C’è un proverbio giapponese che dice: «una parola gentile può riscaldare tre mesi d’inverno”; un altro che viene dalla Russia: «Una parola gentile è come un giorno di primavera”; e un terzo dalla Cina: «un po’ di profumo aderisce sempre alla mano che porge delle rose». Se ne potrebbero citare tanti altri perché ogni cultura ha i suoi. Per stare in “casa nostra”: Madre Teresa di Calcutta era solita ripetere: «Nessuno venga a voi senza andarsene migliore e più contento».

La gentilezza è senza dubbio una “virtù” da riscoprire. Diciamo virtù perché non si esaurisce in questo o quel gesto garbato, di buona educazione, ma è costituita da un insieme di qualità, è un “habitus” che rende la persona buona, sensibile ai bisogni degli altri, generosa e premurosa, compassionevole e sempre motivata nel suo agire dall’attenzione verso il prossimo. In una parola: è un atteggiamento che plasma l’identità della persona.
È possibile formarsi un animo gentile? Certamente sì, ma ci vuole pazienza ed esercizio, sapendo cogliere le opportunità concrete che ci vengono offerte dalla vita quotidiana. Interessanti sono, sotto questo aspetto, per esempio le indicazioni che p. James H. Kroeger MM, missionario nelle Filippine, suggerisce in un articolo pubblicato sul periodico americano Review for Religious. Ne propone dieci, avvertendo tuttavia che la gentilezza non si impara dalla sera al mattino, ma è una qualità che ha bisogno di tempo per crescere. Non si può infatti dire «cominciando da oggi, sarò gentile», e tutto è risolto. Ma ecco di seguito i suoi suggerimenti.

– Meditare sulla bontà di Dio. La tradizione giudeo-cristiana mette spesso in risalto la bontà di Dio verso il suo popolo e sottolinea il dovere che questi ha di mostrarsi altrettanto buono verso il prossimo. Il salmista dice: “Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre” (Sal 106,1). Così Isaia ricorda al popolo: “Con affetto perenne io avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore” (Is 54,8). E Gioele: “Ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore” (Gl 2,13).
Gesù, mandato dal Padre, è descritto come colui in cui “apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini” (Tt 3,4). In lui, il Padre rivela “la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà” (Ef 2,7). Questa bontà compassionevole Gesù la manifestò verso la vedova di Naim (Lc 7,11-17), la donna malata di emorragia e la figlia di Giairo (Lc 8,40-56) la donna colta in adulterio (Gv 8,1-11). Egli dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro” (Mt 11, 28-30).
Anche nelle altre tradizioni religiose, osserva Kroeger troviamo degli inviti alla gentilezza e alla bontà. Per questo le diverse religioni possono perciò arricchirsi a vicenda e promuovere insieme il grande dono della pace.

– Coltivare un atteggiamento di riconoscenza. Tutta la vita è un dono e noi siamo continuamente oggetti di tanti benefici. Ogni giorno infatti è un nuovo dono. I doni che riceviamo non sono meritati: Dio è la sorgente della ogni nostra ricchezza. A volte i doni ci giungono con le altre persone e attraverso di loro. E questo deve ricordarci che essi sono destinati per essere condivisi e che non ci sono dati per essere nascosti o accumulati. Gli atti di gentilezza, comunque si esprimano, costituiscono dei modi concreti per manifestare la nostra gratitudine. Come Israele, non dobbiamo mai dimenticare le opere di Dio (Sal 78,7; 103,2). Questa gratitudine non è questione di una bella giornata; i giorni prosperi e i momento difficili sono ugualmente opportunità per ringraziare attraverso atti di bontà. Se esprimiamo e manifestiamo gratitudine in maniera regolare, essa diventa un abito. Ogni gesto di riconoscenza infatti, rende quello successivo più facile.
Le persone riconoscenti, sottolinea Kroeger sono in pace con se stesse, con gli altri e con quanto esse hanno. La gratitudine è segno di una personalità matura e integrata. Essa si riflette in tutte le attività, specialmente nella preghiera. Per i cristiani, Eucaristia significa rendimento di grazie; la sua celebrazione può trasformarci in persone, amabili, riconoscenti, servizievoli. Bisogna mettere in pratica le parole del Signore: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8).

– Abbiate stima della vostra stessa bontà. La gentilezza di coloro che ci circondano è importante, ma essa sgorga solo dalla nostra persona. Perciò, una bassa stime di sé può costituire un ostacolo alla pratica della gentilezza. Bisogna che ci chiediamo: sono contento di me stesso al punto da attendere con impazienza ogni giorno e le persone che vi incontrerò? Oppure ho la tendenza ad abbattermi? Se ho questa tendenza, come potremo trovare il nostro valore, la bontà di noi stessi? Dobbiamo esaminare attentamente la nostra vita e la bontà che vi è in essa. Se la guardiamo con serenità, troveremo subito molte cose buone, malgrado tutti i problemi e le confusioni. Possiamo cominciare riconoscendo che Dio ci ha creati e amati personalmente e per nome. Ci ha creati buoni, non come spazzatura. Noi siamo preziosi ai suoi occhi. L’apostolo Giovanni scrive: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente!” (1 Gv 3,1). Noi siamo da amare non per i nostri risultati, ma perché Dio ci ha amato. Giovanni continua: “Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1 Gv 4,11). Ecco una formula per superare i blocchi personali per la pratica della gentilezza: «Io sono tuo dono, buon Signore. Fa che condivida nella gratitudine i doni ricevuti».

– Avere empatia verso gli altri. L’empatia è la capacità di comprendere e di identificarsi con i sentimenti e le difficoltà di un altro. È per così dire la capacità di camminare nelle sue scarpe, di guardare la vita dalla sua prospettiva. Platone diceva: “Sii gentile, poiché chiunque tu incontri combatte una dura battaglia”.

– Praticare la gentilezza. In teoria la gentilezza è bella, ma quante volte riusciamo a compiere gesti di vera gentilezza nella nostra vita di tutti i giorni? Nel mondo si compiono miriadi di atti di gentilezza anche se leggendo i giornale si può avere un’impressione diversa. Per compierli, comunque, abbiamo bisogno della grazia dello Spirito Santo. Sono tante le occasione che si prestano a questi atti di gentilezza: ringraziare chi ci fa un servizio, aprire la porta a una persona anziana, aiutare un cieco a scendere dall’autobus. E non bisogna sottovalutare la forza di un sorriso, di un gesto di incoraggiamento, il saper prestare ascolto, dire una parola gentile e anche l’efficacia di un pensiero gentile e positivo verso il prossimo.

– Usare sempre parole gentili. Tutti conosciamo ciò che scrive l’apostolo Giacomo nella sua lettera riguardo al potere della lingua: “Se qualcuno ritiene di essere religioso, non frena la lingua… la sua religione è vana”. “La lingua è un membro piccolo… Ecco, un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta . Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male. La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita… Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio: dalla stessa bocca escono benedizioni e maledizioni” (Gc 1,26: 3,5-10).
La lingua, commenta p. Kroeger, può essere uno strumento di grande gentilezza, se è debitamente controllata. Le parole gentili, sincere sono in grado di lenire la sofferenza e il dolore, suscitano la speranza nei cuori deboli, rendono più leggeri i pesi della vita, alleviano l’amarezza del fallimento, esprimono delle buone intenzioni, rialzano l’infortunato, promettono amore e un impegno perenne.
Un discorso ben scelto è uno dei modi più comuni per mostrare gentilezza; purtroppo è più comune il contrario. Si potrebbe fare una lunga lista di suggerimenti pratici per essere gentili: riflettere prima di parlare; considerare l’effetto delle proprie parole; evitare i pettegolezzi, cambiare argomento quando questi cominciano. Parlare di idee e avvenimenti, piuttosto che delle mancanze degli altri; usare le parole e il sorriso per incoraggiare; stare attenti a non propalare le notizie negative riguardanti gli altri e farlo soltanto se si deve. Evitare rilievi brucianti che possono devastare l’io degli altri. Nella conversazione applicare i criteri descritti da Paolo nell’”inno alla carità” in 1 Cor 13. Ricordare il detto di Blaise Pascal: «Le parole gentili non costano molto, ma realizzano molto».

– Giudicare gli altri con compassione. Ci sono delle situazioni che comportano un giudizio e ciò richiede sapienza e maturità. Un buon giudizio è raramente facile. Cercare di capire simpaticamente un situazione complessa e difficile costituisce il primo gesto di gentilezza necessario in queste situazioni, dovunque ci si trovi: in famiglia, in ufficio, nel proprio ambiente, a scuola… Se c’è un’atmosfera di fiducia e di apertura, senza giudizi affrettati, è più facile sapere come agire.

– Perdonare di cuore. Ogni giorno ci vengono offerte tante occasioni di dare testimonianza dell’amore di Dio, anche in modi che sembrano ordinarie e privi di importanza. A volte c’è chi pensa che mostrare gentilezza e perdonare siano un segno di debolezza o di immaturità. È vero il contrario. Una persona con un atteggiamento di riconciliazione mostra in realtà forza di carattere, spesso derivata dalla sua fede.
Il perdono compassionevole occupa un posto molto alto nella lista dei valori proposti di Gesù: “Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi” (cf. Mt 6,14-15).”Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati” (Lc 6,6-37). Seminate gentilezza e troverete gentilezza, commenta p. Kroeger.

– Ammettere il proprio narcisismo. Il narcisismo, ossia la tendenza a guardare a se stessi, ai propri bisogni non è scomparso con il battesimo. Il passaggio dalla preoccupazione di sé all’attenzione agli altri non è facile. I nostri bisogni e le nostre sofferenze sono reali e spesso sono schiaccianti. Tuttavia, Gesù ci invita a offrire agli altri, nonostante le nostre angustie, un gesto di gentilezza agli altri anche quando non ce ne sentiamo portati. Per citare le parole di Henri Newman, dobbiamo essere “guaritori feriti”.

– Pregare, meditare, cercare la pace interiore. È l’ultimo dei suggerimenti di p. Kroeger. La gentilezza richiede una grande forza. Ciò è soprattutto vero quando si ha a che fare con persone difficili o con situazioni complesse. A volte non si sa veramente cosa fare. Ma dove attingere l’energia di cui si ha bisogno? Kroeger afferma di averla attinta dai i comportamenti di vari missionari che ha conosciuto. Per esempio un certo p. Bob, in Bangladesh il quale diceva che nel suo servizio ai poveri malati trovava la sua forza nell’Eucaristia; così pure p. Frank missionario nel sud delle Filippine. E cita fra gli altri madre Teresa di Calcutta che cos’ insegnava: «Siate fedeli nelle piccole cose perché è qui che sta la forza»; «non pensate che l’amore per essere genuino debba essere straordinario. Ciò di cui c’è bisogno è di amare senza stancarsi; in questa vita non possiamo fare grandi cose. La nostra vocazione è di amare Gesù; possiamo fare solo piccole cose con amore; molta gente crede che la nostra vocazione sia il lavoro:la nostra vocazione è l’amore a Gesù»; «siamo delle matite nelle mani di Dio».

Cari amici, conclude p. Kroeger, abbiamo bisogno tutti di pregare e di meditare di frequente, usando le parole di Gesù nel Vangelo e le espressioni di persone sante come madre Teresa. E cita un riformatore quacchero anglo-americano il quale diceva: «Mi aspetto di passare attraverso la vita una volta sola. Perciò se voglio mostrarmi gentile, o fare qualcosa di buono al mio prossimo, lo devo fare ora e non differirle l’occasione o trascurarla, perché non mi capiterà più un’altra volta».
«Penso, termina p. Kroeger, che Gesù sarebbe d’accordo e probabilmente ripeterebbe le parole della parabola del buon samaritano: “Va’ e anche tu fa’ così”.