dagli altri sia nella preghiera personale che in quella fatta insieme – la forza di non ritrarsi e regredire davanti alle tante situazioni che richiedono di essere avvicinate ed accolte con un amore crocefisso.

Per chi vive in famiglia, è il vedere svanire via via molte delle attese riposte a suo tempo nelle persone più vicine e amate, sono le delusioni nel constatare che è sovente assai più ciò che si dà di quanto si riceve, le ferite inferte dai figli che crescendo si allontanano, dai genitori e dal coniuge che invecchiando regrediscono talora verso comportamenti egocentrici e umanamente più poveri…
Per chi vive in fraternità, sono la solitudine del cuore, i caratteri tanto diversi, le povertà interiori e le opacità, gli orizzonti angusti, e ancor più il rammarico nel vedere come resti lenta e incerta la conversione del cuore anche in chi – come noi – ha goduto per tanti anni di molti e svariati supporti nella formazione iniziale, continua a riceverne ancora dalla formazione permanente e sopratutto si nutre ogni giorno della di parola di Dio e della grazia dei sacramenti ...
Per tutti, il limite proprio e altrui, le ferite ricevute e inferte che possono indurire il cuore, i pesi dell'età e della vita che, se non condivisi, possono farsi opprimenti...
La famiglia cristiana e la fraternità religiosa sono dunque i due ambiti “classici” entro cui il Signore offre ai suoi discepoli le occasioni concrete per compiere un itinerario di vera conversione. Dire quale delle due vie offra il materiale più ampio e i mezzi più efficaci per procedere nel cammino verso la santità (come perfezione nella carità) non è semplice. Il magistero della Chiesa ha sempre considerato la vita consacrata come condizione oggettivamente più ricca di occasioni e di strumenti per un discepolato più pieno. E non pare si possa dubitare del dato in sé, dal momento che il progetto di vita del consacrato è obiettivamente tutto incentrato sul Signore e pensato appositamente per favorire questa progressiva immersione nel Mistero pasquale in una generosa sequela …
Di fatto, né l'uno né l'altro stato di vita garantisce automaticamente una crescita vera. Questa dipende in gran parte dalla risposta che ognuno dà alle sollecitazioni dello Spirito, che sospinge alla santità ogni battezzato.

Verso un amore fatto di misericordia

È certo comunque che per tutti i discepoli, ovunque essi vivano, l'amore fraterno è la strada maestra di una reale conversione: accogliere il fratello così com'è, sorretti dall'amore del Signore, costituisce per tutti la via concreta per vivere la sequela, ed è la “prova del nove” del cammino compiuto. L'uomo nuovo che si lascia guidare dallo Spirito del Signore (Gal 5,22-23) è reso capace di creare comunione anche dentro questa nostra storia di poveri uomini. Come s’è detto, in famiglia come in fraternità si possono sperimentare la freddezza, l’incomprensione, le divisioni, i fallimenti del dialogo, e può crescere la tentazione di cedere all’avvilimento che indurisce poi il cuore. Tutti figli di un Padre che in Cristo "ci ha amati per primo" (1 Gv.4, 10), nelle situazioni in cui viviamo troviamo tutti tante occasioni per imparare ad... amare per primi. In ogni comunità, come in ogni famiglia, per non regredire verso rapporti paralizzanti o distruttivi, occorre sempre che qualcuno si muova per primo: che ami per primo, che perdoni per primo, che stabilisca i contatti per primo, che continui a farsi servo per primo... e senza pretendere nulla dagli altri, “neanche che diventino cristiani migliori”, come giunge a dire san Francesco nella mirabile Lettera a un Ministro (FF 234).
In famiglia e in comunità, il primo passo spetta sempre a colui che vuole continuare di fatto ad essere discepolo del Signore fino a “consumare” con Lui il proprio Mistero pasquale. Che è poi l'unico grande traguardo di santità per tutti i cristiani: preti, frati, suore e laici.
L'eterogeneità dei componenti di una fraternità religiosa rispecchia quella di tanti altri tipi di convivenza umana: l'ambiente di lavoro, la scuola, la famiglia stessa quando non è più legata dall’affetto spontaneo. Anche gli uomini e le donne delle comunità religiose si incontrano ogni giorno e vivono insieme con i segni del peccato e con le radici di egoismo e di paura che il peccato deposita nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. E il continuare in un condiviso cammino di conversione richiede loro di far spazio a un amore fraterno sempre più impastato di misericordia ricevuta e donata.
Nella Chiesa cattolica non esistono infatti comunità ideali, ove i componenti si sono scelti tra loro o sono stati messi insieme dai superiori in base a criteri selettivi di una presunta aristocrazia degli spiriti. Un po’ tutte le comunità religiose sono un insieme di virtù e di limiti, di santità e di peccato, di maturità e di infantilismi. Ma proprio questa limitata situazione di partenza, che è presente in ogni gruppo umano inserito nella storia, toglie fin dall’inizio l’illusione di poter vivere esperienze di cielo quando si è ancora in cammino su di una terra salvata solo nella speranza; e questo rende i religiosi e le religiose testimoni di come sia possibile vivere insieme e uniti anche quando non vi è né attrazione reciproca né affinità di carattere.
Con la loro presenza tra gli uomini, le fraternità religiose attestano anche che il disegno salvifico di Dio sull’umanità (la comunione in Cristo col Padre e tra di noi) non è un'utopia, perché l’unità è stata resa possibile dalla croce di Cristo ed è costruita efficacemente da quei discepoli che con Lui e per Lui portano la più feconda delle croci quotidiane, quella delle proprie ed altrui povertà.
“Uniti nel dolce nome di Cristo”, come amavano dire di se stessi i primi cappuccini, da Lui sorretti e sempre rigenerati nella capacità di amarsi e di perdonarsi a vicenda, tanto i consacrati che gli sposi cristiani devono dimostrare con i fatti che, nonostante tutto, è possibile far crescere quella comunione tra persone di cui vediamo ogni giorno tante contraffazioni deludenti, ma che non cessa di essere struggente nostalgia del cuore di ogni essere umano. Questo è alla fine il materiale più pregiato per accelerare il nostro cammino di conversione ed il più prezioso dei sacrifici spirituali graditi a Dio: “Stringendovi a Lui, Pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2,4-5). Dobbiamo gareggiare nel mettere sempre più in pratica queste parole di Pietro, perché lo splendido ricamo della comunione piena e beata che ammireremo eternamente nella Gerusalemme celeste sarà anche il risultato dei tanti “rammendi” che avremo realizzato giorno dopo giorno nelle relazioni fraterne durante il breve spazio del nostro soggiorno terreno…
Nella Novo millennio ineunte (43) Giovani Paolo II ha profeticamente affermato con forza che far crescere la spiritualità di comunione è la sfida più grande e urgente che tutta la Chiesa ha davanti nel suo servizio ad un mondo ormai avviato in un vertiginoso e irreversibile processo di globalizzazione. Sapranno le famiglie cristiane e le fraternità religiose dare il loro prezioso contributo per vincere questa sfida?