L’ecumenismo, dopo oltre quattro decenni di intensi scambi tra le chiese, ha prodotto anche se in mezzo a tante difficoltà, una messe abbondante di frutti. Tuttavia, molti rimangono i nodi ancora da sciogliere. Per questo è giunto il tempo di iniziare una nuova fase e di affidare a una nuova generazione il compito di prendere in mano la fiaccola dell’ecumenismo per affrontare le questioni che ancora rimangono aperte.
A fare il punto sull’attuale momento è stato lo stesso card. Kasper nel simposio che si è tenuto a Roma dall’8 al 10 febbraio scorso presso la sede del pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani sui risultati dei dialoghi ufficiali tra la Chiesa cattolica e le Chiese storiche protestanti: luterani e riformati, anglicani e metodisti. Al centro dei lavori, la presentazione del libro dello stesso cardinale intitolato Harvesting the Fruits (Raccolta dei frutti): «Gli ultimi decenni – ha detto il cardinale – sono stati caratterizzati da un crescente rispetto reciproco, fiducia e amicizia. In effetti, questi sono i veri frutti, che sono anche più importanti dei frutti che abbiamo raccolto nei nostri documenti. Ci siamo riscoperti come fratelli e sorelle in Cristo».
Ora bisogna guardare al futuro e di riprendere il cammino con “nuovo realismo”. Restano diversi importanti nodi da sciogliere. Ma, ha sottolineato, «non c’è ragione per scoraggiarsi o essere rassegnati, come sono molti oggi». Non si tratta infatti di cominciare da capo, ma di costruire sul solido fondamento raggiunto in tutti questi anni.

Il problema ermeneutico


Abbiamo affermato, ha affermato il card. Kasper nell’introduzione dei lavori, il nostro comune fondamento in Gesù Cristo e nella Trinità come è espresso nel nostro Credo comune e nella dottrina dei primi concili ecumenici. È stato possibile approfondire e ampliare questo comune fondamento nel consenso circa verità fondamentali comuni della dottrina della giustificazione. Esiste perciò un consenso riguardante il centro e il fondamento del messaggio cristiano che rende possibile la nostra testimonianza condivisa davanti al mondo. Un importante progresso è stato compiuto anche nell’ecclesiologia, nel rapporto tra la sacra Scrittura e la tradizione, sulla natura sacramentale della Chiesa, la successione apostolica e i ministeri nella Chiesa. Da ricordare anche il consenso o piuttosto la convergenza sull’Eucaristia, ossia su dottrine che nel secolo sedicesimo furono al centro di aspre controversie e che sono ancor oggi cruciali per il raggiungimento della piena comunione. In questo contesto, il dialogo con la Comunione anglicana è stato la fonte di importanti risultati.
Il problema chiave nella teologia ecumenica è quello ermeneutico. Il problema riguarda l’ermeneutica biblica e dogmatica, il rapporto tra una lettura storico-critica della Bibbia e una lettura alla luce della tradizione e l’autocoscienza della Chiesa, problema che tra le altre cose implica questioni riguardanti il Magistero e il suo ruolo nell’interazione tra le altre istanze della testimonianza. Il problema fondamentale ermeneutico consiste nel come tradurre e interpretare il messaggio rivelato una volta e per sempre nel contesto contemporaneo, come sostenere la perenne importanza del messaggio evangelico senza cadere nella trappola del fondamentalismo o del relativismo. Questi sono problemi davanti ai quali si trovano tutte le Chiese.
Quest’ultimo problema – cioè l’attinenza viva e dinamica del messaggio apostolico nel mondo contemporaneo – costituisce una priorità anche nella seconda serie di problemi, vale a dire nella questione antropologica. Qui troviamo i temi tradizionali della collaborazione tra Dio e l’uomo e il simul justus et peccator (insieme giusto e peccatore); ma oggi ci troviamo di fronte anche a nuovi problemi, soprattutto quelli etici, che hanno diviso recentemente alcune chiese al loro interno e che purtroppo hanno anche ampliato la distanza tra le chiese. Non si tratta semplicemente di temi specifici quali l’omosessualità, ma di argomenti più fondamentali per la società moderna e postmoderna come che cos’è l’uomo? E cosa significa essere uomo o donna nel piano di Dio? Ci sono i problemi attuali riguardanti i diritti umani, la giustizia sociale nel contesto globale, la pace, la bioetica, la salvaguardia del creato e così via. In tutti questi temi siamo chiamati a dare una testimonianza comune al mondo, un mondo che si trova davanti a una profonda crisi antropologica.

Le questioni ecclesiologiche

I dialoghi recenti hanno messo a fuoco una terza serie di problemi, ossia le questioni ecclesiologiche. A prima vista, questi problemi su cui siamo divisi sembrano primariamente di natura istituzionale; vale a dire, il problema della sacramentalità dell’ordinazione, il ministero episcopale nella successione apostolica e quello del primato del vescovo di Roma. Grazie a Dio vediamo che anche in questi problemi c’è stato un notevole riavvicinamento, ma in sottofondo rimane un problema fondamentale: non solo che cos’è la Chiesa, ma dove è la Chiesa? Dio ha dato alla sua Chiesa una specifica struttura o ha lasciato ad essa di trovare la sua struttura concreta, in modo tale da rendere possibile un pluralismo di strutture; strutture intercambiabili e bisognose solo si riconoscersi reciprocamente? Qui si tratta della realtà della salvezza e della natura sacramentale dell’essenza e della struttura della Chiesa.
Infine, bisogna ricordare i problemi riguardanti i sacramenti, che permangono nella dottrina circa l’Eucaristia, ossia, la presenza reale del Signore e il carattere sacrificale della messa che sono stati la ragione di aspre controversie nel passato. Sono problemi in cui la comunione della Chiesa e la comunione tra le chiese diventano specifici. Qui abbiamo anche le attese dei nostri fedeli che aspirano a condividere la stessa mensa del Signore. Sono problemi a cui devono particolarmente far fronte i pastori delle nostre chiese, confrontati come sono dalla realtà di un numero crescente di matrimoni misti.
Una riflessione sul cammino verso il futuro presuppone che sappiamo sia dove andare sia qual è lo scopo del viaggio ecumenico. Senza una meta condivisa corriamo il rischio di prendere direzioni diverse finendo col distanziarci ancor di più dal punto di partenza.

Diverse ecclesiologie e concezioni dell’unità

Sappiamo tutti che su certi aspetti importanti le Chiese tra loro divise hanno diverse ecclesiologie, e ciò vuol dire che hanno anche diverse concezioni dell’unità da raggiungere. Non possiamo pertanto partire da un punto neutrale, e nessuna Chiesa può imporre il suo punto di vista sulle altre o criticarle perché non accettano la sua posizione, presa in base ai suoi presupposti.
La chiesa cattolica comprende se stessa come una comunità nella fede, nei sacramenti e – a servizio di ambedue – nel ministero apostolico. Pertanto la sua concezione della finalità ecumenica è la piena comunione nella fede, nei sacramenti e nel ministero apostolico. Possiamo dire che la scopo è la piena comunione in una comunione di comunioni, che in diversi modi condividono la medesima fede, gli stessi sacramenti e il medesimo ministero apostolico: Perciò, la concezione cattolica comprende allo steso tempo l’unità e la diversità; ossia la diversità nell’unità.
Negli anni successivi alla pubblicazione della dichiarazione Dominus Iesus (2000), lla discussione a volte aspra sorta al riguardo si riferisce all’interpretazione della formula subsistit in nella costituzione dogmatica del concilio Vaticano secondo, Lumen gentium 8, e nel decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio 4. Questa formula afferma che la Chiesa di Cristo e la sua unità sono realizzate nella Chiesa cattolica, ossia, nella Chiesa che è in comunione con il vescovo di Roma e con i vescovi in comunione con lui.

Molti nostri partner ecumenici hanno inteso questa formula come una chiusura che segnava la fine del dialogo ecumenico intrapreso fino a quel momento. È stato un errore da parte nostra non aver spiegato che per i padri conciliari il termine subsistit non implicava una chiusura ma piuttosto un’apertura. L’intenzione dei Padri conciliari nel formulare il termine subsistit in era di riconciliare due aspetti. Primo, volevano affermare la posizione dell’intera nostra tradizione: che la Chiesa cattolica è è la Chiesa di Cristo e che la Chiesa cattolica è la vera Chiesa.
Secondo, essi hanno anche affermato – è questa è l’apertura – che esistono molti importanti elementi della Chiesa di Cristo al di fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica, e che, nella misura in cui tale elementi sono presenti in altre Chiese, la Chiesa di Cristo è operante in essi.
Può sembrare che si tratti di un confronto fra termini astratti o persino di una battaglia lessicografica circa il significato del termine latino est e del termine subsistit. In realtà si tratta di cose molto più essenziali e semplici se partiamo dal concetto di “comunione” che definisce la vera natura della Chiesa.
Che cosa significa comunione in senso teologico? Non significa comunità in senso orizzontale ma communio sanctorum – cosa che potremmo chiamare partecipazione verticale in ciò che è “santo”, nelle “cose sante” – vale a dire, lo Spirito di Cristo presente nella sua Parola e nei sacramenti amministrati da ministri rite vocati, ossia debitamente ordinati. Perciò il concilio cerca di dire che una tale presenza operativa di Cristo nello Spirito esiste anche fuori dei confini istituzionali della Chiesa cattolica, dovunque la parola di Dio è proclamata e i sacramenti sono celebrati in conformità con il Vangelo. Non esiste un vuoto ecclesiale al di fuori della Chiesa cattolica, ma vi troviamo una comunione ecclesiale in gradi diversi.
“In gradi diversi” significa che vi sono dei deficit nelle altre Chiese. Tuttavia su un altro piano ci sono dei deficit, o piuttosto, delle ferite che derivano dalla divisione e ferite che derivano dal peccato, anche nella Chiesa cattolica. Anche la Chiesa cattolica non è perfetta e ha bisogno di un costante rinnovamento. Qui sta l’importanza del dialogo ecumenico che invita a un tale rinnovamento e lo favorisce. Mediante il dialogo, o meglio attraverso lo scambio di doni, tutte le Chiese imparano a crescere e a maturare nella loro fedeltà a Cristo. La via alla piena comunione non è un movimento a senso unico. Tutte le parti devono muoversi. Tutte hanno bisogno di pentimento e di rinnovamento.
Perciò il dialogo non si sviluppa solo attraverso i negoziati tra le Chiese, ma in primo luogo mediante una partecipazione più intensa in ciò che è santo, ossia, in Cristo e nello Spirito Santo. Il fine ecumenico non può essere raggiunto con un ritorno al passato, ma piuttosto attraverso un ecumenismo che si muove in avanti, una dinamica spirituale di crescita verso la pienezza di Cristo. L’ecumenismo spirituale è il vero cuore dell’ecumenismo.
Il processo che ha guidato alla Dichiarazione congiunta circa la Dottrina della giustificazione (1999) tra la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale è stata complicata, poiché comprendeva tutti i sinodi delle chiese luterane. (Il Consiglio metodista mondiale l’ha adottata nel 2006). Non sono sicuro che un processo del genere possa ancora essere realisticamente intrapreso in futuro.

Un catechismo ecumenico


Un’idea emersa nella Plenaria del nostro pontificio Consiglio per la promozione dell’unità cristiana (inizio di febbraio) è stata di preparare un catechismo ecumenico con la consultazione dei nostri partner anche se in ultima analisi sarà autorizzato solo dalla competente autorità cattolica. Finora non abbiamo alcuna idea di come un catechismo del genere possa essere strutturato e scritto.
Oggi c’è bisogno, perciò, di un ecumenismo di base che identifichi, rafforzi e approfondisca il fondamento comune e da qui si estenda ai restanti problemi aperti. In altre parole, dobbiamo ricavare le dinamiche interne. Ciò è quanto è inteso nel dialogo cattolico-luterano sul tema Battesimo e crescita della comunione nella Chiesa. E in modo analogo, è anche lo scopo del dialogo con i nostri partner metodisti sui sacramenti, battesimo, eucaristia, ministero. Il dialogo con i riformati discuterà sul tema La comunità cristiana agente di giustizia. La scelta di questo tema ha lo scopo di spianare la strada per un collegamento con la Dichiarazione congiunta circa la dottrina sulla giustificazione, cosa che sarebbe di grande gioia per noi. Con la Comunione anglicana ci siamo accordati sul tema Chiesa come comunione: locale e universale per trattare in questo contesto anche del discernimento dei temi etici a questi due livelli e l’interazione tra di essi.
Il dialogo ecumenico corre forse il rischio di diventare una problema di specialisti e così di allontanarsi dalla base. Ma i nostri dialoghi teologici porteranno frutto solo se saranno promossi in un più ampio contesto di chiesa. Essi devono essere sostenuti dai fedeli, perché è solo così che questi frutti potranno sostenere e ispirare gli stessi dialoghi. Dobbiamo perciò riflettere ulteriormente su come realizzare una migliore interazione tra tutte le dimensioni del dialogo e intraprendere un ecumenismo centrato sulla gente.