Per acquisire una maggiore consapevolezza nell’essere in Cristo e con Cristo
narrazione del Vangelo a partire da un cammino di umanizzazione è necessario
approfondire le radici del proprio battesimo. È a partire da questo presupposto
che si sono svolti a Roma, dal 7 al 9 aprile, presso la Pontificia Università
Urbaniana, i lavori della 57a Assemblea Nazionale dell’Unione Superiore Maggiori
d’Italia. Era stato posto a tema: Affidate a una promessa: per umanizzare la
vita in Cristo. In continuità con il cammino di riflessione dell’Assemblea 2009
che aveva approfondito il senso e il significato della profezia della vita
religiosa, obiettivo di questo incontro assembleare è stato di approfondire le
radici battesimali della vita religiosa. Il saluto di apertura di madre Viviana
Ballarin, presidente dell’USMI, ha anticipato sinteticamente quanto poi è stato
sviluppato nelle tre giornate, accompagnate e arricchite nella riflessione da
relatori sapienti e testimoni di un cammino di umanizzazione in Cristo .
Madre Viviana ha evidenziato come il tema dell’Assemblea abbia voluto esprimere
il desiderio e la convinzione che come donne consacrate, «possiamo ritrovare noi
stesse ed essere pienamente quelle che dobbiamo essere quanto più siamo radicate
in Cristo», per una bellezza di umanità.
«Tale umanità nelle nostre comunità non ha forse bisogno di essere ancora
incontrata e liberata in Cristo?» – ha continuato madre Ballarin. «Umanità che
attende di divenire a sua volta preziosa opportunità per chi cerca umanizzazione
nei luoghi e negli incontri della nostra missione oggi? Non avvertiamo forse un
grido di umanizzazione che sale dalle pieghe della nostra società e che chiede
di essere intercettato per essere liberato? Sapremo noi, vita religiosa
femminile in Italia, affidarci alla Promessa al punto da divenire così umane per
poterlo udire e darvi una risposta?»
Affidate a una Promessa
La nuova evangelizzazione voluta da Giovanni Paolo II e ripresa ampiamente da
Benedetto XVI, richiede di rimettere al centro la Nuova Alleanza. Così ha
esordito p. Rossi de Gasperis nella sua relazione Per una evangelizzazione
nuova: raccontare sempre di nuovo l’Alleanza. Evangelizzare significa
“raccontare una storia” prima che trasmettere una dottrina. La storia va
trasmessa nella sua integrità, come pure la geografia che le corrisponde. La
“nuova alleanza” va letta e compresa all’interno dell’unica Alleanza:
dall’inizio, lungo tutto l’Antico Testamento, al suo primo compimento con Gesù
fino alla parusia, alla pienezza del disegno di salvezza che Dio ha promesso
all’umanità.
Padre de Gasperis ha sottolineato come una certa “integrazione difettosa”
nell’intero disegno di Dio sulla nostra storia, abbia contribuito alla
secolarizzazione scristianizzante dell’Occidente. Recuperare positivamente il
dinamismo della fede cristiana, vuol dire far perno sulla nuova Alleanza,
rinnovare il proprio affidamento alla Promessa di Dio, riguardare l’incarnazione
di Gesù per rigenerare bellezza e armonia dell’incarnazione nella storia, ridare
spazio al mistero pasquale perché la speranza dell’homo viator passi dalla fede
alla consumazione della carità, trasformi l’uomo mortale in uomo vivente, dia
slancio e verità alla Parola dentro la storia.
Tappa importante nel processo di umanizzazione è stata quella sottolineata da
don Guido Benzi: la scoperta quotidiana che la vita di ogni persona è novità
nella storia perché viene liberata in Cristo per quella libertà che ci
riconsegna alla nostra origine. La Promessa a cui ci si affida con la
consacrazione è già depositata nel nostro DNA, nella totalità e profondità della
nostra vita come consegna di riconciliazione con la nostra nascita. Tutto questo
ci dona stabilità nella fede e solo in questa stabilità possiamo condividere il
dono che ci è dato come battezzati in Cristo e rivestiti di lui.
Di questa stabilità, p. Francesco Rossi ha delineato alcune caratteristiche
determinanti e irrinunciabili: «rimanere nella Sorgente ricca di vita,
abbeverarci alla Sorgente, partire sempre dalla Sorgente, affinché i nostri
criteri, le nostre scelte, i nostri sentimenti, le nostre parole, i nostri
gesti, seppur condizionati da limiti e fragilità, diventino i criteri, le
scelte, i sentimenti, le parole, i gesti della Sorgente che trasforma la vita».
La Promessa di Dio e le lacerazioni umane
La storia biblica di Sara e Hagar, (Gn cc. 16 e 21) presentata magistralmente da
don Massimo Grilli, ha permesso di ripensare la vita consacrata a partire
dall’umano, senza tuttavia dimenticare che siamo “affidati a una Promessa”. È la
storia di due donne vittime dell’ingiustizia culturale e sociale; ma è anche la
storia di un Dio che “vede”, un Dio che di fronte all’ingiustizia fa sempre una
scelta di campo e abbatte i muri di separazione. La strada di Dio è la kenosis/abbassamento,
caratterizzato da una tenerezza certa, duratura, da una certezza misericordiosa.
È stato evidenziato da don Massimo come la donna giochi un ruolo fondamentale
nell’immagine che si dà di Dio, il cui amore è espresso anche dal plurale di
rahamîm, che significa viscere materne. Il bellissimo testo di Nm 11,11-12
mostra come il sentimento di misericordia si traduca sempre in storia di
salvezza, in responsabilità etica. «Mosè esclama: Perché hai trattato così male
il tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi e mi hai messo addosso
il carico di tutto questo popolo? L’ho forse concepito io questo popolo? L’ho
forse dato alla luce io, che tu mi dica: - Portalo sul tuo seno – come la balia
porta il bambino lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai
tuoi padri?...».
Oggi l’umanità è armata, è armata fuori, ma soprattutto dentro, armata di morte.
La vera testimonianza è di chi sa dire con la propria vita che «Dio non ci salva
in virtù della sua onnipotenza, ma in virtù della sua impotenza» (Bonhoeffer),
il che equivale a dire della sua misericordia. Forse è proprio la donna, e
quindi anche la consacrata, con le sue viscere materne, a essere chiamata a
testimoniare questa verità, per aiutare a far rinascere un mondo in cui non ci
sia più né giudeo né greco, nè schiavo né libero … e dove tutti possano
ritrovare la propria umanità rivestita di Cristo Gesù.
Perché l’umanità sia rivestita di Cristo, e tanto più la nostra umanità di donne
consacrate, «è necessaria un’opzione fondamentale e fondante: scrutare le
Scritture fino al punto di passare dall’ascolto della voce all’esperienza
dell’incontro con la Parola fatta carne in noi, negli altri, nella storia:
esperienza che sola ci immerge in uno stile di vita in cui la nostra prima
preoccupazione non sono i sacramenti, i segni, le opere da compiere, i risultati
da raggiungere. Non sono più i servizi l’essenziale per noi, ma piuttosto
l’offerta dei nostri corpi, nella totalità e gratuità del nostro essere: solo
così acquisterà senso pieno la nostra presenza nella Chiesa. Così il nome della
missione sarà prima di tutto “testimonianza”. L’essere viene prima del fare: la
nostra vita è dono, le nostre comunità devono essere dono, non agenzie di
servizi».
Fortissima provocazione per la nostra formazione sia iniziale che permanente. Un
processo formativo non si realizza a partire da un programma, da una dottrina,
da una ideologia, ma dall’incontro con il Cristo risorto, il Vivente.
Le tappe di un processo di umanizzazione non si fanno a partire dai segni, ma
accettando di vivere la storia della salvezza, tutta la storia della salvezza
nelle sue tappe essenziali: creazione, peccato, alleanza, portandola con noi
come portiamo il nostro corpo fino a diventare noi stesse una Parola di Dio.
Questa sarà la nostra vera umanizzazione.
Proiezione del film “Bella”
La seconda giornata dell’Assemblea è stata caratterizzata da due momenti
significativi: in mattinata attività di laboratorio sugli ambiti teologico,
della formazione, del governo e della missione. La partecipazione di tutti i
membri di ciascun laboratorio è stata piena e costruttiva. La serata è stata
arricchita dalla proiezione del film “Bella”opera prima del regista messicano
Alejandro Monteverde. Le tematiche che presenta, famiglia, genitori – figli,
aborto, lavoro, hanno promosso per questo film importanti riconoscimenti al
Festival di Toronto; Primo premio al Fiuggi Family Festival; Premio latino
Smithsonian Latino Center; Premio Madre Teresa di Calcutta. Il film, seguito con
uno sguardo libero e benevolo, è segnato da un sentimento profondamente umano in
bilico tra un passato che non è possibile cancellare e un presente faticoso
mitigato solo da quei sentimenti che non rimangono in superficie e che nascono
dalla capacità di mettersi in gioco con tutta la propria umanità. Le scene
iniziali e finali si aprono e si chiudono sulla spiaggia, superficie mutabile e
instabile su cui si fatica a tenere il passo. Simbolo della vita che, come la
spiaggia, è disseminata di ostacoli e solo accogliendo quelli degli altri si
possono superare i propri. Il regista, attraverso una narrazione sobria e
convincente, afferma il valore della vita percorrendo un cammino di
rigenerazione, sempre possibile. Gli eventi che sconvolgono l’esistenza dei
protagonisti sono una lezione profonda per riflettere sul valore della vita. Il
film è come un piccolo mosaico, in cui tutti i problemi che segnano la vita
domandano energie nuove di umanizzazione e rilanciano un chiaro richiamo di
speranza.