L’obiettivo di questa riflessione si limita a gettare un duplice sguardo su
di essa: uno sguardo sul suo presente per cogliere i fatti più significativi che
l’affliggono; uno sguardo sul suo futuro per individuare i cammini da percorrere
in risposta alle sfide che la interpellano. La suddetta riflessione prende in
considerazione non le forme nuove di vita consacrata (VC), ma quelle giunte dal
passato.
Uno sguardo sul presente
I fatti più rilevanti che affliggono oggi la VC mi sembrano i seguenti:
- il calo numerico progressivo e allarmante delle vocazioni. Esso va attribuito
a vari fattori, soprattutto a tre: la progressiva scristianizzazione in atto; i
modelli e gli ideali culturali della società secolarizzata; la riduzione
notevole, anche se comprensibile, della natalità. Questo calo numerico sta
producendo sempre più mancanza di ricambio generazionale, con conseguente
abbandono di servizi pastorali e sociali svolti fino ad oggi.
– L’invecchiamento progressivo e generalizzato degli attuali consacrati, il
quale sta provocando: una conseguente diminuzione dei componenti in grado di
portare avanti le attuali opere apostoliche e umanitarie; un attivismo sfrenato
nei servizi apostolici e umanitari da parte dei consacrati/e ancora efficienti;
una caduta di speranza, generatrice di tanta tristezza.
– L’impegno assunto nella promozione delle vocazioni, finalizzato soprattutto a
coprire vuoti e garantire il futuro istituzionale. La promozione delle vocazioni
è assolutamente legittima; essa però è destinata al fallimento se cerca
primariamente pezzi di ricambio istituzionali. Non va scordato che tale
promozione delle vocazioni va fatta, soprattutto, mostrando una vita veramente
evangelica, in grado di convocare quei giovani e quelle giovani che cercano
luoghi per la sequela radicale di Gesù! Quante volte può succedere che una
comunità debba onestamente dire a questi giovani con il suo vissuto: “Qui non
possiamo offrirvi radicalità evangelica, cercate altrove!”.
– Il moltiplicarsi di documenti sulla VC, sia nella Chiesa come all’interno dei
singoli istituti, i quali esprimono preminentemente ciò che vorremmo fosse la
VC, non quello che realmente è. Il rinnovamento non è automatico. Va rilevato,
inoltre, che tali documenti, spesso e per moltissimi consacrati/e, restano
“lettera morta”.
– Il ritorno al “carisma fondativo” ha determinato ampi studi sulle origini dei
singoli istituti di VC. Però, non va dimenticato che un carisma è vivo nella
misura in cui è attualizzato e contestualizzato.
– L’esigenza di rinvigorire pazientemente una coscienza ecclesiale idonea a far
vivere l’indissolubile rapporto tra “vita consacrata e chiesa locale” , uscendo
sempre più da una mentalità e prassi d’istituto piuttosto chiuse in loro stesse
, che portano all’isolamento dentro la chiesa locale. In proposito, non va
scordato quanto si legge in La vita fraterna in comunità: “È giunto il momento
di... dare un ulteriore impulso allo spirito di vera comunione tra comunità
religiosa e chiesa particolare” (60).
- La presenza, ancora invadente, di una concezione dell’identità della VC
superata. Infatti, oggi, nella comune mentalità dei consacrati tale identità
viene identificata nella professione dei voti di castità, obbedienza, povertà.
Un segno visibile? L’espressione corrente: “professione dei voti”, “rinnovo
della professione dei voti” ecc. Ciò sta a dire che si è fermi a una concezione
dell’identità della VC dei secoli scorsi, una concezione superata: dalla Lumen
gentium del Vaticano II, dall’esortazione apostolica post-sinodale Vita
consecrata, dall’istruzione della CIVCSVA Ripartire da Cristo. Alla luce di tali
documenti, l’espressione giusta è: “professione di vita consacrata”, “rinnovo
della professione di vita consacrata”.
– La necessità improcrastinabile di dare priorità alla testimonianza di vita
evangelica, la quale si pone come il compito prioritario dei consacrati. In
proposito, Benedetto XVI, nel discorso tenuto all’udienza dei superiori e delle
superiore generali degli istituti di VC e delle società di VA il 22 maggio 2007,
ha rilevato: «la cultura secolarizzata è penetrata nella mente e nel cuore di
non pochi consacrati, che la intendono come una forma di accesso alla modernità
e una modalità di approccio al mondo contemporaneo. La conseguenza è che ... la
vita consacrata conosce oggi l’insidia della mediocrità, dell’ imborghesimento e
della mentalità consumistica». Pertanto, sottolinea il papa, «c’è bisogno di
scelte coraggiose, a livello personale e comunitario, che imprimano una nuova
disciplina alla vita delle persone consacrate e le portino a riscoprire la
dimensione totalizzante della sequela Christi», poiché esse «hanno il compito di
essere testimoni della trasfigurante presenza di Dio in un mondo sempre più
disorientato e confuso». Pertanto, occorre che il vissuto dei consacrati si
faccia proposta – credibile, avvincente, contagiosa – di uno stile evangelico di
vita, che sia in grado di “parlare” alla nostra società, nella quale Dio viene
sempre più accantonato in tanti modi.
– La necessità di vivificare la vita fraterna in comunità, offerta al mondo come
valore, stile, metodo del vivere insieme secondo Dio e come risposta a quanto
proposto da Gesù: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi
una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).
Uno sguardo sul futuro
Lo sguardo sul futuro della VC è finalizzato a individuare i cammini da
percorrere, quale risposta alle sfide che la interpellano. Sono parecchie le
sfide che le vengono oggi, sia dal di dentro che dal di fuori. Ne sottolineo
alcune, precisamente quelle che mi sembrano maggiormente evidenziate dai più
recenti documenti del magistero gerarchico ecclesiale.
1 - Ricuperare la vera identità della vc
La prima sfida sta nell’esigenza di acquisire una forte e limpida consapevolezza
dell’identità della VC, sulla quale l’esortazione Vita consecrata ha compiuto
una scelta chiara tra le due correnti ancora in atto: quella biblico-patristica,
che pone il fondamento e l’identità della vita consacrata in uno “stare con
Cristo”, implicante la totale condivisione del suo vissuto terreno (Mc 3,
13-15); quella della grande scolastica, che, compiendo una involuzione, àncora
il fondamento e l’identità della VC ai tre voti di castità-povertà-obbedienza.
Ora, l’esortazione VC afferma che “l’essenza della vita consacrata” consiste
nell’imitare, «in modo stabile e radicale, la forma di vita così come è stata
vissuta da Cristo stesso» . Di conseguenza, ciò che è primordiale è la piena
configurazione reale della vita terrena a quella di Cristo, «fino a poter dire
con l’Apostolo: “Per me il vivere è Cristo” (Fil 1, 21)» . Questa totale
conformità a Cristo – implicante una profonda comunione con lui – è
l’innanzi-tutto della VC, la sua carta d’identità, la quale si pone come la
risposta appropriata all’interrogativo “Consacrato, chi sei?”: un discepolo di
Cristo, che – in coscienza e in libertà – ha accolto da Dio, sotto l’azione del
suo Spirito, il “progetto di vita” di Gesù di Nazareth come il proprio “progetto
d’esistenza”, assunto e realizzato in fedeltà dinamica al carisma fondativo.
In questa prospettiva cristica della VC, i tre voti non rappresentano il suo
fondamento biblico-teologico e la sua costitutiva configurazione; invece, sono
gli elementi emblematici derivanti dall’impegno di conformare la propria vita
con la vita casta, povera e obbediente di Cristo... ma non ne esauriscono le
esigenze. Infatti, afferma il papa, «i consigli evangelici, con i quali Cristo
invita alcuni a condividere la sua esperienza di vergine, povero e obbediente,
richiedono e manifestano, in chi li accoglie, il desiderio esplicito di totale
conformazione a Lui» . Pertanto, il paradigma supremo della VC in tutte le sue
forme non sono i voti, ma la vita storica di Cristo nella quale s’innestano i
voti come tipica e permanente ‘visibilità’ in mezzo al mondo dei tratti
caratteristici di Gesù vergine, povero ed obbediente , perciò come
esplicitazione delle esigenze scaturenti dallo “stare con Cristo” . Colti i voti
in quest’ottica cristocentrica, si comprende quanto ribadisce l’esortazione VC:
«nella vita consacrata la consacrazione battesimale è portata a una risposta
radicale nella sequela di Cristo» (14). «È questo il motivo per cui nella
tradizione cristiana si è sempre parlato della ‘obiettiva eccellenza della vita
consacrata’» (18).
Per quanto fin qui detto, il consacrato ha bisogno di acquisire una limpida
comprensione dell’identità della VC, perciò della propria identità di
consacrato, compiendo un vero e proprio pellegrinaggio di ricomprensione
biblico-teologica della VC.
2 - Rivitalizzare una vita cristiforme
Rivitalizzare una vita cristiforme è la seconda grande sfida lanciata oggi alla
VC. Tale sfida è stata sottolineata dall’Istruzione del 19 maggio 2002 della
CIVCSVA, intitolata: Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della vita
consacrata nel terzo millennio. Questa proposta nasce dalla nuova comprensione
dell’identità della VC (centrata sul Gesù del vangelo) e dall’esigenza di una
rinnovata qualità di vita cristiforme, individuale e comunitaria, di cui se ne
constata la carenza. Infatti, afferma l’Istruzione RdC che il cammino che la
vita consacrata è chiamata a intraprendere all’inizio del nuovo millennio è
guidato dalla contemplazione di Cristo, con lo “sguardo più che mai fisso sul
volto del Signore” allo scopo di rendere la vita quanto più è possibile
cristiforme. Di conseguenza, l’impegno primordiale dei consacrati sta nella
“adesione conformativa a Cristo dell’intera esistenza” , lasciandosi invadere
dal suo spirito, assimilando la sua scala di valori e la sua sorprendente
logica, adottando i suoi atteggiamenti interiori e i suoi comportamenti,
identificandosi con lui affettivamente fino a riviverne l’esperienza .
Di conseguenza, s’impone un profondo impegno di conversione , perciò di bonifica
del proprio vissuto e del proprio operato , nella piena consapevolezza che con
la immedesimazione conformativa a Cristo, sottolinea Vita consecrata, la vita
consacrata: risponde al suo compito prioritario, che è la chiamata a
un’esistenza «trasfigurata» in Cristo Gesù ; realizza a titolo speciale quella
confessio Trinitatis che caratterizza l’intera vita cristiana ; costituisce
veramente la ‘memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù’ come
Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli . Pertanto, è al di
dentro questa piena “conformità cristica” che il consacrato è chiamato a vivere;
è su di essa che egli ha scommesso, e scommette giorno dopo giorno, la sua vita
; è in essa che egli rende il proprio vissuto, nell’ambiente in cui vive, “sale
della terra” e “luce del mondo” (Mt 5, 13-16), perciò stupisce, inquieta,
lievita, trasforma, innova... diventando “segno evangelico di contraddizione e
profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo” .
3 - Offrire una credibile testimonianza di vita evangelica
L’offerta di una credibile e coinvolgente testimonianza di vita evangelica si
colloca, oggi, tra i grandi apporti richiesti alla VC dalla Chiesa e dalla
nostra società . Infatti, Giovanni Paolo II in nell’esortazione VC sottolinea
che il contributo specifico offerto dai consacrati/e «sta innanzitutto nella
testimonianza di una vita totalmente donata a Dio e ai fratelli, a imitazione
del Salvatore» (76), poiché «la missione, prima di caratterizzarsi per le opere
esteriori, si esplica nel rendere presente al mondo Cristo stesso mediante la
testimonianza personale» (85).
Colta e vissuta in quest’ottica di dono offerto alla Chiesa e alla società, la
testimonianza di vita evangelica viene dichiarata da VC: il suo compito
primario, attuabile sotto l’azione dello Spirito Santo; la prima e
irrinunciabile risposta ai segni dei tempi che oggi la interpellano; la sfida
per eccellenza gettata alla nostra società. Infatti, la richiesta più pressante
che viene dalla società odierna è proprio questa: “vedere con i propri occhi una
vita ove si pratica la novità portata da Cristo Gesù”, poiché – rileva Giovanni
Paolo II nella Redemptoris missio – «l'uomo contemporaneo, l’uomo contro il
quale spesso si punta il dito per condannarlo, crede più ai testimoni che ai
maestri, più all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle
teorie» (62) . Ecco perché Paolo VI, rivolgendosi ai consacrati affermava: «Voi
contribuirete all’estensione del regno di Dio con la testimonianza della vostra
vita», poiché essa possiede “una misteriosa fecondità apostolica” (cf.
Evangelica testificatio 8).
Inserita in questo orizzonte, la testimonianza di vita evangelica è risposta al
compito specifico affidato da Gesù ai suoi discepoli prima della sua ascensione
al cielo: “Sarete miei testimoni fino ai confini della terra” (At 1, 8) e si fa
la prima risposta all’attuazione di una consegna affidata da Gesù ai suoi
discepoli: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le
vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16),
accogliendolo come unico loro Signore. Di conseguenza, occorre ritrovare la
passione di una testimonianza di vita evangelica luminosa-credibile-affascinante
idonea a rendere la propria vita “una lettera di Cristo... scritta non con
inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente” (2Cor 3, 2-3), una lettera
leggibile da tutti e coinvolgente tutti.
4 - Vivificare la vita fraterna in comunità
È questa un’altra sfida a cui rispondere con un vissuto permeato dalla
“spiritualità di comunione”, vale a dire dall’esperienza e dalla testimonianza
di una comunione fraterna vivificata dallo Spirito del Signore e vissuta nello
Spirito del Signore . L’urgenza di questo cammino è fortemente sottolineata da
Ripartire da Cristo, la quale afferma: «Se “la vita spirituale, che opera la
trasfigurazione cristica, deve essere al primo posto” (VC 93)… essa dovrà essere
innanzitutto una spiritualità di comunione» .
Le motivazioni che spiegano questa particolare sottolineatura data alla
spiritualità di comunione sono essenzialmente tre:
a) la comunità religiosa è dono del Signore, fatto a ciascun componente.
Infatti, essa è una comunità di fratelli, che non si sono cercati, non si sono
scelti, non si sono chiamati, ma sono reciprocamente donati dal Signore;
reciprocamente accolti e consegnati nel nome del Signore, costituendo “una vera
famiglia adunata nel nome del Signore” . Pertanto, la comunità dei consacrati è
un vivere insieme imperniato sulla “comunione di vita, di preghiera e di
apostolato, quale componente essenziale e distintiva della forma di vita
consacrata” . Ne deriva che la realizzazione dei religiosi e religiose passa
attraverso le loro comunità ed è alimentata da una profonda spiritualità
condivisa;
b) la spiritualità di comunione si fa risposta adeguata al “sogno” di Gesù nei
confronti dei suoi discepoli. Questo sogno è stato delineato da lui stesso nella
preghiera rivolta al Padre nell’ultima cena: “Come tu, Padre, sei in me e io in
te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai
mandato” (Gv 17, 21). Questo sogno di Gesù, nella sua formulazione orante, ci
rimanda alla vita di unità delle persone della SS. Trinità, contemplata e
assunta come l’archetipo e il... dinamismo unificante” della propria vita
fraterna . Per la sua peculiare identità, nessuna comunità quanto quella
religiosa è chiamata a essere nella storia “una confessione della Trinità” ,
vale a dire una ripresentazione storica dell’unità intratrinitaria, che rende
vera la propria unità con Dio ;
c) la sfida più immediata gettata alla VC dal nostro tempo (impastato di
incomunicabilità-estraneità-intolleranza-litigiosità-ingiustizie-sopraffazioni-violenze
e, nello stesso tempo, attraversato da un’aspirazione profonda di solidarietà) è
la testimonianza della comunione fraterna come valore-stile-metodo del vivere
insieme secondo il progetto di Dio sull’umanità, proclamandone la sua possibile
realizzazione, pur nella fatica di ogni giorno.
Su tale spiritualià di comunione ha messo l’accento Giovanni Paolo II in VC,
affermando: «alle persone consacrate si chiede di essere davvero esperte di
comunione e di praticarne la spiritualità, come testimoni e artefici di quel
“progetto di comunione” che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio»
(46) e che ha trovato in Cristo-uomo nuovo la sua piena realizzazione.
Non va mai scordato, però, che una comunità è tale quale la fanno i suoi
componenti . Questa indiscussa verità, se interiorizzata, apre la strada: a
offrire generosamente il proprio contributo, attraverso un quotidiano impegno di
conversione; a capire, agendo di conseguenza, che la comunità va servita e amata
per quello che è e vuole essere in fedeltà al Vangelo, prima di avanzare pretese
nei suoi confronti; a rendersi conto che il gravame del proprio individualismo
(teso a ritagliarsi margini sempre più ampi per se stesso) inquina l’atmosfera
comunitaria, rendendola faticosamente vivibile; a interrogare sinceramente se
stessi, verificando l’apporto che si dà, prima di puntare il dito contro gli
altri, condannandoli.
5 - Profondamente inseriti nella chiesa locale
La comunità dei consacrati, afferma VFC, «esiste per la Chiesa, per significarla
e arricchirla, per renderla più atta a svolgere la sua missione» (2c),
consapevoli che “VC e chiesa particolare sono fatti... per sorreggersi e
completarsi” al di dentro di “una feconda e ordinata comunione ecclesiale” ,
alimentata da una crescente mentalità e spiritualità di comunione vivificate da
un costante dialogo fra tutti i vari soggetti ecclesiali . Pertanto,
l’esortazione VC annota: «la Chiesa affida alle comunità di vita consacrata il
particolare compito di far crescere la spiritualità della comunione», auspicando
la crescita in tutti della mentalità e della spiritualità di comunione .
La messa in atto di questo compito chiede di assumere alcuni impegni:
a) sentirsi Chiesa, vivendo non solo con, ma dentro la Chiesa , testimoniando la
propria effettiva e cordiale appartenenza ad essa, particolarmente alla famiglia
diocesana , attraverso una più proficua partecipazione organica, fatta di
corresponsabilità e complementarietà ;
b) porsi nella Chiesa come dono di Dio fatto ad essa , perciò come realtà che
non si appartiene, ma appartiene alla Chiesa stessa. Pertanto, ciò che deve
caratterizzare il rapporto con la Chiesa è la logica del dono totale di sé,
accogliendo l’esortazione di Giovanni Paolo II indirizzata ai consacrati:
«Mediante tutto ciò che fate, e soprattutto mediante tutto ciò che siete, sia
proclamata e riconfermata la verità che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se
stesso per lei” (Ef 5, 25)» ;
c) edificare la Chiesa, promovendo in tutti la ecclesiologia di comunione, la
quale, tra l’altro, implica: che si alimenti la cultura della reciprocità, della
valorizzazione dei vari soggetti ecclesiali nella loro specificità, della
comunicazione, della partecipazione e del discernimento comunitario ; che si
incentivi la “pastorale d’insieme” nella “complementarietà ministeriale”.
6 - Acquisire un’alta “significatività territoriale”
Ogni comunità di consacrati vive e opera al di dentro di uno specifico
territorio. Perché inserita in un determinato territorio, essa è chiamata: a
radicarsi nel contesto locale in cui vive, sentendosi ‘dentro’ e ‘parte’ di
esso; ad approfondire la conoscenza dei problemi, delle attese, delle domande,
dei bisogni della gente che vive nel territorio; ad acquisire capacità di
dialogare con la realtà circostante, con le istituzioni sociali e culturali del
territorio; a farsi punto di riferimento per iniziative sul versante
sociale-culturale-religioso; a rendersi capace e disponibile di porsi al
servizio per animare, motivare, sostenere le scelte di molti operatori laici; a
offrire una triplice diaconia: la diaconia della fede (tramite una trasparente
testimonianza di vita evangelica), la diaconia della carità (variamente
espressa), la diaconia della speranza fondata nella presenza amorevole e
onnipotente di Dio nella storia umana.
Si tratta di rendere la propria presenza in mezzo agli altri simile a quella di
Gesù, con i gesti del suo amore: una presenza che sa farsi segno e trasparenza
dell’amore di Dio; una presenza che ci rende ‘offertorio vivente’, implicante lo
stare in mezzo agli altri come Gesù è stato in mezzo a noi: “Io sto in mezzo a
voi come colui che serve” (Lc 22, 27); una presenza che rompe ogni barriera e
frantuma ogni schieramento per accogliere tutti; una presenza che non rifiuta
mai a nessuno la propria solidarietà variamente espressa, da cui attingere
speranza e forza di vita.
Occorre, pertanto acquisire un’alta significatività territoriale, la quale
rappresenta un criterio di verifica della propria qualità di vita e di missione.
7 – Una “spiritualità dei segni dei tempi”
Sull’esigenza di appropriarsi della spiritualità dei segni dei tempi si diffonde
l’esortazione VC (n. 73). Va detto subito che i ‘segni dei tempi’ altro non sono
che situazioni storiche particolarmente rilevanti e provocatorie, le quali si
configurano come una sfida, reclamanti una risposta coraggiosa alla luce del
Vangelo. Per il credente in Cristo esse domandano un approccio di fede,
caratterizzato da alcuni atteggiamenti spirituali, il cui insieme costituisce
appunto la spiritualità dei segni dei tempi. Questi atteggiamenti, secondo VC,
possono essere così enucleati: prendere coscienza delle sfide del proprio tempo;
lasciarsi continuamente interpellare da esse, poiché sono appelli di Dio a
operare secondo i suoi piani con un inserimento attivo e fecondo nelle vicende
del nostro tempo; acquisire piena consapevolezza del loro senso teologico,
mediante il discernimento operato con l’aiuto dello Spirito e condotto alla luce
del Vangelo; elaborare le risposte adeguate ed efficaci da darsi, traducendole
coraggiosamente in scelte coerenti sia col carisma originario che con le
esigenze della situazione storica concreta. Tale spiritualità rappresenta un
grande sentiero da percorrere per il futuro della VC, poiché, tramite i segni
dei tempi, essa è chiamata a elaborare nuove risposte per i nuovi problemi del
mondo d’oggi. «In questo modo la vita consacrata non si limiterà a leggere i
segni dei tempi, ma contribuirà anche a elaborare e attuare ‘nuovi progetti di
evangelizzazione’ per le odierne situazioni» , ridisegnando opere e apostolati
ereditati dal passato.
Conclusione
Certamente, guardando verso il futuro si intravedono difficoltà e prospettive ,
che rendono complesso l’impegno nell’accorciare, attraverso il linguaggio dei
fatti, le distanze tra progettualità ideata e progettualità vissuta.
Ma in questa complessa e difficile navigazione odierna della VC, i consacrati/e:
a) sono chiamati ad accogliere un Dio rivelatosi come colui che “fa nuove sempre
tutte le cose” (Ap 21, 5), perciò come “il sempre oltre”, il quale non può
gradire una VC raggomitolata nel presente, arroccata in posizioni di chiusura,
tantomeno nostalgica del passato. Egli sollecita continuamente a stare in
cammino, a cercare nuove strade per crescere e nuove risposte alle domande
dell’uomo contemporaneo incrociato sul proprio cammino, poiché “le cose di prima
sono passate” (Ap 21, 4);
b) sono stimolati ad accettare dal Signore che anche la VC, come la Chiesa, sia,
oggi, “una vita consacrata dell’esodo”. Dio ci sta portando nel deserto... e
questo sarà il luogo della rinascita qualitativa della VC in tutte le sue
espressioni fondamentali. Se così è, appare irrinunciabile (in questo momento)
vivere la “spiritualità dell’esodo”, disponendoci con più libertà e con più
fiducia (perciò, con più distacco e coraggio) al nuovo cammino che ci viene
chiesto dal Signore, pur dentro a tutte le avversità del deserto. Si tratta di
camminare sorretti dalle tre certezze dell’Esodo: Dio è in mezzo a noi; Dio è
all’opera con noi; Dio sta guidando i nostri passi verso la terra promessa. Con
queste certezze di fede si fa crescere e si sparge ‘speranza’ dentro e fuori di
noi: quella speranza che viene celebrata dalle parole consolanti del nostro Dio:
“Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete!... Irrobustite le mani
fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti”, poiché “vedrete la gloria del
Signore, la magnificenza del nostro Dio” (Is 35, 2-4);
c) sono sollecitati da Giovanni Paolo II, nella conclusione di VC, a guardare al
futuro “nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi”
(110). Anche RdC invita a guardare avanti e in alto (46). Si tratta, allora, di
costruire il presente guardando il futuro, coniugando in unità
memoria-esperienza-profezia;
d) non possono scordare una promessa di Gesù: “Avrete forza dallo Spirito” (Gv
16,13), colui il quale rende sempre attuale la visione di Ez 37, 1-14 (le ‘ossa
aride’ che riacquistano vigore). Ecco perché davanti a noi sta un futuro di
speranza. Pertanto, i grandi cambiamenti storico-culturali-sociali odierni se si
sperimentano come momento di crisi, sono pure tempo di grazia.