Ormai da tempo sono in circolazione i Lineamenta dell’assemblea speciale del
sinodo per il Medio Oriente, annunciato da Benedetto XVI il 19 settembre 2009,
nell’imminenza del sinodo per l’Africa. Tra breve sarà pronto anche
l’Instrumentum laboris, da consegnare ai sinodali. I lavori si svolgeranno dal
10 al 24 ottobre e avrà come tema: La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente:
comunione e testimonianza. “La moltitudine di coloro che erano diventati
credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4, 32).
Articolato in 3 capitoli, il testo dei Lineamenta propone 32 domande ai vescovi
e alle Chiese orientali cattoliche. Dalle rispettive risposte che dovrebbero
giungere alla segreteria generale del sinodo dopo la solennità di Pasqua sarà
predisposto l'Instrumentum laboris, il documento di lavoro dell'assise sinodale,
che il papa consegnerà ai rappresentanti delle Chiese orientali durante la sua
visita a Cipro dal 4 al 6 giugno 2010.
L’obiettivo dell’assemblea sinodale è duplice: confermare i cristiani nella loro
identità mediante la Parola e i sacramenti, e ravvivare la comunione ecclesiale
tra le chiese particolari (cattoliche e non), affinché possano offrire una
testimonianza di vita cristiana autentica, in un ambiente dove convivono da
tanti secoli, cristiani, musulmani ed ebrei.
Il piccolo gregge
Il primo capitolo dei Lineamenta presenta una nota realistica sulla situazione
religiosa e sociale in cui versano i cristiani in Medio Oriente, la cui presenza
risale all’epoca apostolica. La loro configurazione attuale porta i segni delle
divisioni che avvennero dopo i concili di Efeso e Calcedonia, con la separazioni
degli assiri, copti, armeni e siri. Le divisioni culminano nel grande scisma del
1054 che separò l’oriente ortodosso dall’occidente cattolico. La Chiesa maronita
costituisce un unicum, perché è la sola ad aver mantenuto la propria unità in
seno alla Chiesa cattolica. Il patriarcato latino di Gerusalemme, istituito con
le crociate, fu ristabilito nel XIX secolo. Oggi le Chiese cattoliche d’Oriente
sono sette, in maggioranza arabe o arabizzate.
Il numero dei cristiani si ridusse drasticamente in Medio Oriente nell’ultimo
secolo in seguito alle migrazioni per ragioni economiche e politiche dalla metà
del XIX secolo, e soprattutto per motivi religiosi dopo la crescita dell’islam
politico a partire dal 1970. Le percentuali vanno da meno dell’1% (Iran,
Turchia) al 10% (Egitto). Il Libano costituisce un’eccezione, in quanto si stima
– in assenza di censimenti ufficiali – che i cristiani siano tra il 40 e il 50 %
della popolazione.
Il panorama politico
Una panoramica breve su alcuni paesi in Medio Oriente ci permette di mettere a
fuoco meglio le sfide e le difficoltà che i cristiani affrontano.
La Palestina offre uno scenario difficile sin dall’istituzione dello stato
d’Israele nel 1948. L’occupazione israeliana dei territori palestinesi, le
restrizioni sugli spostamenti, e in fine il recente ghetto creato dal muro di
Betlemme «rende difficile la vita quotidiana per la libertà di movimento,
l’economia e la vita religiosa» e spinge i cristiani a cercare vie di fuga verso
una vita più dignitosa.
In Iraq, l’invasione americana nel 2003 ha spinto circa 2 milioni di persone a
fuggire nei paesi limitrofi. Tra questi ci sono circa 150mila cristiani che
hanno scelto la via dell’esilio per sfuggire all’assenza di sicurezza che è il
principale problema del paese. Secondo recenti dati rilasciati dall’episcopato
caldeo, dal 2005 a oggi hanno perso la vita in attentati più di 750 fedeli . I
Lineamenta scrivono che «i cristiani sono stati tra le vittime principali (della
guerra) in quanto rappresentano la comunità irachena più esigua e debole, e la
politica mondiale non ne tiene alcun conto».
In Libano, i cristiani sono profondamente divisi sul piano politico e
confessionale e nessuno ha un progetto che possa essere accettato da tutti.
Mentre in Egitto, la crescita dell’islam politico, da una parte, e il disimpegno
civile dei cristiani, dall’altra, rendono la loro vita esposta all’intolleranza,
alla disuguaglianza e all’ingiustizia. In Turchia, il concetto attuale di
laicità pone ancora dei problemi alla piena libertà religiosa del paese.
La crescita dell’islam politico
I Lineamenta non trascurano un dato fondamentale e relativamente nuovo sulla
scena mediorientale: la crescita dell’islam politico e fondamentalista. La
rivoluzione islamica in Iran ha trasmesso il contagio della politicizzazione
dell’islam, una religione che non scinde pratica religiosa e potere politico (dīn
wa dunya). Per le nuove correnti dell’islam, «la causa di tutti i mali è
l’allontanamento dall’Islam. La soluzione, quindi, è il ritorno all’islam delle
origini. Di qui lo slogan: l’islam è la soluzione» . Tanti non esitano a imporre
questa soluzione con la violenza.
Nella maggior parte di questi paesi (esclusi Israele e Libano), il governo è
musulmano, e la libertà di coscienza non è contemplata perché – come chiariscono
i Lieamenta - «in Oriente, la religione è, in generale, una scelta sociale e
perfino nazionale, non individuale. Cambiare religione è ritenuto un tradimento
alla società, alla cultura e alla nazione costruita principalmente su una
tradizione religiosa».
Davanti alla situazione di diffusa islamizzazione del potere politico, e
dell’abbandono da parte dell’Occidente, i cristiani in Medio Oriente si trovano
davanti a tre scelte estreme: accettare la marginalizzazione, o convertirsi
all’islam per convenienza, o emigrare all’estero (un’opzione alla portata di
pochi).
La comunione
ecclesiale
I Lineamenta si sforzano nel secondo e terzo capitolo di proporre strategie e
soluzioni che permettono ai cristiani di uscire dalla strettoia che li vede
incanalati verso le soluzioni prospettate sopra.
Il primo cammino è rivolto ad intra; è una presa di coscienza della necessaria
unità dei cristiani, come opera di testimonianza. Il documento mostra che la
comunione tra i cristiani è già vissuta a livello di scuole, istituti
d’istruzione superiore, ospedali, opere caritative. Queste istituzioni accolgono
tutti i cristiani indistintamente. E spesso i cattolici dei diversi riti
praticano la loro fede nella chiesa più vicina, pur rimanendo fedeli alla
propria comunità confessionale. Davanti a questo ecumenismo vissuto, i
Lineamenta invitano a «ritrovare il modello della comunità primitiva quale si
rispecchia nel libro degli Atti (cf. 4,32-34).
Testimonianza e dialogo
Il terzo capitolo si concentra sulla testimonianza cristiana ad extra. Esso
avverte innanzitutto la necessità che l’attività delle Chiese sul territorio (in
campo educativo o caritativo) non sia ridotta all’aspetto professionale, ma sia
«una testimonianza d’amore disinteressato che invita a conoscerne la fonte
evangelica». Per tale motivo, si rende urgente la vita di fede personale e
comunitaria, la conoscenza della Bibbia e della propria tradizione ecclesiale.
In linea con i ripetuti inviti di Benedetto XVI, il testo invita a usufruire
delle potenzialità dei nuovi media affermando: «I nuovi mezzi di comunicazione
sono molto efficaci per testimoniare il Vangelo: Internet (in particolare per i
giovani), radio e televisione, ma da noi sono ancora troppo poco utilizzati.
Segnaliamo due media cattolici libanesi: «La Voix de la Charité» (Sawt
al-Mahabba) e TéléLumière/Noursat, diffusi in tutto il Medio Oriente e anche nel
resto del mondo. Essi meriterebbero di essere maggiormente sostenuti, al pari
degli altri centri d’informazione cattolici nei nostri paesi».
Rapporti con l’ebraismo e l’islam
In un’intervista recente all’Agenzia Sir, l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons.
Louis Sako ha affermato: «Senza il dialogo con l'islam non abbiamo futuro, e lo
stesso vale con l’ebraismo. Le chiese mediorientali possono, anch’esse, favorire
una giusta soluzione al problema israelo-palestinese. È importante che i
cristiani orientali rimangano in questa regione, essi fanno parte della grande
eredità della Chiesa universale, la loro fuga all’estero è una perdita notevole
per tutta la Chiesa».
Dato il conflitto vigente tra Israele e i paesi limitrofi, il documento constata
che il dialogo tra i cristiani e gli ebrei «è poco sviluppato», e invita a
tenere presenti tre distinti aspetti: umano, religioso e politico. Sui primi
due, il dialogo parte dalla comune dignità dell’uomo creato a immagine di Dio, e
dal patrimonio che accomuna cristiani ed ebrei. Dal punto di vista politico, il
documento confessa che la relazione con l’ebraismo è ancora segnata da una
«situazione d’ostilità» politica e religiosa, spiegando che causa di
quest’ostilità è «l’occupazione da parte d’Israele dei Territori Palestinesi e
di qualche territorio libanese e siriano».
I Lineamenta si fanno portavoce degli appelli di Benedetto XVI il quale durante
la sua visita in terra santa ha invitato Israele al ritiro dai territori
palestinesi per permettere ai due popoli di «vivere in pace in una patria che
sia la loro, all’interno di confini sicuri e internazionalmente riconosciuti».
Il documento sollecita ad «adoperarsi per creare gruppi d’amicizia e di
riflessione in vista della pace tra ebrei, musulmani e cristiani», e, citando
Giovanni Paolo II, ricorda che «non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia
senza perdono».
Per quando riguarda i rapporti con i musulmani, i Lineamenta offrono due
prospettive complementari: la lingua e nazionalità condivise tra musulmani e
cristiani; e il ruolo di testimonianza di questi ultimi. Questa «doppia
cittadinanza» dei cristiani – per usare un’espressione di sant’Agostino – è
fonte di difficoltà per loro, in quanto la mancanza di distinzione tra religione
e politica nell’islam «relega spesso i cristiani in una posizione di non
cittadinanza» come ha notato il segretario generale del sinodo dei vescovi, mons
Nikola Eterović .
Il mezzo più efficace per superare i pregiudizi e ripristinare la secolare
convivenza tra cristiani e musulmani è il dialogo. Conoscersi reciprocamente è
la base di ogni dialogo che va «dal buon vicinato alla collaborazione più
franca, al livello d’individui e gruppi delle due religioni». In quest’ambito,
le scuole e le istituzioni cristiane sono un’occasione per conoscersi meglio
reciprocamente, e per dissipare i pregiudizi.
Due sfide: pace e speranza
La fede e la presenza rende i cristiani testimoni privilegiati della pace; è una
grande sfida in un contesto pervaso da continui conflitti. Il servizio per la
pace si traduce nella responsabilità di costruire e risanare la società. I
cristiani convivono da secoli con tutte le correnti musulmane e possono essere
fautori d’unità nelle loro nazioni e mediatori privilegiati di dialogo tra
Occidente e Oriente.
I cristiani, inoltre, sono testimoni della speranza. «La speranza – ricordano i
Lineamenta – significa, da un lato, riporre la propria fiducia in Dio e nella
Provvidenza divina che veglia sul corso della storia di tutti i popoli;
dall’altro, vuol dire agire con Dio, essere “collaboratori di Dio” (1 Cor 3,9),
fare il possibile per contribuire a questa evoluzione in cammino». La coscienza
di minoranza dei cristiani è sorretta dalla speranza che viene dalla voce del
Pastore: «Non temere, piccolo gregge» (Lc 12,32). Appoggiandosi sulla loro fede,
il loro impegno e il sostegno della Chiesa universale, i cristiani del Medio
Oriente possono credere ancora che la loro presenza non è invecchiata, ma che
può conservare la sua giovinezza.