Qualche tempo fa, il quotidiano inglese Times riportava un’intervista di Martin Amis il quale proponeva un’eutanasia di massa quale rimedio per riequilibrare le situazione demografica ed economica di tanti paesi. A suo parere l’età appropriata per un suicidio di massa sarebbero i 70 anni, quando ormai un individuo ha vissuto abbastanza a lungo per dire addio a questa vita.
Può sembrare una boutade, e forse lo è, ma non troppo. I tentativi di introdurre nelle varie legislazioni l’eutanasia è una rivelazione più che un sospetto. In effetti, nell’attuale società dell’efficienza si tende a pensare che l’età anziana sia un peso, qualcosa di inutile. Invece, soprattutto per chi ha fede, è un tempo da accogliere come un dono, il tempo in cui lo spirito si scioglie da tutti i lacci che l’hanno tenuto, fino a quel momento, attaccato alla terra, per trovare nuovi spazi inesplorati di libertà. In questo senso, l’età anziana può essere ritenuta una benedizione.

È invece Un tempo di grazia

A questo tema, il bollettino AIM Alliance Inter Monastères ha dedicato l’ultimo numero del 2009 (n. 96), con il titolo di copertina Le don des aînés, che vuol dire il dono dei fratelli maggiori, ossia degli anziani. Il riferimento è evidentemente alla comunità monastica in cui questa categoria di persone è sempre più numerosa. «Gli anziani delle nostre comunità, scrive il p. Martin Neyet, presidente dell’AIM nell’editoriale di apertura, sono come le sentinelle che annunciano l’Alba (con la A maiuscola) che sta per sorgere».
Come entrare in questa età?
Per rispondere a questo interrogativo, la rivista si affida al libro della benedettina americana, Joan Chittister molto nota in tutto il mondo per le sue pubblicazioni, The gift of years; growing older gracefully, (il dono degli anni, invecchiare con grazia), ricavando dall’introduzione alcune riflessioni molto interessanti per la formazione, sotto il profilo umano, psicologico e spirituale e che ci piace qui riproporre.
L’età anziana, scrive la Chittister, è un tempo di grazia, a condizione che ci si liberi da tutte le paure che si addensano nell’animo e soprattutto ci si liberi della vita che si era programmata, per vivere adesso la vita che ci aspetta: «è il tempo di lasciar perdere i sogni di eterna giovinezza così come le nostre paure di invecchiare, e di trovare la bellezza di ciò che significa invecchiare bene. È tempo di capire che l’ultima fase della vita non è una non-vita; è una nuova tappa della vita… L’età anziana ha una sua ragion d’essere, qualunque sia il nostro stato di vita, qualunque siano le nostre risorse sociali. C’è un disegno tracciato in ciascuna tappa dell’esistenza, in misura non minore che nelle altre tappe».
Il moralista francese Joubert, osserva la Chittister, ha scritto che “la sera di una vita ben vissuta porta con sé la sua lampada”. L’età anziana, infatti, illumina non solo noi, per quanto ciò possa essere importante, ma anche quelli che ci circondano. Nostro compito è di ben comprenderlo. Infatti «il periodo finale della vita è uno dei migliori, uno dei più importanti. Perché?».
Non sono molto convinta, prosegue la Chittister, che abbiamo una sola vita da vivere. In effetti, ogni vita non è che una serie di vite in cui ciascuna di esse comporta un proprio compito, ha un suo sapore; è come un mosaico costituito da numerose tessere, in cui ciascuna basta a se stessa, e quindi ognuna costituisce una pietra del terreno che apre la strada che porta verso ciò che rimane da vivere.
Ciascuna tappa della nostra vita, pur facendo parte di una linea continua, è distinta. Ognuna è realmente e in maniera unica una parte della vita presa nella sua globalità. Ciascuna di esse ci dona una nuova possibilità. E ognuna ha un fine. Questa fase tardiva della vita mi dà il tempo di assimilare tutte le altre. Compito di questo periodo non è semplicemente di sopportare l’attesa della fine che si avvicina. Si tratta di essere vivi in modo tale come non si era mai stati in precedenza.

Una precisa spiritualità

L’età anziana ha quindi una sua spiritualità Avanzando con gli anni non ci mettiamo semplicemente a ignorare la vita; piuttosto ci impegniamo a un livello diverso, per ragioni diverse, con un cuore più concentrato.
A mano a mano che l’età avanza e sopravvengono i cambiamenti, si impara a rendersi conto che ci sono nella vita delle cose che non possono essere fermate. È più probabile perciò che andiamo verso la tomba con una quantità di preoccupazioni personali e di pagine d’agenda lasciate in sospeso. Con gli anni ciò diventa sempre più chiaro.
Certe ferite familiari non saranno ancora guarite. Certe parole pronunciate nella fretta e in preda all’eccitazione non avranno potuto essere rimediate. Certe amicizie non avranno potuto essere ravvivate. Certi sogni non saranno mai realizzati. La vita allora è stata perduta, sciupata? Tutto questo è avvenuto invano?
Sì, risponde la Chittister, se misconosciamo il senso dell’ultimo periodo della vita. Questo tempo non è destinato a fossilizzarci nelle nostre insufficienze, e nelle nostre carenze. È fatto piuttosto per farci giungere a una più grande maturità.
È per lo meno fuori della realtà sperare che alla fine tutte le rotture si saranno ricomposte e saranno guarite. Le persone se ne sono andate da molto tempo. Niente può essere fatto in questa tarda tappa per riprendere le conversazioni, per non parlare di riparare le lacerazioni o guarire le ferite aperte.
Per molte cose ci sentiamo ancora responsabili e anche colpevoli, non possiamo fare niente oggi per cancellarle e per liberarcene, anche se lo volessimo. Non possiamo far riuscire un matrimonio fallito. Non possiamo cancellare anni di abbandono, una vita di indifferenza, tutta una storia di negligenze e di mancanze di riguardo di cui abbiamo dato prova verso le persone che erano in diritto di contare sulla nostra sollecitudine. Questo tempo, queste situazioni sono semplicemente passate. Sono fuori della nostra portata, fuori della nostra attesa, fuori della nostra possibilità. Ecco allora la domanda: se non possiamo più agire direttamente sulle lotte incompiute della nostra vita, come allora è possibile affrontare la fine della vita con una certa serenità?

Fare pace con se stessi

L’inquietudine che si accumula col passare degli anni, sottolinea la Chittister, è esattamente la grazia riservata per il periodo finale, per gli ultimi anni, l’apogeo della vita. Infatti è solo ora che la presa di coscienza di questi torti può realmente cambiare le cose per noi. È solo ora che questa sofferenza può essere resa feconda. Perché?
Perché ora dobbiamo trattare con essa del tutto da soli. Non c’è più nessuno qui per perdonarci, più nessuno per dirci che avevamo ragione, nessuno per cedere alle nostre insistenze, nessuno che ci resti e con cui possiamo rifiutare di accordarci. Al contrario, tutto vive nel nostro intimo. Ora dobbiamo scendere nel più profondo di noi stessi e fare la pace, non con i nostri vecchi avversari, ma, cosa più importante ancora, con noi stessi, con la nostra coscienza, una coscienza con la quale per tanti anni abbiano rifiutato di riconciliarci.
Per quanto riguarda ciò che è capitato nella nostra vita, ci sono degli interrogativi ben più pertinenti che non domandarci chi ha fatto questo, a chi è stato fatto e per quale ragione e ciò che ne è risultato per noi. Al posto di tutto questo, la cosa da tenere presente ora è di sapere che cosa siamo diventati noi dopo. Siamo diventati persone più mature – o abbiamo solo attraversato la vita proclamando la nostra innocenza, nonostante il piccolo ritornello che dentro di noi ci diceva che in effetti eravamo colpevoli?
Adesso è il momento della vita in cui dobbiamo cominciare a guardare nel profondo del nostro cuore e del nostro animo anziché cercare fuori di noi stessi delle risposte alle nostre domande e il modo di regolare i nostri problemi. È ora il momento di far fronte a noi stessi, per condurci alla luce.
È il tempo della riflessione spirituale, di un rinnovamento spirituale della vita. È il tempo di chiederci che genere di persona siamo diventati, nel corso di tutti questi anni. Ed se è questa la persona che noi amiamo. Siamo diventati più onesti, più accurati e attenti, più inclini alla pietà e alla compassione… e se così non fosse, cosa possiamo fare ora a questo riguardo?
A mano a mano che il corpo comincia a deperire, incominciando a immedesimarci con l’aldilà, siamo capaci di lasciar perdere quelle cose che sono state un ostacolo per tutta la vita tra noi e il resto del creato?
Possiamo guardarci in faccia e ammettere chi siamo? Se siamo stati egoisti possiamo imporci una disciplina quotidiana orientata all’attenzione e alla cura del prossimo? Se siamo stati sleali con noi stessi, possiamo stare attento ad adottare nei nostri confronti un linguaggio di verità? Se siamo stati senza Dio, siamo capaci di credere che il Creatore della vita deve essere anche la dimora della nostra anima, e possiamo inchinarci davanti alla Vita che ha un diritto sulla nostra?
Possiamo cominciare a vederci come persone che sono solo una parte dell’universo, un semplice frammento e non il suo centro? Possiamo giungere ad accettare il caldo e la pioggia, la sofferenza e i limiti, gli inconvenienti e i disagi della vita, senza metterci a punire il resto dell’umanità per i bisogni quotidiani inerenti all’essere umano?
Possiamo sorridere di ciò che non ci ha fatto sorridere nel corso degli anni? Rinunciare a noi stessi a favore di coloro che hanno bisogno di noi, dire ciò che è la nostra verità senza bisogno di avere ragione e accettare i capricci della vita presente, senza bisogno che il resto del mondo ci coccoli ad di là di ciò che può essere umanamente giusto attenderci? Parlare alle persone correttamente e permettere loro di parlarci?
Si dice che le persone anziane diventano più difficili a mano a mano che invecchiano. No, assolutamente. Si preoccupano semplicemente di meno di conservare la loro maschera, sono più propense ad accettare lo sforzo necessario per essere umane, degli esseri umani. Non sono più pretenziose, non fanno più finta. Sanno che questo processo di invecchiamento è l’ultima fase che ci è data per andare oltre a ciò che ci si è permessi di essere lungo gli anni. Ma, soprattutto, dobbiamo far fronte a ciò che è la piccolezza e rallegrarci nel tempo che ci rimane per diventare dolci anziché essere più acidi che mai.
Uno dei rischi di questi anni è di lasciarci andare agli aspetti più egoistici della nostra personalità. Una delle benedizioni di questi anni è che abbiamo la possibilità di far fronte a ciò che ci ha resi schiavi e di lasciare che il nostro spirito s’involi liberamente fuori da tutto ciò che ha potuto tenerlo attaccato alla Terra.