Ogni anno nel tempo di Pasqua la liturgia propone, in base ai cicli liturgici
(A, B, C), un itinerario con accenti differenti in base alle diverse letture
bibliche proposte dal lezionario. Mentre per il tempo di Quaresima le letture
bibliche propongono per ogni ciclo liturgico itinerari con temi e tappe
differenti, nel tempo di Pasqua il percorso proposto segue un percorso dalla
struttura simile, con tappe che seguono una medesima logica, sebbene i
differenti testi scritturistici determinino sottolineature ed elementi
differenti del tema pasquale. Potremmo dire che mentre gli itinerari che
conducono alla celebrazione della Pasqua sono diversi ogni anno (in sintesi:
anno A il tema battesimale; anno B il tema pasquale; anno C il tema
penitenziale), invece quelli che partono dalla Pasqua ci fanno percorrere un
itinerario unico, anche se presentando sottolineature differenti.
Il lezionario pasquale
Il Lezionario del tempo pasquale è descritto dall’Ordo Lectionum Missae (= OLM)
al n. 100. In questo testo si afferma, per quanto riguarda i vangeli, che le
prime tre domeniche del tempo di Pasqua sono segnate dalle apparizioni del
Risorto, la quarta è caratterizzata da letture sul Buon Pastore e le ultime tre
domeniche presentano passaggi del discorso e della preghiera del Signore dopo
l’ultima cena. Tutti i testi evangelici sono tratti dal Vangelo di Giovanni, che
caratterizza in modo particolare la liturgia pasquale anche nei giorni feriali,
dove ne viene proposta una lettura semicontinua.
Le prime letture invece presentano ogni anno «qualche elemento sulla vita, la
testimonianza e lo sviluppo della Chiesa primitiva», proponendo una lettura di
testi tratti dagli Atti degli Apostoli. Le pericopi degli Atti sono scelte nel
ciclo triennale «in progressione parallela». Cioè ogni anno la liturgia del
tempo di Pasqua attraversa in modo trasversale il libro degli Atti, presentando
tre percorsi paralleli attraverso la narrazione della vita della Chiesa
primitiva che questo testo del Nuovo Testamento propone.
Infine le seconde letture sono tratte da libri del Nuovo Testamento considerati
particolarmente adatti per esprimere la “fede pasquale” della Chiesa: la Prima
lettera di Pietro nell’anno A; la Prima lettera di Giovanni nell’anno B;
l’Apocalisse nell’anno C. Spesso – in modo particolare nell’anno C – la seconda
lettura presenta punti di contatto molto significativi con il brano evangelico.
Se queste sono le indicazioni generali offerte dall’OLM circa la composizione
del lezionario del Tempo pasquale, c’è una sottolineatura importante circa il
senso di ciò che la Chiesa vive in questo tempo liturgico. Le indicazioni che l’OLM
dà rischiano di perdere di vista un dato importante che ritroviamo in modo
evidente già nei testi neotestamentari riguardanti le apparizioni del Risorto.
Infatti occorre ricordare che, quando i Vangeli narrano l’incontro del Risorto
con i suoi discepoli, non lo fanno mai con un intento puramente di cronaca o
unicamente “apologetici” per dimostrare la verità della risurrezione, ma
vogliono annunciare una realtà permanente della vita della chiesa, cioè la
presenza in mezzo ad essa del suo Signore che il Padre ha liberato dai lacci
della morte. Nel Tempo pasquale, leggendo questi testi evangelici, la liturgia
celebra questa medesima realtà annunciata dai testi evangelici: la presenza in
mezzo ad essa del suo Signore vivente e risorto. Il Tempo di Pasqua è
celebrazione della presenza del Risorto in mezzo ai suoi discepoli, come
elemento centrale e permanente della vita della Chiesa. È questa realtà da tener
sempre presente, se non si vuole perdere il senso stesso della vita e della
missione della Chiesa, che essa celebra leggendo i racconti delle apparizioni
del Risorto e gli altri brani evangelici che annunciano chi è divenuto per la
vita della Chiesa il Nazareno dopo la sua risurrezione: egli è divenuto pastore,
via, verità, vita e vite dalla quale i tralci traggono linfa vitale se rimangono
uniti a lui. Il Risorto il fondamento della vita dei suoi discepoli che ha come
fondamento il “comandamento dell’amore” che egli per primo ha vissuto amando i
suoi “fino alla fine”.
Sottolineature e particolarità dell’anno C
Cerchiamo ora di cogliere gli aspetti particolari della celebrazione della
pasqua che vengono presentati dalle letture bibliche nell’anno C. La ricchezza
di questi testi meriterebbe più spazio, di quanto ora possiamo dedicare loro, ma
sarà comunque utile mettere in evidenza quegli elementi che ci sembrano
particolarmente rilevanti per il contesto pasquale nel quale sono inseriti. Ci
soffermeremo soprattutto sui brani evangelici e sulle pericopi tratte
dall’Apocalisse e proposte come seconda lettura.
Le domeniche III e IV potrebbero essere unite sotto il titolo “Incontrare il
Risorto”. In esse infatti troviamo racconti delle apparizioni del Risorto.
La II domenica di Pasqua (At 5, 12-16; Ap 1, 9-11.12-13.17.19; Gv 20, 19-31)
trova la sua identità e il mistero che essa celebra nel testo stesso dei
Vangeli. È il Vangelo di Giovanni che parlando di una apparizione “otto giorni
dopo”, lega a questa domenica l’evento domenicale dell’incontro ecclesiale con
il Signore risorto. Per questo motivo il brano evangelico di questa domenica è
fisso e non cambia nei tre cicli. Questa domenica può essere considerata come
“la prima domenica” e Tommaso diviene il prototipo del discepolo “assente” la
sera del giorno di Pasqua, ma “presente” nell’assemblea dei fratelli e delle
sorelle “otto giorni dopo”. In Tommaso ogni “assente – cioè anche noi – nel
giorno di Pasqua sa di poter fare la stessa esperienza dei discepoli presenti e
giungere alla pienezza della professione di fede: “mio Signore e mio Dio”. In
fondo è proprio questo il senso di ogni eucaristia domenicale: noi “allora
assenti” possiamo, come Tommaso, mettere le nostre mani nelle piaghe del Signore
Risorto e fare la nostra professione di fede in lui, nostro Signore e Dio. Anche
il brano dell’Apocalisse descrive in modo differente la medesima esperienza: la
visione del Risorto, in mezzo alla Chiesa, “nel giorno del Signore”. È il primo
testo in cui “il primo giorno dopo il Sabato” viene chiamato “giorno del
Signore”, cioè “Domenica”.
La III domenica di Pasqua (At 5, 27-32. 40-41; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19) è
caratterizzata dal cap. 21 del Vangelo di Giovanni. Questo capitolo, da molti
considerato una semplice aggiunta, se letto con attenzione, svolge una funzione
importantissima. Infatti possiamo scorgere in questo testo non solo una
descrizione di una apparizione del Risorto ai discepoli, bensì la descrizione
della vita della Chiesa dopo la Pasqua di Gesù. Leggere il cap. 21 in questa
prospettiva è importante anche per la sua lettura nella liturgia tempo pasquale
nel quale la Chiesa celebra la sua vita “trasfigurata” e rinnovata dalla
presenza del Risorto.
Quando Gesù dà ai discepoli il pane e il pesce, quando compie quei gesti così
familiari per loro, l’evangelista annota: «Nessuno dei discepoli osava
chiedergli: tu chi sei?» (Gv 21,12). I discepoli sanno senza domandarlo che è il
Signore. Ora nella storia i discepoli, grazie alla presenza dello Spirito Santo,
non devono più interrogare Gesù come facevano quando egli era con loro, perché
il loro rapporto con lui e con il Padre è radicalmente trasformato dalla Pasqua.
Essi riconosceranno Gesù non perché faranno delle domande ma perché si
cingeranno come lui la veste, cioè assumeranno la sua stessa vita, la sua stessa
logica di vita nel dono di sé. Compiendo il “comandamento” di Gesù (Gv 14,21), i
discepoli riconosceranno e faranno conoscere la presenza del Risorto nella
storia.
Le domeniche dalla IV alla VI potrebbero avere come titolo “La vita nuova del
Risorto”. In queste domeniche la liturgia celebra la vita nuova che è sgorgata
dalla Risurrezione di Gesù per i suoi discepoli. Troviamo testi tratti Gv 10 e
dal discorso di addio di Gesù in Gv 13-17.
La IV domenica di Pasqua (At 13, 14. 43-52; Ap 7, 9. 14-17; Gv 10, 27-30) è in
ogni ciclo dedicata alla figura di Gesù-Pastore e si legge ogni anno come
Vangelo un brano del cap. 10 di Giovanni. Come sempre dobbiamo collocare questo
tema nel contesto liturgico di questo tempo e coglierlo nel suo significato
pasquale evitando di parlare in astratto di Gesù come pastore e quindi dei
pastori della Chiesa. Nella liturgia Gesù è presentato come pastore in rapporto
alla sua Pasqua: il Risorto è divenuto il Pastore della sua Chiesa. Aver
collocato in questa domenica “la giornata per le vocazioni” non aiuta molto a
centrare bene il tema in senso pasquale.
Egli è “l’Agnello-Pastore”. È l’aver dato la sua vita per il suo gregge a
renderlo “loro pastore”, capace di guidarli alle fonti delle acque della vita.
Questa visione finale della storia, che si conclude con la bellissima immagine
di Dio che terge ogni lacrima dagli occhi dell’umanità, è lo sfondo sul quale
collocare i versetti del Vangelo di questa domenica. Per questo ogni anno non
manca mai una domenica nella quale si legge un brano del cap. 10 di Giovanni,
perché uno dei frutti della Pasqua che irradia di luce nuova la storia è proprio
la costituzione di Gesù come Pastore.
Nella V domenica (At 14, 21-27; Ap 21, 1-5; Gv 13, 31-33. 34-35) l’Apocalisse
riprende una immagine molto bella già usata in precedenza per parlare della fine
della storia (cfr. Ap 7,17): Dio che asciuga ogni lacrima dal volto
dell’umanità. Ma qui c’è anche un elenco di situazioni che alla fine e nel fine
della storia non ci sono: «non vi sarà più morte né lutto e grida e dolore» (Ap
21,5). Si parla di “ogni lacrima” e poi si fa l’elenco di una serie di
concretissime situazioni che hanno toccato la vita degli uomini e delle donne di
ogni tempo. Non si parla dell’intervento di Dio in occasione di grandi eventi
della storia, ma si parla delle lacrime, dei lutti e delle tribolazioni che ogni
uomo e ogni donna hanno vissuto nella loro concreta esistenza. Nel testo
evangelico viene annunciato che senza l’amore di Gesù per i discepoli, nel quale
la gloria del Padre si manifesta, non ci può essere amore tra i discepoli. Per
questo il comandamento dell’amore è un frutto della Pasqua ed è “novità”, perché
la storia non avrebbe potuto “generarlo”. Anche questo è un “tratto” della
Pasqua che la Chiesa celebra in questo tempo. Tutti dovranno poter cogliere
questa novità che fiorisce in mezzo a loro proprio a partire dall’amore
vicendevole. L’amore vicendevole è il segno distintivo dei discepoli, ma questo
non è loro conquista, ma “la traccia” che la potenza della Pasqua di Gesù agisce
in essi.
Anche nella VI domenica (At 15, 1-2. 22-29; Ap 21, 10-14. 22-23; Gv 14, 23-29)
celebriamo un altro “frutto” della Pasqua nella vita della Chiesa e
dell’umanità. La lettura dell’Apocalisse ci aiuta ancora una volta a cogliere lo
sfondo pasquale sul quale leggere il brano evangelico. Qui troviamo la
descrizione della Gerusalemme del cielo nella quale Dio e l’Agnello dimoreranno
presso il suo popolo. Nella Gerusalemme del cielo non ci sarà né Tempio, né
sole, né luna. Nel compimento della storia Dio stesso, senza bisogno di una
“abitazione” di pietra, il tempio, perché sarà tutto in tutti (1Cor 15,28).
Il brano del Vangelo si apre proprio con una affermazione di Gesù che annuncia
un tempo futuro in cui i discepoli diventeranno luogo presso il quale Gesù e il
Padre prenderanno dimora. La dimora di Gesù e del Padre presso un discepolo di
Gesù viene descritta nel Vangelo prima in positivo (v. 23) e poi in negativo (v.
24). Giovanni quindi afferma che, dopo la Pasqua di Gesù, dopo la sua
risurrezione, ci sarà un tempio, ancora una volta da non situare alla fine della
storia ma nella storia, nel quale si potrà realizzare una nuova comunione tra
Dio e l’umanità. Questa nuova possibilità di comunione passa attraverso
l’adesione a Gesù. Il Vangelo di Giovanni ci elenca le tappe che possono
condurre a vivere già ora la comunione che è la meta che Dio ha pensato per
l’umanità fin dalla fondazione del mondo: amare Gesù, ascoltare la sua Parola,
sentirsi amati dal Padre.
Le domeniche VII e VIII del Tempo pasquale celebrano due misteri particolari:
l’Ascensione e la Pentecoste.
Nel mistero dell’Ascensione (VII domenica: At 1,1-11; Eb 9,24-28;10,19-23; Lc
24,46-53), che la Chiesa celebra quaranta giorni dopo la domenica di Pasqua,
siamo chiamati a vivere un’altra realtà che fa parte integrante del mistero
pasquale. Il mistero della risurrezione di Gesù, che in questo tempo di Pasqua
abbiamo celebrato nei suoi vari aspetti, come abbiamo visto nelle varie
domeniche, non è un fatto che riguarda unicamente il tempo di Pasqua, ma lo
celebriamo in questo tempo liturgico perché diventi realmente “la nota di fondo”
di tutta la nostra vita di discepoli del Signore. Se questo è vero per ogni
tappa del Tempo pasquale, la solennità dell’Ascensione ci spinge ancor più a
riflettere su questo tema: la Pasqua, la vita del Risorto nel tempo della sua
assenza!
La Pentecoste (VIII domenica: At 2, 1-11; Rm 8, 8-17; Gv 14, 15-16. 23-26) non è
“la festa dello Spirito Santo”, ma la celebrazione del “compimento della Pasqua
nel dono pasquale per eccellenza, che è appunto lo Spirito. In quest’ottica
pasquale (ed ecclesiale) occorre vedere il dono dello Spirito.
L’itinerario, seppure veloce e incompleto, attraverso le domeniche di Pasqua ci
può insegnare a comprendere meglio il senso di questo tempo liturgico, che
possiamo considerare come “il tempo ecclesiale” per eccellenza. Infatti esso è,
attraverso il linguaggio liturgico proprio della liturgia, sacramento del tempo
che la Chiesa vive nella storia dalla Risurrezione del suo Signore fino al suo
ritorno. Un cammino già annunciato dalla processione dietro il cero pasquale nel
buio della notte della Grande Veglia. In questo tempo la chiesa “apprende” a
vivere nella storia riconoscendo quella Presenza che sta a fondamento della sua
vita e quei doni che la sostengono nel suo cammino.