Non perdere l’occasione di evangelizzare ogni ambiente di vita e dunque il
mondo digitale, al quale guardare con grande attenzione e non più con sfiducia.
Anche perché sono molte, e positive, le esperienze ecclesiali di presenza ed
evangelizzazione, dalle diocesi alle congregazioni religiose. È una delle
conclusioni del convegno «Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era
crossmediale», che a Roma dal 22 al 24 aprile ha messo la Chiesa italiana a
confronto proprio sulla presenza in rete, in continuità con l’appuntamento
«Parabole mediatiche» di otto anni fa e dopo le molte iniziative di formazione e
di studio che sono in corso.
Senza timori nel mare digitale
A sintetizzare l’atteggiamento con cui guardare alle nuove realtà ci ha pensato
il papa, nel discorso rivolto ai partecipanti sabato 24 mattina, in cui ha anche
citato l’opera svolta dalle congregazioni religiose, integrate in questo
nell’insieme della realtà della Chiesa italiana. Benedetto XVI ha chiesto in
modo preciso che l’ambito delle comunicazioni sociali entri a pieno titolo nella
programmazione pastorale. «Senza timori – ha detto il papa – vogliamo prendere
il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con la stessa
passione che da duemila anni governa la barca della Chiesa. Più che per le
risorse tecniche, pur necessarie, vogliamo qualificarci abitando anche questo
universo con un cuore credente, che contribuisca a dare un’anima
all’ininterrotto flusso comunicativo della rete». È questa la «missione
irrinunciabile» della Chiesa, perché «anche nella rete siete chiamati a
collocarvi come “animatori di comunità”, attenti a preparare cammini che
conducano alla parola di Dio» e «la rete potrà così diventare una sorta di
“portico dei gentili”, dove fare spazio anche a coloro per i quali Dio è ancora
uno sconosciuto».
Benedetto XVI ha citato poi le diverse «voci» con cui parla la Chiesa italiana
il quotidiano Avvenire, l’emittente televisiva TV2000, il circuito radiofonico
inBlu e l’agenzia di stampa SIR, accanto ai periodici cattolici, alla rete
capillare dei settimanali diocesani e agli ormai numerosi siti internet di
ispirazione cattolica. «Esorto tutti i professionisti della comunicazione a non
stancarsi di nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che
diventa tensione ad avvicinarsi sempre più ai suoi linguaggi e al suo vero
volto. Vi aiuterà in questo una solida preparazione teologica e soprattutto una
profonda e gioiosa passione per Dio, alimentata nel continuo dialogo con il
Signore. Le chiese particolari e gli istituti religiosi, dal canto loro, non
esitino a valorizzare i percorsi formativi proposti dalle Università pontificie,
dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dalle altre Università cattoliche ed
ecclesiastiche, destinandovi con lungimiranza persone e risorse. Il mondo della
comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale».
La “Rete” luogo di evangelizzazione
Dal canto suo il presidente della CEI, il cardinale Angelo Bagnasco, ha esordito
nel suo intervento venerdì 23 notando che «la Chiesa ha il compito di
evangelizzare, e dunque anche l’ampio mondo dei media digitali va guardato con
simpatia e stima da parte della Chiesa e dei suoi operatori». «La Rete è, come
ogni altro ambito di relazione, un luogo di evangelizzazione per annunciare
Cristo e per annunciare l’uomo», ha puntualizzato il presidente della Cei,
secondo il quale questo è «il tempo di riscoprire l’alfabeto dell’umano, poiché
le grandi categorie – come la persona, la vita e la morte, la famiglia e l’amore
– rischiano di diventare evanescenti e distorte nei loro significati, di essere
risucchiate e sfinite da un individualismo dominante ed esasperato». In questo
«dinamismo missionario», gli animatori della comunicazione e della cultura –
figure emergenti dopo il Direttorio su Comunicazione e missione del 2004 – sono
«protagonisti nella Chiesa», chiamati «ad essere sale di sapienza e lievito di
crescita». In concreto, ciò significa «non essere conformisti e non cercare
inutili quanto sterili forme di consenso consolatorio», ma anche «soggetti
attivi, terminali di connessioni, attivatori di partecipazione gratuita e
responsabile», perché «la Rete non è fatta di confini, ma di ponti».
Tra gli interventi degli esponenti ecclesiali, mons. Claudio Maria Celli,
presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, ha osservato
che nel mondo digitale «noi non siamo chiamati ad essere semplici cittadini. Il
nostro compito non è neanche occupare un qualsiasi spazio. Dobbiamo lasciare
tracce visibili, riconoscibili, che facciano pensare alla nostra presenza e non
a quella indistinta di qualsiasi altro». «Se la rete è digitale – ha proseguito
il relatore – a noi spetta renderla concreta, darle spessore, offrire un’anima e
dargli vita». Tutto ciò, partendo dalla consapevolezza che «oggi non si può più
parlare dell’importanza dei media: i media sono dentro la nostra stessa vita, e
spesso non solo la orientano, ma la condizionano». In questo modo «la
prospettiva cambia, e l’attenzione ritorna più decisamente sull’uomo, su colui
che rischia di essere sovrastato dall’invadenza delle nuove tecnologie, a cui è
chiesto di riprendersi la propria responsabilità».
Ritardi da superare
Un’indicazione precisa di percorso, che si fonde con quella del papa a proposito
della cooperazione tra le varie componenti ecclesiali, l’ha data il segretario
della Cei, mons. Mariano Crociata. «L’ambito che ci sta maggiormente a cuore» è
«quello locale», dove «le nostre comunità si sono attivate per valorizzare la
figura dell’animatore della cultura e della comunicazione, chiamato a muoversi
da un lato verso chi è già impegnato nella pastorale, al fine di aiutarlo a
inquadrare meglio il suo operato nel nuovo contesto socio-culturale dominato dai
media, dall’altro nell’aprire nuovi percorsi, attraverso i quali raggiungere
persone ed ambiti spesso periferici, quando non addirittura estranei alla vita
della Chiesa e alla sua missione».
Mons. Crociata ha sottolineato un paio di «ritardi» da «superare insieme». Il
primo è legato «a un linguaggio che a volte rimane ancora autoreferenziale,
quasi di nicchia», mentre le generazioni cresciute con le nuove tecnologie ne
hanno assunto il linguaggio veloce, essenziale e pervasivo. C'è poi «la
difficoltà di mettere a fuoco, all’interno dei piani pastorali delle nostre
diocesi, un progetto organico per le comunicazioni sociali, che integri queste
ultime negli altri ambiti». La comunicazione, infatti, non è «un ulteriore
segmento della pastorale», ma «lo sfondo per una pastorale interamente e
integralmente ripensata a partire da ciò che la cultura mediale è e determina
nelle coscienze e nella società». Si tratta, dunque, di «scongelare» la figura
dell’animatore della cultura e della comunicazione, «per elaborare una strategia
comunicativa missionaria, che sia capace di coinvolgere tutti gli ambiti
pastorali e incidere sulla cultura della società».
Alcuni interventi esterni
Nelle giornate del convegno è stato dato spazio a interventi «esterni» al mondo
ecclesiale. Ad esempio il direttore del quotidiano torinese La Stampa, Mario
Calabresi, ha portato le conclusioni di una recente ricerca statunitense secondo
cui il 95% di tutta l’informazione che c’è oggi nella rete arriva dalla carta
stampata, cioè prodotta da giornalismo tradizionale. Questa è una risposta a chi
ha teorizzato che non ci fosse più bisogno dei giornalisti. L’informazione oggi
è gratuita, diffusa da vari media, la si può sentire perfino negli altoparlanti
al supermercato – ha aggiunto – e c’è la sensazione che sia uguale ovunque. Ma
così non è. Il giornale è chiamato anche oggi a un compito fondamentale: dare un
senso, una chiave interpretativa degli eventi, offrire dei punti fermi sui quali
i lettori possono comprendere a fondo la natura degli eventi.
Calabresi ha difeso la competenza e professionalità dei giornalisti, che si
costruisce con anni di studio e applicazione. Ha ammesso che anche i giornalisti
in questi anni hanno avuto paura della rete, per la sensazione che sia più
veloce di loro, che sia fuori controllo e faccia vincere la superficialità e il
sensazionalismo. Occorre invece che il giornalista approfondisca le sue
categorie di lettura della realtà, senza farsi guidare dalla rete. La chiave
vincente della professione oggi è contesti e contenuti.
Vivace scambio di esperienza
Se il convegno è servito a indicare la linea dei prossimi anni per la Chiesa
italiana: evangelizzazione nei media e con i media, attenzione ai contesti
locali, comunicazioni sociali integrate nei piani pastorali – i lavori hanno
permesso anche un vivace e ampio scambio di esperienze, consentendo una
conoscenza più approfondita di quanto accade nel variegato mondo cattolico
italiano. Ad esempio don Mauro Gallo, rettore del seminario di Potenza, ha
notato che è imprescindibile aiutare i seminaristi a maturare un atteggiamento
corretto verso la Rete, perché anche loro come tutti i giovani sono catturati
dai social network. «I seminaristi del mio seminario – dice don Gallo – hanno un
profilo su facebook così come quasi tutti i giovani. Questo ci deve spingere,
come cattolici, a essere presenti ma con la capacità di dare una proposta
differente. Da qui la scelta di organizzare nel cammino di formazione dei nostri
seminaristi due incontri proprio sul ruolo delle nuove tecnologie della
comunicazione».
Tra le altre esperienze, spazio è stato dato a «Rebecca libri», un portale web,
che nasce a Bologna nel 2005, su iniziativa di S.Paolo, Paoline, Messaggero di
Sant’Antonio, Elledici e Dehoniane. Si tratta di un consorzio che ha come
obiettivo di dare voce alle editrici cattoliche e alle piccole case editrici.
Primo obiettivo del progetto: portare l’editoria cattolica in Arianna, realtà di
collegamento tra editori e distributori. Oggi Rebecca libri, attraverso Arianna,
porta i titoli religiosi nelle librerie laiche. A questo si affianca l’attività
di formazione, rivolta ai responsabili delle librerie così come a chi desidera
aprirne di nuove.
Le sale della comunità
E si è parlato, tra le molte iniziative fatte conoscere, anche delle sale della
comunità, esperienza raccontata da Stefano Tonini, rappresentante di Microcinema,
il primo network italiano di sale digitali, nato nel 1997 con il supporto
tecnologico del centro ricerche e innovazione tecnologica della Rai di Torino
per dare visibilità alle opere d’autore. Microcinema, partner di riferimento per
esercenti e distributori, gestisce i contenuti diretti alle sale
cinematografiche diffondendo cultura e offrendo nuovi servizi tramite la
tecnologia digitale e la trasmissione via satellite.
«Nel 2008 – ha detto Tonini – abbiamo risposto a uno stimolo dell’Acec
(Associazione Cattolica Esercenti Cinema) e abbiamo trasformato la nostra realtà
in digitale, scelta che ci consente oggi di offrire un catalogo online di film,
corsi e spettacoli di nicchia, spesso penalizzati dalle regole della
distribuzione. Al network sono collegate 200 sale di comunità sparse in tutto il
territorio nazionale e propongono dei multi eventi in alta qualità con una
programmazione quotidiana, spesso scelta dai frequentatori».
Tra le esperienza straniere molta eco ha avuto quella di don Roderick Vonhogen,
parroco olandese fondatore di The Star Quest Production, un network capace di
raggiungere 250 mila persone. Nella sua testimonianza il sacerdote ha suggerito
sette consigli per l’evangelizzazione nei nuovi media. I primi due sono appunto
la volontà di andare incontro all’ascoltatore e la capacità di incuriosire. Da
qui – ha precisato il sacerdote – la decisione di organizzare programmi che,
partendo da fenomeni di massa come Harry Potter e dalla presenza nel romanzo di
simboli religiosi, arrivassero a parlare di fede. La maggior parte delle persone
che seguono questi programmi non è, infatti, cattolica. Tra gli altri consigli:
la necessità di vivere l’evangelizzazione non come un processo statico ma come
un cammino da vivere insieme come gruppo, arrivando così a creare una comunità
o, meglio, una famiglia in cui stimolare la partecipazione degli ascoltatori
perché rappresentano una ricchezza, di cui è necessario prendendosi cura.