Gesù, annunciando la sua passione, parla esplicitamente della flagellazione solo nella terza profezia, quando ormai la sua immolazione è imminente. «Consegneranno il Figlio dell’uomo ai pagani perché sia… flagellato» (Mt 20,19). «Ecco, noi andiamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi;… lo flagelleranno» (Mc 10,34). «Il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai pagani… e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno» (Lc 18,32).
Luca, stendendo il resoconto delle vicende del venerdì santo, ha solo un accenno generico, riferendo queste parole di Pilato: «Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò» (23,36). Matteo, Marco e Giovanni invece parlano espressamente della flagellazione, ma un sacro orrore li trattiene da una descrizione particolareggiata e compendiano tutto l’episodio in una riga. Pilato «dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso» (Mt 27,27). «Pilato… dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso» (Mc 15,15). «Pilato fece prendere Gesù e lo flagellarono» (Gv 19,19).
È una laconicità lapidaria e insieme significativa. Il solo termine “flagellazione” suscita e, ancor più suscitava ai tempi apostolici, un raccapriccio istintivo e profondo. Era una punizione riservata normalmente agli schiavi. Orazio la definisce “horribile flagellum”; ed è un giudizio più che meritato. Dopo i primi colpi, il dorso e gli arti presentavano zone livide che diventavano presto bolle tumefatte. Poi la pelle si rompeva, i vasi sanguigni scoppiavano e il sangue sgorgava, sfigurando i lineamenti. Il viso era ridotto a una maschera e spesso il condannato era colto da malore e si accasciava in condizioni pietose.
Nell’arte, quello della flagellazione è un tema frequentemente trattato da pittori di diversa epoca., scuola e sensibilità religiosa. Un comune denominatore però li unisce: tutti seguono due linee. Nelle figure dei soldati flagellatori dimostrano di aver fatto ottimi studi di anatomia, mettono in rilievo la muscolatura e la prestanza atletica dei loro gesti. Quando invece ritraggono la figura di Gesù, più che alle sue lacerazioni e ai suoi lividi, danno risalto alla sua pacata serenità e alla sua sovrumana forza d’animo. Il Beato Angelico in un piccolo quadro del convento di San Marco in Firenze arriva ad assicurare compostezza anche ai due flagellatori.
È una scelta dalla quale emerge in modo evidente un valore che va al di là della perizia artistica dell’autore, per attingere la sfera religiosa e diventare un omaggio di pietà e un inno di fede elevato al Salvatore. Sono opere d’arte dinanzi alle quali ci si ferma sempre con edificazione, perché suscitano dentro una commozione che sfocia in un silenzio rispettoso e in una preghiera riparatrice. Ben diversa è la reazione che provocano le pagine dedicate all’argomento dalla suora agostiniana Anna Caterina Emmerich (1774-1824). Nelle sue meditazioni stese nella Quaresima del 1823 descrive un Gesù «che fremeva e si torceva come un verme sotto gli occhi di quei miserabili che somigliavano a bestie selvagge o a demoni e sembravano per metà ebbri» (Visioni, XXIII). Leggo, chiudo il libro, rifletto, mi si inumidiscono gli occhi: ma non so quando mi verrà di riaprire il volumetto, perché ha suscitato in me una partecipazione con un’eccessiva carica sentimentale. E la sensibilità è cosa diversa, può essere ostacolo alla contemplazione distillata, goccia a goccia, dalla descrizione concisa del testo sacro e dall’azione dello Spirito.
L’unica annotazione della mistica tedesca che mi torna frequentemente alla memoria è il legame tra il Martire divino e gli agnelli pasquali, Verosimilmente, la flagellazione si svolse nelle ore che hanno chiuso la notte e iniziato il giorno del venerdì santo. Contemporaneamente, gli agnelli venivano lavati a poca distanza nella piscina delle pecore. «I loro belati avevano qualcosa di particolarmente commovente: erano le sole voci che si univano ai gemiti del Salvatore» (ivi). Allora, furono quegli animali destinati al sacrificio a dare allo spasimo di Cristo la partecipazione, l’omaggio dell’intero creato; oggi sono gli infermi, i malati, i bambini deformati e ridotti a scheletri dalla fame, i prigionieri seviziati, le popolazioni vittime delle lotte tribali a fornirci immagini vive di Gesù flagellato. Nelle loro pene il Salvatore ripropone e continua il suo mistero di dolore; nei loro gemiti si ripercuote il lamento del Servo di YHWH. Le sofferenze di ieri del redentore e l’ininterrotto fluire del dolore umano vengono a formare un solo grido perché un unico Spirito li anima e tutti guida a formulare, con diversa consapevolezza: Fiat!Amen!

Giovanni Merlotti
Da Il volto di Dio e del suo Cristo
Edb, Bologna 2008