Non c’è oggi istituto che non si interroghi che cosa il suo carisma e la sua spiritualità possono offrire al mondo e come rispondere alle sfide del mondo. È infatti ormai convinzione unanime che una spiritualità che non trasformi il mondo, che non interpelli, e restasse chiusa nel suo piccolo cerchio di perfezione senza aprire il cuore al mondo dei fratelli, non sarebbe quella dello Spirito di Gesù.
È una delle convinzioni che guidano oggi il Carmelo come risulta dalla lettura di un agile volumetto (il carmelo teresiano oggi, pp. 113), in cui il preposito generale Luis Aróstegui ha raccolto otto messaggi da lui indirizzati all’Ordine carmelitano nel sessennio 2003-2009. Un periodo di governo caratterizzato da due obiettivi: la comunione nella pluriformità e l’esperienza di Dio come esperienza della dignità della persona. Alla luce di una tale prospettiva spirituale (utile peraltro per ogni forma di VC) ci sembra significativo rileggere soprattutto la conferenza (Bruxelles 2007, pp. 67ss.) sul tema specifico: Il Carmelo di fronte alle sfide degli uomini e delle donne del nostro tempo. Il padre osserva: «Il mondo attuale c'invia un certo numero di messaggi, che occorre precisare, affinché possiamo rispondervi: noi sentiamo che è necessario dare una risposta.

Quattro aree particolari

La coscienza e la sensibilità del tempo in cui si vive, secondo il preposito generale, sono caratteristiche dei fondatori: «Pensiamo da parte nostra a s. Teresa di Gesù nel XVI secolo, in seno alla chiesa di un’Europa divisa e minacciata, nel cuore del mondo di tutti quelli che non conoscevano affatto il vangelo della salvezza, a giudicare dalle notizie che venivano dall’America. E si potrebbe dire la stessa cosa della visione del beato Francesco Palau e della sua compassione per il nostro XIX secolo. Dunque non facciamo niente di nuovo oggi, prestando attenzione a ciò che ci interpella. Ciò che è nuovo, sono probabilmente l’ampiezza e la complessità dei fattori che possono lasciarci perplessi, e questo carattere mondiale o globale di tutti i richiami».
L’attenzione viene portata su quattro aree: le necessità urgenti, la guerra e il terrorismo, lo scontro culturale e religioso, la secolarizzazione e il materialismo. «Anche se non appaiono su tutti i continenti, queste sfide ci riguardano tutti… Ma lo fanno in modi differenti. La realtà della fame e delle malattie ci riguarderà sotto forma di responsabilità. Il secolarismo e il materialismo ci raggiungeranno, invece, per i loro effetti sulla mancanza di vocazioni, con l’invecchiamento conseguente, l’emarginazione sociale o anche religiosa, ecc. Ne siamo toccati a tal punto che la nostra speranza ne può soffrire, o la stessa fiducia nella nostra vocazione, mentre il conformismo ci trascina, diluendosi nella realtà sociologica. Cito espressamente quest’ultimo fenomeno, a causa della sua incidenza direttamente religiosa».
Che cosa possiamo essere in questo mondo odierno, se vogliamo che la nostra vita sia significativa per noi? P. Aróstegui risponde: «Apparteniamo a questo mondo, esso non ci è estraneo. Molti dei suoi problemi ci configurano... Le differenti sensibilità religiose, la valorizzazione della creazione, i diritti dell’uomo, il ruolo della donna, la dignità della persona umana qualunque sia la sua vocazione, ecc. tutto quello che la cultura attuale considera valore, è la nostra maniera di pensare e di sentire, sono i nostri valori. Ecco perché ci interroghiamo sul senso della nostra vita per noi». A ben vedere è riflessione che riguarda tutti gli istituti religiosi e che può profittare del processo celebrativo in vista del centenario della nascita di s. Teresa del Gesù nel 2015.

Una risposta alla sete di Dio

Il capitolo generale di Ávila (2003) aveva affermato: «il Carmelo del futuro è chiamato a offrire dei mezzi che rispondano alla sete di Dio del mondo attuale. Lo spiritualità carmelitana dispone di immense possibilità per rispondere e per guidare le persone in una relazione più profonda con Dio. Tutte le nostre comunità di vita apostolica e contemplativa, i religiosi, le religiose, i laici, dovrebbero sforzarsi di vivere un'esperienza spirituale evangelica e profonda». Il Carmelo teresiano del futuro potrà offrire un servizio qualificato nella Chiesa (nella condivisione di esperienza, nell’accoglienza, nella creazione di centri e di istituti di spiritualità) Questa realtà interpella i carmelitani a essere più autenticamente oranti e presenti all’umanità.
Spiritualità o mistica, secondo p. Aróstegui, significa relazione di fede e di amore personale con Cristo: è quell’attenzione amorosa, al di là di sentimenti e godimenti, tensione verso l’abisso di cui parlano talvolta i mistici. Una spiritualità dunque che è innanzitutto «una spiritualità dell’umanità di Dio e dell’umanesimo divino». Santa Teresa afferma «Con un amico tanto buono presente, con un così buon capitano che si offrì per primo a soffrire, tutto si può sopportare. Ci aiuta nello sforzo e ci incoraggia; non viene mai meno; è un amico vero» (Vita 22,6). L’umanità di Dio in Cristo assume debolezze e limiti: «Voler considerarci angeli stando sulla terra, e tanto a terra come stavo io, una follia; quando non si può godere tanta quiete e in tempo di aridità, Cristo è un amico molto buono, perché lo vediamo Uomo e lo vediamo provare stanchezza e travagli, e ci è di compagnia» (Vita 22,10). L’umanità di Dio scompiglia anche la scala dei valori: «Ma no, sorelle, no; opere vuole il Signore, e che se vedi una malata a cui puoi recare sollievo non ti deve importare niente perdere questa devozione per soffrire con essa; e se ha qualche dolore, ti dolga anche tu».
Oltre all’umanesimo teologico, si sperimenta una spiritualità di purificazione e trasformazione (vedi s. Giovanni della Croce). Nel Carmelo si parla di notti e fiamme, di purgatorio e inferno: non luoghi di disperazione, ma processi terapeutici dello spirito e della psiche. «È evidente che siamo tutti malati; avvertiamo molto bene che non siamo amore puro; siamo gonfi di egoismo; manchiamo di ogni generosità valida. Di dove il bisogno di una fede pura e impegnata. Perché il Dio umano di nostro Signore Gesù Cristo è trascendente. Non è né natura, né cosmo. Non si identifica con la nostra religiosità o col nostro sentimento religioso. Occorre cercarlo al di là di tutto ciò; occorrerà soprattutto cercarlo al di là di noi stessi. E tuttavia allo stesso tempo è tanto vicino… È anzi il più vicino, è il centro stesso della persona. Siamo noi che siamo decentrati, abbiamo bisogno di ritrovare il nostro centro».
Ancora, nella spiritualità del Carmelo, diventa naturale sprofondarsi nella coscienza del proprio niente nella certezza dell’amore misericordioso. «La prima presa di coscienza, sottolinea p. Luis, significa lucidità e realismo spirituale: la sicurezza definitiva dell’uomo non può poggiare su se stesso. È limitato veramente da ogni lato a motivo del suo niente. E tuttavia questa visione non deve immergerlo nella disperazione. Al contrario, la coscienza del nulla rende più assoluta la fiducia nell’amore misericordioso. La fede suprema dell'uomo gli assicura l’esistenza di questo amore misericordioso (Teresa di Lisieux)». Questa spiritualità porta anche a identificarsi con gli increduli e i peccatori, fino a riconoscersi come uno di essi, e a sentirli come fratelli («… poiché ciascuno sperimenta fino a che punto tutti gli altri gli appartengono spiritualmente, poiché “i giusti sono miei, e miei i peccatori”: insomma si vuole salvarli tutti»). Un desiderio che arriva al culmine in Teresa di Lisieux, disposta a rimanere tutta la vita alla tavola della sofferenza degli increduli che sono suoi fratelli. Arrivando infine anche all’identificazione con le vittime, fino al campo di concentramento e all’olocausto, come Edith Stein «che fa uscire il Carmelo dalla sua solitudine e dalla sua contemplazione, per condurlo a curare e a consolare i bambini abbandonati del campo di sterminio, e portare agli altri la speranza contro ogni speranza».
Perciò «questa spiritualità forgia il nostro modo di essere; è il nerbo della nostra forza nelle intemperie dell’assenza di Dio e della secolarizzazione. Come anche nella lotta delle religioni e delle culture, nel mondo della disperazione, della miseria e delle guerre, perché sa far sentire ciò che ci unisce. È una spiritualità che, in certa maniera, va al di là delle forme e delle separazioni culturali… E siccome è contraria al formalismo e alle apparenze, essa non conosce riposo finché non diventa una realtà tesa al soccorso e al servizio della dignità umana». Al fondamento va messa la preghiera, «che viene fatta con naturalità, come evidenza della vita, non perché è “leur office” (loro dovere) e obbligo. Noi preghiamo perché Dio è naturalmente il centro, perché abbiamo bisogno della preghiera come dell’aria». Segue la vita fraterna, col suo stile di semplicità che «mette la mistica alla prova, e conferma la verità dell’esperienza di Dio».

Un’esperienza di compassione e speranza

Nella Chiesa, il Carmelo è considerato come luogo speciale dell’esperienza di Dio. Ma è il Carmelo dei santi e dei mistici, non quello sociologico. «Sempre la spiritualità è stata messa in guardia contro i pericoli della dicotomia e dello spiritualismo, della separazione del divino dall’umano… Di conseguenza, il Carmelo ha oggi come missione di vivere e comunicare simultaneamente questa doppia esperienza. Una sedicente spiritualità che non trasformi il mondo, che non interpelli, resterebbe chiusa nel suo piccolo cerchio di perfezione senza aprire il cuore al mondo dei fratelli, non sarebbe quella dello Spirito di Gesù… Quando leggiamo gli scritti dei nostri santi, notiamo subito, e non senza stupore, fino a che punto la dignità della persona umana si imponga alla loro attenzione… L'immagine della persona umana che si staglia in questi scritti è di una tale dignità, nella sua grandezza e nella sua capacità divina, che sembra non avere più niente da vedere con l’immagine dell’uomo che si proietta nella realtà della vita, anche tra noi».
Pertanto il Carmelo diventa luogo di compassione e speranza. L’albero del Carmelo non nacque per un’opera particolare di misericordia, ma da esso sono nati molti istituti che vi si dedicano. Ciò dimostra la fecondità samaritana del Carmelo, e contemporaneamente, la necessità intrinseca del Carmelo che non sarebbe se stesso se non producesse questi frutti. Questo vale anche per le carmelitane: nella “avvertenza amorosa” verso l’umanità, esse manifestano il volto di Dio Amore.
In conclusione, p. Aróstegui ci tiene a dire: «esistono delle riflessioni, anche oggi, sull’evoluzione della vita religiosa post-conciliare che denotano precisamente un’attenzione insufficiente alla spiritualità. Riconosciamo che molte energie sono state investite spesso nei mezzi, nelle espressioni, nelle organizzazioni, in certi tipi di formazione, ma che si è approfondito raramente con la stessa cura la spiritualità… mi permetto di insistere, l’uso del termine spiritualità non risolve la questione una volta per sempre.
Perché c’è sempre una spiritualità falsa. Di conseguenza, con questa chiarezza che ci dice che la spiritualità non è mai spiritualismo, che è sempre incarnata, ci chiediamo con ragione ciò che la spiritualità del Carmelo può offrire oggi a noi a e agli altri. E con la stessa lucidità concernente l’ambiguità della spiritualità, riaffermiamo la necessità di immergerci in questa. Poiché abbiamo tutta una linea di approfondimento nella tradizione carmelitana, a partire dal Monte Carmelo, passando per s. Teresa, s. Giovanni della Croce, i nostri santi più moderni… Siamo forse adesso più convinti… che tutto quello che, nella vita religiosa, si costruisce senza spiritualità, senza Spirito, non può avere nessuna consistenza».