Qual è l’identikit del sacerdote, consacrato o diocesano? A tracciarne il profilo pastorale, spirituale, umano, ci ha pensato il convegno Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote, organizzato dalla Congregazione per il clero a metà marzo, in occasione dell’anno sacerdotale in corso. Ai lavori hanno partecipato oltre 500 sacerdoti (religiosi e diocesani) e 50 vescovi, che il 12 marzo sono stati ricevuti in udienza da papa. «Nel tempo in cui viviamo – ha notato Benedetto XVI – è particolarmente importante che la chiamata a partecipare all’unico sacerdozio di Cristo nel ministero ordinato fiorisca nel “carisma della profezia”: c’è grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo; uomini non soggetti ad effimere mode culturali, ma capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado di donare».
Ma qual è appunto l’identikit del sacerdote come è emerso dalle diverse relazioni del convegno?

Quattro tratti per un identikit


Prima di tutto l’identità spirituale, come ha ribadito mons. Willem jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht: «Riguardo alla formazione sacerdotale bisogna sapere quali preti vogliamo avere. Non vorrei sottostimare l’importanza del ruolo sociale dei preti, i quali pur in un certo modo segregati in seno al popolo di Dio non rimangono separati da questo stesso popolo o da qualsiasi uomo con cui vivono e per cui lavorano in una data epoca e cultura (Presbyterorum ordinis n. 3). Tuttavia, intendiamo formare futuri preti in primo luogo in base all’identità spirituale. I sacerdoti sono quotidianamente esposti alla pressione, alle tensioni e alle delusioni connessi alla proclamazione del Vangelo nella nostra società poco aperta alla fede cristiana. Perciò c'è dopo l'ordinazione sempre il rischio di far prevalere il ruolo sociale su quello spirituale. Per prevenire un conflitto personale i preti devono curare il più possibile il loro rapporto con Cristo sacerdote, maestro e pastore».
Secondo, come ha spiegato il sociologo Massimo Introvigne, nelle diverse attività pastorali «occorre che ciascuno si senta partecipe – non solo spettatore – e prima di dare il suo contributo si senta preso in cura dal sacerdote. (…) Occorre assicurarsi che il contatto personale e autorevole fra sacerdote – in particolare, parroco – e fedeli sia sempre garantito».
Terzo: inserimento pieno nella vita culturale e sociale del contesto in cui si opera. In proposito mons. Gerhard Ludwig Müller, vescovo di Regensburg, ha ribadito che «i sacerdoti devono interessarsi alla vita culturale di una società, per poter esporre con incisività le proprie idee di una buona società di valori, formazione e cultura. Il riferimento alla trascendenza quale fonte di tutta la cultura eleva l'opera compiuta al di sopra dei confini posti della limitatezza umana. Soprattutto è compito della teologia collegare il concetto di cultura con quello di persona. La cultura non è al di fuori dell'esistenza personale dell'uomo, ma è espressione della sua libertà, della sua personalità e del suo riferirsi a Dio. Questo può riuscire soltanto se si sviluppa un'antropologia che sia chiaramente terreno fertile della vera cultura dell'umanità. (…) La forma più alta di cultura si raggiunge quando gli uomini si riuniscono nella chiesa di Dio per elevare il pane e il vino a Dio, il quale ce li dona trasformati nel sacramento della carne e del sangue di Gesù Cristo quali cibo e bevanda per la vita eterna. Il sacrificio eucaristico, offerto attraverso il servizio del sacerdote per il popolo e per lui stesso, è l'adempimento più alto del compito culturale per gli uomini. Il sacramento della Chiesa è l'apice della cultura umana e, nello stesso tempo, la fonte dalla quale essa scaturisce».
Quarto: la dimensione spirituale profonda come sottolineato dall’arcivescovo di Bologna, cardinale Carlo Caffarra: « La questione è questa: è possibile riconoscere una Presenza eccedente l'universo dell'ente, ma che abita dentro esso? Esiste la possibilità di toccare l'Infinito mentre vivo nel finito? O dobbiamo rassegnarci all'impossibilità di fare questo incontro? Queste sono le domande ultime a cui oggi il sacerdote è chiamato a rispondere. Sarebbe un grave errore ritenere che il problema sia fondamentalmente di carattere etico; e che quindi il bisogno spirituale principale sia il bisogno di una seria proposta etica. Errore, perché una tale diagnosi confonderebbe i sintomi con la malattia. E sarebbe come pensare che a una persona in preda a una grave indigestione, la cosa più necessaria sia di spiegargli la chimica della digestione. L'uomo che vive oggi la gaia farsa dell'Assenza, ha bisogno di essere risvegliato alla coscienza della sua dignità di persona e ciò lo può fare solo la testimonianza della carità».

Il valore del sacro celibato

A configurare ulteriormente la fisionomia del sacerdote, Benedetto XVI ha aggiunto poi ulteriori aspetti nel discorso rivolto ai partecipanti. «Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire e amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale, dal suo essere profondo. Di conseguenza, deve porre ogni cura nel sottrarsi alla mentalità dominante, che tende ad associare il valore del ministro non al suo essere, ma alla sua funzione, misconoscendo, così, l’opera di Dio, che incide nell’identità profonda della persona del sacerdote».
Proseguendo nel suo discorso ai partecipanti al convegno internazionale, il papa ha affrontato l’argomento del celibato sacerdotale. «L’orizzonte dell’appartenenza ontologica a Dio – ha affermato – costituisce (...) la giusta cornice per comprendere e riaffermare, anche ai nostri giorni, il valore del sacro celibato, che nella Chiesa latina è un carisma richiesto per l’ordine sacro (cf. Presbyterorum Ordinis, 16) ed è tenuto in grandissima considerazione nelle chiese orientali (cf. CCEO, can. 373). Esso è autentica profezia del Regno, segno della consacrazione con cuore indiviso al Signore e alle “cose del Signore” (1Cor 7,32), espressione del dono di sé a Dio e agli altri».
Il papa ha quindi sottolineato che «quella del sacerdote è, pertanto, un’altissima vocazione, che rimane un grande mistero» e che «gli uomini e le donne del nostro tempo ci chiedono soltanto di essere fino in fondo sacerdoti e nient’altro. I fedeli laici – ha proseguito - troveranno in tante altre persone ciò di cui umanamente hanno bisogno, ma solo nel sacerdote potranno trovare quella Parola di Dio che deve essere sempre sulle sue labbra; la misericordia del Padre, abbondantemente e gratuitamente elargita nel sacramento della Riconciliazione; il Pane di Vita nuova, vero cibo dato agli uomini».
E sul tema del celibato va sottolineato l’intervento di Manfred Lutz, psicoterapeuta tedesco e consultore della Congregazione per il clero, che ha aggiunto un altro tassello, il quinto, all’identikit del sacerdote. «In base alla mia esperienza terapeutica – ha detto – posso solamente confermare che l’inaridirsi della vita spirituale spesso è precedente alla crisi del celibato. Se un prete non prega più regolarmente, se egli stesso non si confessa più, se egli dunque non ha alcuna relazione vitale con Dio, allora in quanto prete non è più fecondo. Gli uomini infatti notano che da questo uomo di Dio non fuoriesce più alcuna forza dello Spirito di Dio». Al contrario «un prete vitale che vive la sua fede in maniera convinta è un pastore d’anime fecondo che così può anche vivere con gioia la sua attività pastorale».

La vera profezia rimane la santità

«Il futuro della Chiesa dipende in grandissima parte dall’operato dei sacerdoti. Non è una questione di numero, ma di qualità della vita sacerdotale e dello zelo pastorale che sanno mostrare», ha spiegato quindi il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica. Secondo il cardinale, «la formazione dei sacerdoti rappresenta l’impegno educativo più importante in questo momento per la Chiesa». Vale per tutti, ha aggiunto, proprio l’esempio del curato d’Ars: «inviato a un paesino di 300 anime e disastrato dal punto di vista religioso egli non fece nulla di particolare, semplicemente era e operava da vero sacerdote di Cristo. E così riuscì a convertire molti».
In conclusione mons. Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il clero, ha ribadito come il papa abbia indicato la via da percorrere, rilevando l'urgenza e la necessità di un'autentica «ermeneutica della continuità sacerdotale, la quale, partendo da Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, e passando attraverso i duemila anni della storia di grandezza e di santità, di cultura e di pietà, che il sacerdozio ha scritto nel mondo, giunga fino ai nostri giorni», e rinnovando «la coscienza della missione che Cristo stesso ci ha affidato, così come solo l'incontro con Pietro è capace di fare».
Lo studio del rapporto tra cristologia e identità sacerdotale ha portato alla constatazione, su basi teologiche, di come questa «identità sia costitutiva dell'essere stesso del sacerdote e ne nutra l'agire profetico nel mondo. Il rapporto con la persona di Cristo, e le conseguenze che tale rapporto determinano, rimane assolutamente il punto nodale di ogni possibile riflessione sul sacerdozio ministeriale, che, senza Cristo, sarebbe semplicemente incomprensibile». Ecco che «la fondazione cristologica domanda oggi di essere sempre maggiormente studiata, approfondita e posta al centro della formazione iniziale e permanente dei sacerdoti, quale imprescindibile nucleo tematico ed esistenziale del presbiterato». E «l'approfondimento dell'identità sacerdotale non può mai prescindere dal confronto serio, onesto, libero e coraggioso con la cultura contemporanea, perseguendo quel raro ma indispensabile equilibrio tra l'indiscutibile fedeltà a Cristo e, proprio per questa, il necessario ascolto delle istanze del tempo». Per l'arcivescovo, l'«ascolto sarà tanto più autentico e tanto più efficace quanto più parte dalla intuizione e tematizzazione delle imprescindibili coordinate cristologiche dell'identità sacerdotale». Invece «la cultura contemporanea si mostra distante dalle categorie del sacro, della mediazione, della sacramentalità e della presidenza tipiche di tale identità, mostrando, nel contempo, una particolare sensibilità a tutto ciò che è più propriamente e immediatamente “umano” e, per conseguenza, più facilmente riconoscibile e “categorizzabile”». «La vera profezia nei confronti della cultura contemporanea – ha affermato – rimane la santità conseguente alla propria identità. Essa è una via percorribile, guardando innanzitutto alla Vergine Maria e guardando ai santi, in particolare a san Giovanni Maria Vianney, nella consapevolezza che proprio la santità è l'unica adeguata risposta anche alle mutate condizioni antropologiche. L'efficacia della missione, infatti, perfino nei luoghi e nelle realtà socio-culturali apparentemente più impensabili, è legata e direttamente dipendente dalla chiarezza sulla identità sacerdotale cristologicamente fondata». Proprio a garanzia della chiarezza sull'identità sacerdotale e della efficacia della missione è «urgente e necessario vivere il ministero in una radicale continuità teologica, spirituale, giuridico-pastorale ed esistenziale, secondo quell'ermeneutica della continuità che il Papa ha nuovamente declinato per i sacerdoti, dopo averla indicata fin dal 2005 come categoria per l'unica interpretazione corretta dei testi del concilio Vaticano II».