L’obiettivo di questa riflessione si limita a gettare un duplice sguardo su di essa: uno sguardo sul suo presente per cogliere i fatti più significativi che l’affliggono; uno sguardo sul suo futuro per individuare i cammini da percorrere in risposta alle sfide che la interpellano. La suddetta riflessione prende in considerazione non le forme nuove di vita consacrata (VC), ma quelle giunte dal passato.

Uno sguardo sul presente


I fatti più rilevanti che affliggono oggi la VC mi sembrano i seguenti:
- il calo numerico progressivo e allarmante delle vocazioni. Esso va attribuito a vari fattori, soprattutto a tre: la progressiva scristianizzazione in atto; i modelli e gli ideali culturali della società secolarizzata; la riduzione notevole, anche se comprensibile, della natalità. Questo calo numerico sta producendo sempre più mancanza di ricambio generazionale, con conseguente abbandono di servizi pastorali e sociali svolti fino ad oggi.
– L’invecchiamento progressivo e generalizzato degli attuali consacrati, il quale sta provocando: una conseguente diminuzione dei componenti in grado di portare avanti le attuali opere apostoliche e umanitarie; un attivismo sfrenato nei servizi apostolici e umanitari da parte dei consacrati/e ancora efficienti; una caduta di speranza, generatrice di tanta tristezza.
– L’impegno assunto nella promozione delle vocazioni, finalizzato soprattutto a coprire vuoti e garantire il futuro istituzionale. La promozione delle vocazioni è assolutamente legittima; essa però è destinata al fallimento se cerca primariamente pezzi di ricambio istituzionali. Non va scordato che tale promozione delle vocazioni va fatta, soprattutto, mostrando una vita veramente evangelica, in grado di convocare quei giovani e quelle giovani che cercano luoghi per la sequela radicale di Gesù! Quante volte può succedere che una comunità debba onestamente dire a questi giovani con il suo vissuto: “Qui non possiamo offrirvi radicalità evangelica, cercate altrove!”.
– Il moltiplicarsi di documenti sulla VC, sia nella Chiesa come all’interno dei singoli istituti, i quali esprimono preminentemente ciò che vorremmo fosse la VC, non quello che realmente è. Il rinnovamento non è automatico. Va rilevato, inoltre, che tali documenti, spesso e per moltissimi consacrati/e, restano “lettera morta”.
– Il ritorno al “carisma fondativo” ha determinato ampi studi sulle origini dei singoli istituti di VC. Però, non va dimenticato che un carisma è vivo nella misura in cui è attualizzato e contestualizzato.
– L’esigenza di rinvigorire pazientemente una coscienza ecclesiale idonea a far vivere l’indissolubile rapporto tra “vita consacrata e chiesa locale” , uscendo sempre più da una mentalità e prassi d’istituto piuttosto chiuse in loro stesse , che portano all’isolamento dentro la chiesa locale. In proposito, non va scordato quanto si legge in La vita fraterna in comunità: “È giunto il momento di... dare un ulteriore impulso allo spirito di vera comunione tra comunità religiosa e chiesa particolare” (60).
- La presenza, ancora invadente, di una concezione dell’identità della VC superata. Infatti, oggi, nella comune mentalità dei consacrati tale identità viene identificata nella professione dei voti di castità, obbedienza, povertà. Un segno visibile? L’espressione corrente: “professione dei voti”, “rinnovo della professione dei voti” ecc. Ciò sta a dire che si è fermi a una concezione dell’identità della VC dei secoli scorsi, una concezione superata: dalla Lumen gentium del Vaticano II, dall’esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata, dall’istruzione della CIVCSVA Ripartire da Cristo. Alla luce di tali documenti, l’espressione giusta è: “professione di vita consacrata”, “rinnovo della professione di vita consacrata”.
– La necessità improcrastinabile di dare priorità alla testimonianza di vita evangelica, la quale si pone come il compito prioritario dei consacrati. In proposito, Benedetto XVI, nel discorso tenuto all’udienza dei superiori e delle superiore generali degli istituti di VC e delle società di VA il 22 maggio 2007, ha rilevato: «la cultura secolarizzata è penetrata nella mente e nel cuore di non pochi consacrati, che la intendono come una forma di accesso alla modernità e una modalità di approccio al mondo contemporaneo. La conseguenza è che ... la vita consacrata conosce oggi l’insidia della mediocrità, dell’ imborghesimento e della mentalità consumistica». Pertanto, sottolinea il papa, «c’è bisogno di scelte coraggiose, a livello personale e comunitario, che imprimano una nuova disciplina alla vita delle persone consacrate e le portino a riscoprire la dimensione totalizzante della sequela Christi», poiché esse «hanno il compito di essere testimoni della trasfigurante presenza di Dio in un mondo sempre più disorientato e confuso». Pertanto, occorre che il vissuto dei consacrati si faccia proposta – credibile, avvincente, contagiosa – di uno stile evangelico di vita, che sia in grado di “parlare” alla nostra società, nella quale Dio viene sempre più accantonato in tanti modi.
– La necessità di vivificare la vita fraterna in comunità, offerta al mondo come valore, stile, metodo del vivere insieme secondo Dio e come risposta a quanto proposto da Gesù: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).


Uno sguardo sul futuro

Lo sguardo sul futuro della VC è finalizzato a individuare i cammini da percorrere, quale risposta alle sfide che la interpellano. Sono parecchie le sfide che le vengono oggi, sia dal di dentro che dal di fuori. Ne sottolineo alcune, precisamente quelle che mi sembrano maggiormente evidenziate dai più recenti documenti del magistero gerarchico ecclesiale.

1 - Ricuperare la vera identità della vc



La prima sfida sta nell’esigenza di acquisire una forte e limpida consapevolezza dell’identità della VC, sulla quale l’esortazione Vita consecrata ha compiuto una scelta chiara tra le due correnti ancora in atto: quella biblico-patristica, che pone il fondamento e l’identità della vita consacrata in uno “stare con Cristo”, implicante la totale condivisione del suo vissuto terreno (Mc 3, 13-15); quella della grande scolastica, che, compiendo una involuzione, àncora il fondamento e l’identità della VC ai tre voti di castità-povertà-obbedienza.
Ora, l’esortazione VC afferma che “l’essenza della vita consacrata” consiste nell’imitare, «in modo stabile e radicale, la forma di vita così come è stata vissuta da Cristo stesso» . Di conseguenza, ciò che è primordiale è la piena configurazione reale della vita terrena a quella di Cristo, «fino a poter dire con l’Apostolo: “Per me il vivere è Cristo” (Fil 1, 21)» . Questa totale conformità a Cristo – implicante una profonda comunione con lui – è l’innanzi-tutto della VC, la sua carta d’identità, la quale si pone come la risposta appropriata all’interrogativo “Consacrato, chi sei?”: un discepolo di Cristo, che – in coscienza e in libertà – ha accolto da Dio, sotto l’azione del suo Spirito, il “progetto di vita” di Gesù di Nazareth come il proprio “progetto d’esistenza”, assunto e realizzato in fedeltà dinamica al carisma fondativo.
In questa prospettiva cristica della VC, i tre voti non rappresentano il suo fondamento biblico-teologico e la sua costitutiva configurazione; invece, sono gli elementi emblematici derivanti dall’impegno di conformare la propria vita con la vita casta, povera e obbediente di Cristo... ma non ne esauriscono le esigenze. Infatti, afferma il papa, «i consigli evangelici, con i quali Cristo invita alcuni a condividere la sua esperienza di vergine, povero e obbediente, richiedono e manifestano, in chi li accoglie, il desiderio esplicito di totale conformazione a Lui» . Pertanto, il paradigma supremo della VC in tutte le sue forme non sono i voti, ma la vita storica di Cristo nella quale s’innestano i voti come tipica e permanente ‘visibilità’ in mezzo al mondo dei tratti caratteristici di Gesù vergine, povero ed obbediente , perciò come esplicitazione delle esigenze scaturenti dallo “stare con Cristo” . Colti i voti in quest’ottica cristocentrica, si comprende quanto ribadisce l’esortazione VC: «nella vita consacrata la consacrazione battesimale è portata a una risposta radicale nella sequela di Cristo» (14). «È questo il motivo per cui nella tradizione cristiana si è sempre parlato della ‘obiettiva eccellenza della vita consacrata’» (18).
Per quanto fin qui detto, il consacrato ha bisogno di acquisire una limpida comprensione dell’identità della VC, perciò della propria identità di consacrato, compiendo un vero e proprio pellegrinaggio di ricomprensione biblico-teologica della VC.

2 - Rivitalizzare una vita cristiforme

Rivitalizzare una vita cristiforme è la seconda grande sfida lanciata oggi alla VC. Tale sfida è stata sottolineata dall’Istruzione del 19 maggio 2002 della CIVCSVA, intitolata: Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della vita consacrata nel terzo millennio. Questa proposta nasce dalla nuova comprensione dell’identità della VC (centrata sul Gesù del vangelo) e dall’esigenza di una rinnovata qualità di vita cristiforme, individuale e comunitaria, di cui se ne constata la carenza. Infatti, afferma l’Istruzione RdC che il cammino che la vita consacrata è chiamata a intraprendere all’inizio del nuovo millennio è guidato dalla contemplazione di Cristo, con lo “sguardo più che mai fisso sul volto del Signore” allo scopo di rendere la vita quanto più è possibile cristiforme. Di conseguenza, l’impegno primordiale dei consacrati sta nella “adesione conformativa a Cristo dell’intera esistenza” , lasciandosi invadere dal suo spirito, assimilando la sua scala di valori e la sua sorprendente logica, adottando i suoi atteggiamenti interiori e i suoi comportamenti, identificandosi con lui affettivamente fino a riviverne l’esperienza .
Di conseguenza, s’impone un profondo impegno di conversione , perciò di bonifica del proprio vissuto e del proprio operato , nella piena consapevolezza che con la immedesimazione conformativa a Cristo, sottolinea Vita consecrata, la vita consacrata: risponde al suo compito prioritario, che è la chiamata a un’esistenza «trasfigurata» in Cristo Gesù ; realizza a titolo speciale quella confessio Trinitatis che caratterizza l’intera vita cristiana ; costituisce veramente la ‘memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù’ come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli . Pertanto, è al di dentro questa piena “conformità cristica” che il consacrato è chiamato a vivere; è su di essa che egli ha scommesso, e scommette giorno dopo giorno, la sua vita ; è in essa che egli rende il proprio vissuto, nell’ambiente in cui vive, “sale della terra” e “luce del mondo” (Mt 5, 13-16), perciò stupisce, inquieta, lievita, trasforma, innova... diventando “segno evangelico di contraddizione e profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo” .

3 - Offrire una credibile testimonianza di vita evangelica

L’offerta di una credibile e coinvolgente testimonianza di vita evangelica si colloca, oggi, tra i grandi apporti richiesti alla VC dalla Chiesa e dalla nostra società . Infatti, Giovanni Paolo II in nell’esortazione VC sottolinea che il contributo specifico offerto dai consacrati/e «sta innanzitutto nella testimonianza di una vita totalmente donata a Dio e ai fratelli, a imitazione del Salvatore» (76), poiché «la missione, prima di caratterizzarsi per le opere esteriori, si esplica nel rendere presente al mondo Cristo stesso mediante la testimonianza personale» (85).
Colta e vissuta in quest’ottica di dono offerto alla Chiesa e alla società, la testimonianza di vita evangelica viene dichiarata da VC: il suo compito primario, attuabile sotto l’azione dello Spirito Santo; la prima e irrinunciabile risposta ai segni dei tempi che oggi la interpellano; la sfida per eccellenza gettata alla nostra società. Infatti, la richiesta più pressante che viene dalla società odierna è proprio questa: “vedere con i propri occhi una vita ove si pratica la novità portata da Cristo Gesù”, poiché – rileva Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio – «l'uomo contemporaneo, l’uomo contro il quale spesso si punta il dito per condannarlo, crede più ai testimoni che ai maestri, più all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie» (62) . Ecco perché Paolo VI, rivolgendosi ai consacrati affermava: «Voi contribuirete all’estensione del regno di Dio con la testimonianza della vostra vita», poiché essa possiede “una misteriosa fecondità apostolica” (cf. Evangelica testificatio 8).
Inserita in questo orizzonte, la testimonianza di vita evangelica è risposta al compito specifico affidato da Gesù ai suoi discepoli prima della sua ascensione al cielo: “Sarete miei testimoni fino ai confini della terra” (At 1, 8) e si fa la prima risposta all’attuazione di una consegna affidata da Gesù ai suoi discepoli: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16), accogliendolo come unico loro Signore. Di conseguenza, occorre ritrovare la passione di una testimonianza di vita evangelica luminosa-credibile-affascinante idonea a rendere la propria vita “una lettera di Cristo... scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente” (2Cor 3, 2-3), una lettera leggibile da tutti e coinvolgente tutti.

4 - Vivificare la vita fraterna in comunità

È questa un’altra sfida a cui rispondere con un vissuto permeato dalla “spiritualità di comunione”, vale a dire dall’esperienza e dalla testimonianza di una comunione fraterna vivificata dallo Spirito del Signore e vissuta nello Spirito del Signore . L’urgenza di questo cammino è fortemente sottolineata da Ripartire da Cristo, la quale afferma: «Se “la vita spirituale, che opera la trasfigurazione cristica, deve essere al primo posto” (VC 93)… essa dovrà essere innanzitutto una spiritualità di comunione» .
Le motivazioni che spiegano questa particolare sottolineatura data alla spiritualità di comunione sono essenzialmente tre:
a) la comunità religiosa è dono del Signore, fatto a ciascun componente. Infatti, essa è una comunità di fratelli, che non si sono cercati, non si sono scelti, non si sono chiamati, ma sono reciprocamente donati dal Signore; reciprocamente accolti e consegnati nel nome del Signore, costituendo “una vera famiglia adunata nel nome del Signore” . Pertanto, la comunità dei consacrati è un vivere insieme imperniato sulla “comunione di vita, di preghiera e di apostolato, quale componente essenziale e distintiva della forma di vita consacrata” . Ne deriva che la realizzazione dei religiosi e religiose passa attraverso le loro comunità ed è alimentata da una profonda spiritualità condivisa;
b) la spiritualità di comunione si fa risposta adeguata al “sogno” di Gesù nei confronti dei suoi discepoli. Questo sogno è stato delineato da lui stesso nella preghiera rivolta al Padre nell’ultima cena: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). Questo sogno di Gesù, nella sua formulazione orante, ci rimanda alla vita di unità delle persone della SS. Trinità, contemplata e assunta come l’archetipo e il... dinamismo unificante” della propria vita fraterna . Per la sua peculiare identità, nessuna comunità quanto quella religiosa è chiamata a essere nella storia “una confessione della Trinità” , vale a dire una ripresentazione storica dell’unità intratrinitaria, che rende vera la propria unità con Dio ;
c) la sfida più immediata gettata alla VC dal nostro tempo (impastato di incomunicabilità-estraneità-intolleranza-litigiosità-ingiustizie-sopraffazioni-violenze e, nello stesso tempo, attraversato da un’aspirazione profonda di solidarietà) è la testimonianza della comunione fraterna come valore-stile-metodo del vivere insieme secondo il progetto di Dio sull’umanità, proclamandone la sua possibile realizzazione, pur nella fatica di ogni giorno.
Su tale spiritualià di comunione ha messo l’accento Giovanni Paolo II in VC, affermando: «alle persone consacrate si chiede di essere davvero esperte di comunione e di praticarne la spiritualità, come testimoni e artefici di quel “progetto di comunione” che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio» (46) e che ha trovato in Cristo-uomo nuovo la sua piena realizzazione.
Non va mai scordato, però, che una comunità è tale quale la fanno i suoi componenti . Questa indiscussa verità, se interiorizzata, apre la strada: a offrire generosamente il proprio contributo, attraverso un quotidiano impegno di conversione; a capire, agendo di conseguenza, che la comunità va servita e amata per quello che è e vuole essere in fedeltà al Vangelo, prima di avanzare pretese nei suoi confronti; a rendersi conto che il gravame del proprio individualismo (teso a ritagliarsi margini sempre più ampi per se stesso) inquina l’atmosfera comunitaria, rendendola faticosamente vivibile; a interrogare sinceramente se stessi, verificando l’apporto che si dà, prima di puntare il dito contro gli altri, condannandoli.

5 - Profondamente inseriti nella chiesa locale

La comunità dei consacrati, afferma VFC, «esiste per la Chiesa, per significarla e arricchirla, per renderla più atta a svolgere la sua missione» (2c), consapevoli che “VC e chiesa particolare sono fatti... per sorreggersi e completarsi” al di dentro di “una feconda e ordinata comunione ecclesiale” , alimentata da una crescente mentalità e spiritualità di comunione vivificate da un costante dialogo fra tutti i vari soggetti ecclesiali . Pertanto, l’esortazione VC annota: «la Chiesa affida alle comunità di vita consacrata il particolare compito di far crescere la spiritualità della comunione», auspicando la crescita in tutti della mentalità e della spiritualità di comunione .
La messa in atto di questo compito chiede di assumere alcuni impegni:
a) sentirsi Chiesa, vivendo non solo con, ma dentro la Chiesa , testimoniando la propria effettiva e cordiale appartenenza ad essa, particolarmente alla famiglia diocesana , attraverso una più proficua partecipazione organica, fatta di corresponsabilità e complementarietà ;
b) porsi nella Chiesa come dono di Dio fatto ad essa , perciò come realtà che non si appartiene, ma appartiene alla Chiesa stessa. Pertanto, ciò che deve caratterizzare il rapporto con la Chiesa è la logica del dono totale di sé, accogliendo l’esortazione di Giovanni Paolo II indirizzata ai consacrati: «Mediante tutto ciò che fate, e soprattutto mediante tutto ciò che siete, sia proclamata e riconfermata la verità che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5, 25)» ;
c) edificare la Chiesa, promovendo in tutti la ecclesiologia di comunione, la quale, tra l’altro, implica: che si alimenti la cultura della reciprocità, della valorizzazione dei vari soggetti ecclesiali nella loro specificità, della comunicazione, della partecipazione e del discernimento comunitario ; che si incentivi la “pastorale d’insieme” nella “complementarietà ministeriale”.

6 - Acquisire un’alta “significatività territoriale”

Ogni comunità di consacrati vive e opera al di dentro di uno specifico territorio. Perché inserita in un determinato territorio, essa è chiamata: a radicarsi nel contesto locale in cui vive, sentendosi ‘dentro’ e ‘parte’ di esso; ad approfondire la conoscenza dei problemi, delle attese, delle domande, dei bisogni della gente che vive nel territorio; ad acquisire capacità di dialogare con la realtà circostante, con le istituzioni sociali e culturali del territorio; a farsi punto di riferimento per iniziative sul versante sociale-culturale-religioso; a rendersi capace e disponibile di porsi al servizio per animare, motivare, sostenere le scelte di molti operatori laici; a offrire una triplice diaconia: la diaconia della fede (tramite una trasparente testimonianza di vita evangelica), la diaconia della carità (variamente espressa), la diaconia della speranza fondata nella presenza amorevole e onnipotente di Dio nella storia umana.
Si tratta di rendere la propria presenza in mezzo agli altri simile a quella di Gesù, con i gesti del suo amore: una presenza che sa farsi segno e trasparenza dell’amore di Dio; una presenza che ci rende ‘offertorio vivente’, implicante lo stare in mezzo agli altri come Gesù è stato in mezzo a noi: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 27); una presenza che rompe ogni barriera e frantuma ogni schieramento per accogliere tutti; una presenza che non rifiuta mai a nessuno la propria solidarietà variamente espressa, da cui attingere speranza e forza di vita.
Occorre, pertanto acquisire un’alta significatività territoriale, la quale rappresenta un criterio di verifica della propria qualità di vita e di missione.

7 – Una “spiritualità dei segni dei tempi”


Sull’esigenza di appropriarsi della spiritualità dei segni dei tempi si diffonde l’esortazione VC (n. 73). Va detto subito che i ‘segni dei tempi’ altro non sono che situazioni storiche particolarmente rilevanti e provocatorie, le quali si configurano come una sfida, reclamanti una risposta coraggiosa alla luce del Vangelo. Per il credente in Cristo esse domandano un approccio di fede, caratterizzato da alcuni atteggiamenti spirituali, il cui insieme costituisce appunto la spiritualità dei segni dei tempi. Questi atteggiamenti, secondo VC, possono essere così enucleati: prendere coscienza delle sfide del proprio tempo; lasciarsi continuamente interpellare da esse, poiché sono appelli di Dio a operare secondo i suoi piani con un inserimento attivo e fecondo nelle vicende del nostro tempo; acquisire piena consapevolezza del loro senso teologico, mediante il discernimento operato con l’aiuto dello Spirito e condotto alla luce del Vangelo; elaborare le risposte adeguate ed efficaci da darsi, traducendole coraggiosamente in scelte coerenti sia col carisma originario che con le esigenze della situazione storica concreta. Tale spiritualità rappresenta un grande sentiero da percorrere per il futuro della VC, poiché, tramite i segni dei tempi, essa è chiamata a elaborare nuove risposte per i nuovi problemi del mondo d’oggi. «In questo modo la vita consacrata non si limiterà a leggere i segni dei tempi, ma contribuirà anche a elaborare e attuare ‘nuovi progetti di evangelizzazione’ per le odierne situazioni» , ridisegnando opere e apostolati ereditati dal passato.

Conclusione


Certamente, guardando verso il futuro si intravedono difficoltà e prospettive , che rendono complesso l’impegno nell’accorciare, attraverso il linguaggio dei fatti, le distanze tra progettualità ideata e progettualità vissuta.
Ma in questa complessa e difficile navigazione odierna della VC, i consacrati/e:
a) sono chiamati ad accogliere un Dio rivelatosi come colui che “fa nuove sempre tutte le cose” (Ap 21, 5), perciò come “il sempre oltre”, il quale non può gradire una VC raggomitolata nel presente, arroccata in posizioni di chiusura, tantomeno nostalgica del passato. Egli sollecita continuamente a stare in cammino, a cercare nuove strade per crescere e nuove risposte alle domande dell’uomo contemporaneo incrociato sul proprio cammino, poiché “le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4);
b) sono stimolati ad accettare dal Signore che anche la VC, come la Chiesa, sia, oggi, “una vita consacrata dell’esodo”. Dio ci sta portando nel deserto... e questo sarà il luogo della rinascita qualitativa della VC in tutte le sue espressioni fondamentali. Se così è, appare irrinunciabile (in questo momento) vivere la “spiritualità dell’esodo”, disponendoci con più libertà e con più fiducia (perciò, con più distacco e coraggio) al nuovo cammino che ci viene chiesto dal Signore, pur dentro a tutte le avversità del deserto. Si tratta di camminare sorretti dalle tre certezze dell’Esodo: Dio è in mezzo a noi; Dio è all’opera con noi; Dio sta guidando i nostri passi verso la terra promessa. Con queste certezze di fede si fa crescere e si sparge ‘speranza’ dentro e fuori di noi: quella speranza che viene celebrata dalle parole consolanti del nostro Dio: “Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete!... Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti”, poiché “vedrete la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio” (Is 35, 2-4);
c) sono sollecitati da Giovanni Paolo II, nella conclusione di VC, a guardare al futuro “nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi” (110). Anche RdC invita a guardare avanti e in alto (46). Si tratta, allora, di costruire il presente guardando il futuro, coniugando in unità memoria-esperienza-profezia;
d) non possono scordare una promessa di Gesù: “Avrete forza dallo Spirito” (Gv 16,13), colui il quale rende sempre attuale la visione di Ez 37, 1-14 (le ‘ossa aride’ che riacquistano vigore). Ecco perché davanti a noi sta un futuro di speranza. Pertanto, i grandi cambiamenti storico-culturali-sociali odierni se si sperimentano come momento di crisi, sono pure tempo di grazia.