Il fatto di poter passare tutti gli anni un periodo di qualche mese in
Burundi, come faccio ormai da tempo, mi permette di vedere l’evolversi della
situazione generale del paese al di là degli avvenimenti quotidiani, che pure
conservano la loro importanza, e di cogliere il mutare dello stato d’animo della
gente di questo piccolo stato nel cuore dell’Africa che rimane sempre
un’incognita, come puzzle di difficile composizione e imprevedibile nelle sue
possibili configurazioni. Anche quest’anno è stato così, e ho potuto rendermi
conto non solo della situazione socio-politica, ma anche di quella ecclesiale,
avendo avuto occasione di incontrare, più che nel passato, un certo numero di
preti burundesi che sono nel ministero diretto e di sentire quindi le loro
preoccupazioni in questo momento. Non mi nascondo che fare il punto della
situazione di un paese come il Burundi risulta sempre un po’ complicato e non
pretendo che questa mia corrispondenza sia qualcosa di più di un quadro a grandi
linee e che pertanto deve essere preso, come si dice, con beneficio
d’inventario.
Le prossime elezioni
Il 2010 è per il Burundi l’anno delle elezioni. Ormai siamo alla vigilia di
questo appuntamento quinquennale: le prime elezioni quelle comunali e quelle
parlamentari avranno luogo già nel corso del mese di maggio, mentre verso la
fine del mese di giugno ci saranno le elezioni del presidente della repubblica.
Dopo il primo quinquennio dell’attuale presidente, Pierre Nkurunziza, eletto nel
2005, quest’anno per la prima volta il popolo eleggerà a suffragio universale il
suo successore alla suprema magistratura dello stato. Le elezioni sono per sé il
momento della massima espressione democratica del paese e possono essere la
misura della democrazia. Il Burundi, uscito dalla lunga parentesi della guerra
civile che ha insanguinato il paese per quasi tredici anni, si avvia quindi a
cogliere i frutti di una lunga attesa e preparazione. A dire il vero, le
elezioni in Burundi sono sempre state sentite come un incubo e anche queste,
malgrado ogni affermazione trionfalistica di qualche esponente politico, non
sfuggono a questa percezione. Dire elezioni è ricordare tempi di speranza che si
sono puntualmente trasformati in tempi di grande sofferenza e frustrazione e
spesso in massacri. Basterà ricordare le ultime elezioni, quelle del 1993, che
hanno dato al Burundi l’illusione di avere finalmente imboccato la strada del
proprio destino e che, tre mesi dopo, hanno precipitato il paese nel caos, a
causa del putsch militare di una sparuta minoranza che ha ucciso il presidente
Ndadaye, innescando un lungo periodo di lotte intestine e di morte.
Nessuno osa preconizzare un’altra guerra civile e neppure evocare esplicitamente
queste paure, ma chi ascolta un po’ la gente si rende conto che queste paure
sono come sotto la pelle delle persone che guardano al prossimo futuro non certo
con speranza, ma con apprensione. La situazione del paese è, del resto,
abbastanza confusa e incerta. I partiti politici dell’opposizione puntano il
dito contro la corruzione e l’inefficienza del governo in carica. La loro
contestazione non è ancora diventata violenza pubblica, ma si sa che essi stanno
organizzando delle formazioni giovanili pronte a intervenire e a scontrarsi con
gli avversari politici. Non mancano neppure le voci di tentativi di colpo di
stato da parte di militari scontenti, voci puntualmente e prontamente smentite,
anche se è universalmente noto che le smentite nascondono sempre qualcosa di
vero. C’è un malessere che serpeggia nel Paese, dove tanti ex militari
smobilitati sono allo sbando ancora armati, dove coloro che sono rientrati
dall’estero non hanno trovato un terreno da coltivare e dove i salari dei
funzionari pubblici spesso non sono pagati, perché le casse dello stato sono
vuote e il bilancio pubblico si regge per gli aiuti che vengono dall’estero.
E se è da scartare un cambiamento alla suprema magistratura del paese a causa
della popolarità dell’attuale presidente della repubblica che, soprattutto negli
ambienti rurali, è ancora forte, tuttavia resta l’incognita del voto della
capitale e delle grosse agglomerazioni e, più ancora, la frammentazione della
piattaforma politica. Ci sono oggi 44 partiti ufficialmente iscritti per le
elezioni presidenziali e questo fatto renderà molto complicata e difficile la
composizione di una coalizione politica per il futuro governo del paese. Il
presidente attuale è stato capace di catalizzare le forze popolari e gode a
tutt’oggi di un carisma di salvatore della patria e di uomo concreto che sa fare
delle proposte di sviluppo immediato e misurabile nel campo della scuola, della
sanità, della agricoltura. Ma il quadro politico del paese, malgrado qualche
passo avanti, non è ancora uscito dalle incertezze di cinque anni fa. Il paese
non riesce a decollare, perché gli investimenti esteri non vengono come si
potrebbe sperare. Non ci sono ancora progetti di sviluppo interno che possano
essere messi in marcia. Il paese vive di beneficenza: oggi il grande benefattore
è la Cina che accanto all’Unione Europea offre continuamente delle scialuppe di
salvataggio ad un paese che è stato irrimediabilmente abituato all’aiuto
umanitario che viene da fuori.
C’è in Burundi un’aria di attesa che si riferisce alle elezioni, poi sarà la
volta della formazione di una coalizione di governo, poi del programma e poi …
ci sarà ancora da attendere. Il resto dell’Africa in qualche modo cammina,
mentre il Burundi continua a segnare il passo sotto lo sguardo di pochi paesi,
soprattutto dell’Unione Europea, che sembrano fare la balia a un bambino
lunatico e che, tra raccomandazioni e promesse, continuano a far sopravvivere
questo paese con aiuti a fondo perduto che non migliorano la situazione generale
e meno ancora ne costruiscono il futuro.
Una Chiesa In fase di attesa
Anche la Chiesa del Burundi è in fase di attesa, sia degli avvenimenti politici,
dai quali non può evidentemente prescindere, ma anche della sua propria
evoluzione. Si potrebbe dire che essa vive un tempo di sviluppo, perché il
numero dei battezzati è sempre molto alto, quello del clero in costante
crescita, i seminari al massimo delle loro capacità recettive, mentre si sta
costruendo un nuovo edificio per i primi anni della formazione presbiterale.
Anche quest’anno oltre trenta diaconi saranno ordinati sacerdoti ed entreranno
nel servizio pastorale di questa Chiesa. I grandi numeri sono la caratteristica
di questa Chiesa che, proprio per questo, esigerebbe anche una conduzione
all’altezza della situazione.
Come per lo stato anche per la Chiesa è difficile prevedere il futuro. Non
esiste, infatti, una linea comune di pastorale nelle otto diocesi. Ciascuna si
arrabatta al meglio per risolvere i propri problemi e gestire il presente, ma
non si vede dove si vuol andare. Oggi sarebbe urgente ripensare insieme la
realtà di questa Chiesa che non è per sé difficile da gestire, essendo
geograficamente grande come il nostro Piemonte con la Liguria e che potrebbe
facilmente trovare una conduzione condivisa.
La Chiesa del Burundi è purtroppo ormai una Chiesa di massa, frutto in passato
di una evangelizzazione rapida e senza grosse difficoltà, che sta oggi
procedendo verso una forma, che oserei chiamate di post-cristianesimo,
caratterizzata da una appartenenza labile e occasionale, limitata alle grandi
circostanze della vita, nascita, morte, matrimoni, eventi solenni. Certo la
domenica le chiese sono piene e spesso insufficienti, ma questo fatto non deve
trarre in inganno, perché la partecipazione non è proporzionata alla quantità
della sua popolazione (i cattolici sono oltre il 70% della popolazione), e
soprattutto perché c’è un preoccupante scollamento tra la pratica cristiana e la
vita quotidiana.
Questo è lo scopo del sinodo della Chiesa del Burundi che in questi anni si sta
celebrando nelle diverse diocesi e che cerca appunto di coinvolgere tutti i
cristiani nei problemi della comunità cristiana, della vita cristiana, della
presenza cristiana nella vita sociale e politica del paese. Il sinodo del
Burundi potrebbe essere il momento di grazia che fa rinascere il fervore in
questa Chiesa e la riporta alla sua vera missione di «sacramento» di salvezza,
di comunione, di riconciliazione e di pace. Il recente Sinodo speciale dei
vescovi per l’Africa è stato per tutta la Chiesa un richiamo alla speranza e un
invito ad alzarsi in piedi e a prendersi per mano con coraggio e speranza, ad
affrontare i problemi pastorali legati alla riconciliazione e alla pace, in
vista di uno sviluppo che sia come recentemente ha indicato Benedetto XVI.
La Chiesa famiglia di Dio
Forse è proprio la coscienza di essere Chiesa-famiglia, Chiesa comunione e
popolo di Dio, di cui il sinodo ha tanto parlato, che deve essere alimentata in
questo momento in Burundi. Una Chiesa sacramento e non quindi semplicemente una
Chiesa che offre i sacramenti, pur necessari, ma che è in mezzo al proprio mondo
un segno e una provocazione per il paese intero, alla comunione e alla
partecipazione, alla riconciliazione e alla solidarietà nella trasparenza delle
sue strutture. Come segno deve coinvolgere tutta la comunità cristiana a partire
dal suo centro fino alle sue ultime diramazioni. Solo a queste condizioni la
Chiesa svolgerà la sua missione, e la sua parola sarà credibile e quindi
convincente. Finché la vita della Chiesa non sarà una trasparenza della “carità
nella verità” e non sarà un segno chiaro e visibile della comunione e della sua
vita «spirituale», non potrà puntare il dito sulla corruzione della vita
pubblica.
La Chiesa in Burundi vive ancora di aiuti che vengono dall’estero. Come fa lo
stato. Ha una struttura grande e pesante che costringe i vescovi a farsi
mendicanti alla ricerca dei mezzi economici per poterla sostenere. Questo non
solo toglie i vescovi dalla necessaria presenza in loco, ma impedisce alla
Chiesa di essere realmente locale. Che senso ha allora chiedere alle comunità
cristiane l’autofinanziamento? Me lo chiedevano con sofferenza i preti di una
regione del Burundi nel corso di una riunione in cui avevo presentato qualche
idea che viene dall’attuale crisi economica mondiale e dall’ultima enciclica del
papa Caritas in veritate. Cercare l’autofinanziamento di una parrocchia suppone
che il prete sia molto preciso nella amministrazione, e che anche il vescovo e
l’amministrazione diocesana, per quanto possibile, facciano
dell’autofinanziamento e offrano un resoconto trasparente e chiaro delle proprie
risorse. Lo richiede l’ultimo sinodo che invita la Chiesa a vivere la giustizia
al suo interno per essere in grado di chiedere questa stessa giustizia alla
società civile e statale. Per questo la Chiesa deve assumere un modello di
sviluppo che sia coerente con la sua natura di comunione e che sia sobrio.
Il mondo a causa della crisi economica oggi sta riscoprendo la necessità di uno
sviluppo sobrio e sostenibile. Non è certo necessario che la Chiesa di qui si
metta… a digiuno, ma deve pensare concretamente a essere Chiesa veramente
locale, che cerca di sostenersi in risorse umane, in risorse economiche e in
programmi pastorali adatti alla realtà di qui. Se questo non avverrà, i discorsi
sull’inculturazione e sulla verità della Chiesa, sia che vengano dall’autorevole
voce del sinodo dei vescovi o da quella dei sinodi diocesani del Burundi,
rimarranno lettera morta. Ma una Chiesa dove la fede non sia ancora inculturata
non è ancora una Chiesa autenticamente locale, potremmo dire parafrasando un
testo dell’esortazione Ecclesia in Africa, 78 . Non intendo con questo negare il
molto bene e il grande capitale di fede e generosità che è seminato nella Chiesa
in Burundi. Ne sono stato testimone personale anche in questi giorni e credo che
sia un dovere affermarlo. Ma è ora che questo doventi programma di Chiesa.
Bujumbura, 17 marzo 2010.