Sul tema della speranza come missione nel continente europeo, nella Chiesa e
soprattutto nella VC, si sono svolti, a Częstokowa, dall’8 al 14 febbraio, i
lavori della biennale assemblea dell’unione delle conferenze europee dei
superiori maggiori (Ucesm). Erano presenti delegati di 37 conferenze europee, di
25 diversi paesi, in rappresentanza dei circa 400.000 religiosi/e d’Europa. Il
pellegrinaggio compiuto insieme ad Auschwitz all’inizio del convegno è servito a
rendere ragione della speranza umana e cristiana che non dovrebbe mai mancare
anche e soprattutto nelle situazioni più terribili che spesso, come in questo
caso, è difficile anche solo immaginare.
«Se all’inizio di questo secolo, ha esordito l’unico relatore di tutto il
convegno, il claretiano José Christo Rey García Paredes, un noto esperto nel
campo della VC, ci chiedessimo, qual è il tempo dell’Europa: tempo di speranza
oppure tempo di disperazione?, probabilmente questo ci metterebbe in una certa
ansietà». È vero che in passato si sono vissuti momenti di speranza più forti,
ma non sono mancati neanche momenti di disperazione più grande. Sarebbe fin
troppo facile, oggi,ritrovarsi d’accordo con quanti affermano che in Europa,
nella Chiesa e nella VR manca la passione della speranza». Il grande
interrogativo, infatti, oggi è quello di sapere cosa potrebbe essere possibile
fare per contribuire alla crescita della speranza in Europa.
Un altro mondo è possibile
Il punto di partenza è sicuramente quello di un’adeguata conoscenza del contesto
intellettuale europeo, a cui Paredes ha dedicato tutta la sua prima parte
dell’intervento. Ignorando il contesto, è facile rasentare l’ingenuità quando si
parla della missione della speranza. In Europa oggi è in atto una profonda
modificazione della coscienza dell’essere umano. Basterebbe rileggere, come ha
fatto il relatore, quanto detto da alcuni tra i più noti pensatori e filosofi
del nostro tempo. Nonostante tutti i suoi aspetti problematici, però, il
contesto europeo attuale rimane sempre aperto a nuovi orizzonti di speranza, di
giustizia, di pace, di attenzione al creato. Non si può rinunciare a credere che
«un altro mondo è possibile».
Una fondamentale chiave interpretativa del presente e del futuro è quella
offerta dalla dimensione escatologica del messaggio cristiano e delle comunità
ecclesiali. L’Apocalittica, su cui si è successivamente soffermato Paredes, è
sostanzialmente una spiritualità dell’Alleanza con Dio che, alla fine,
sconfiggerà sempre il male. Solo una corretta visione dell’apocalittica potrà
far rinascere la spiritualità nella vita del credente, e in particolare dei
religiosi.
In tempi di cambiamenti profondi come quelli attuali, «la società ha bisogno che
qualcuno le racconti nuove storie portatrici di senso. Noi religiosi possiamo
raccontare queste storie alternative, capaci di farci sognare». Ma come
trasmettere oggi la speranza nel contesto europeo? Come fare della speranza la
vera missione dei religiosi? In questo lungo periodo post-conciliare, infatti,
«uno dei cambiamenti più importanti in atto riguarda proprio la missione», che
«non s’identifica con quello che facciamo, ma piuttosto con quello in cui,
misteriosamente, noi collaboriamo».
La missione, intesa sempre più come missio Dei, missio inter gentes, come
missione condivisa, «è la nostra ragion d’essere come religiosi». Questa
missione, nella quale si rivela sempre la presenza misteriosa dello Spirito di
Dio, s’incarna «in ogni azione carismatica che i diversi gruppi e persone
compiono nel mondo e nella Chiesa». Particolarmente sensibili a questa missione
dovrebbero essere, appunto, le comunità religiose. Forti appelli e sfide
missionarie in tal senso, oggi, non mancano. Proprio per questo è «d’importanza
radicale che gli istituti di VC non solo programmino la loro missione, ma
scoprano verso dove lo Spirito li sta chiamando».
L’Europa terra di missione
È sempre più necessario ritrovare un modello di missione che non si concentri
tanto nell’aiuto agli altri. È un atteggiamento troppo facilmente tacciabile di
presunzione e di superiorità». È molto più importante, invece, pensare a una
missione per «essere insieme con gli altri, nel sostenerli, nell’essere i
mecenati della nascita di un nuovo essere umano». Dalla missio ad gentes, si
deve ormai passare alla missio inter gentes. Non si può più ipotizzare la
missione nel senso di «dare agli altri ciò che non hanno: la luce, la fede, gli
insegnamenti morali, la speranza che manca». Oggi la missione va invece pensata
come «missione del dialogo, dell’interazione, dell’interattività». Ciò che
conta, la questione bruciante, dice Paredes, «non è il contenuto del messaggio,
ma la credibilità della nostra testimonianza, della nostra capacità di
interrelazione e di ospitalità nei confronti di chi è diverso, di quanto lo
Spirito fa sorgere nei contesti di dialoghi di vita».
Più che il contenuto del messaggio, oggi gli europei sono più sensibili alla
componente emotiva, dalle emozioni di base come l’entusiasmo oppure la paura,
all’influsso reale delle decisioni prese. «Ciò che provoca entusiasmo mobilita
le persone. Ciò che induce paura crea incertezza e paralizza». Essere portavoce
di Gesù e del suo Vangelo, prolungandone le sue azioni messianiche e
liberatrici, oggi è la prima grande missione. Attraverso la celebrazione dei
sacramenti della sua presenza e della sua alleanza, è possibile dare un senso
salvifico anche alla sofferenza e alla croce.
I religiosi in Europa non possono oggi sentirsi con la coscienza a posto
«vedendo in quanti posti il Vangelo è dimenticato e non è più annunciato.
L’Europa è un territorio di missione e, spesso, un territorio inesplorato.
Dobbiamo riorganizzare le nostre forze per una nuova fase della missione
evangelizzatrice. Dobbiamo oltrepassare frontiere di ogni tipo». Mai come oggi,
il Vangelo della speranza si sta rivelando necessario e attuale.
Per creare un mondo diverso è indispensabile «agire sui codici culturali che
impregnano le mentalità». Non è possibile trasformare le persone senza incidere
sensibilmente sui processi educativi. Lo spazio della cultura, dell’educazione,
è la grande piattaforma oggi offerta a tutti, ma in particolare ai religiosi
costantemente sollecitati a «oltrepassare le frontiere».
Se la missione dei religiosi è determinata fondamentalmente dalla speranza,
allora sarà sempre più urgente da parte loro collaborare con i movimenti che
offrono la possibilità di creare un mondo ecclesiale e di VC diverso, lasciare
più spazio alle domande che non alle risposte, agire sui codici culturali che
favoriscono una nuova visione della realtà e una nuova consapevolezza, ampliare
tutti gli ambiti dell’informazione, modificare le relazioni di potere esistenti
e favorire nuove vie per tutte le decisioni da prendere. Solo dopo aver imparato
a pensare in modo diverso, sarà possibile anche agire in modo diverso. Qui si
manifestano tutte le potenzialità della missione della speranza, nel proporre e
lanciare, cioè, sia nella società che nella Chiesa e nella stessa VC, «messaggi
che sappiano mettere in discussione certi valori dominanti e gli interessi che
vi soggiacciono».
Per dare consistenza a questa missione, «le parole e gli scritti non bastano».
Servono anche le mani, la testa, la forza dell’esperienza. Servono dei nuovi
tentativi anche se accompagnati da possibili errori, la pazienza e la
perseveranza e, soprattutto, la fiducia nel progetto. Nessuno, ripete Paredes, è
oggi preparato ad affrontare il processo di mutazione in corso. Però è sempre
più chiaro per tutti l’obiettivo di fondo che si vuol perseguire, quello, cioè,
di favorire la crescita di persone sempre più consapevoli di quanto sta oggi
avvenendo in loro e attorno a loro. Se l’educazione non è una scienza, ma
un’arte, «nessuna questione sociale è più essenziale di quella dell’educazione».
Lo spazio dell’educazione mondiale, afferma Paredes, è come un grande
laboratorio dove «la Chiesa sperimenta e verifica la validità delle sue proposte
per tutti i campi e le dimensioni della sua missione, scoprendo quali modelli di
missione sono validi per la società di oggi e quali sono obsoleti e superati».
Entrare inevitabilmente in dialogo con le istituzioni laiche, significa, da
parte del mondo ecclesiale e di VC, «purificare le propri idee e le proprie
proposte e rinunciare a degli atteggiamenti fondamentalisti, dogmatici,
impositivi o presuntuosi».
Il progetto ineditodella missione educativa
La missione educativa «è una delle dimensioni e dei campi più seri della
missione evangelizzatrice della Chiesa». Anche senza volerlo, «entrano in gioco
la nostra importanza sociale, la nostra capacità d’influenzare i processi di
trasformazione e di miglioramento strutturale locali e mondiali, il nostro
contributo all’emergenza di una nuova società più giusta, più pacifica, più
solidale e più ecologica». In questa missione educativa la Chiesa deve
necessariamente «investire una grande parte della sua saggezza, della sua
eredità profetica e tutte le sue migliori risorse spirituali e umane».
Educare, afferma Paredes citando José Luis Corzo, non significa insegnare o
clonare, ma aiutare a «crescere nelle relazioni e affrontare insieme le sfide
della vita collettiva». Il fatto che il processo educativo faccia sempre ricorso
a verbi intransitivi come vivere, crescere, aumentare, uscire, sorgere, fiorire,
fruttificare, essere in relazione, rispondere, significa che «noi ci educhiamo
insieme». Ma questo dice anche un’altra cosa, e cioè che «è finito il tempo del
protagonismo dell’educatore». Del resto, è dal tempo del concilio che la
missione si è incominciato a vederla soprattutto «come dialogo, come inserimento
nei processi in corso, come incarnazione nella realtà, accompagnamento,
chiarimento, un farsi vicini agli altri».
Ora gli istituti di VC, grazie alla loro dimensione sempre più internazionale e
intercontinentale, «portano in sé una visione più cattolica e mondiale di quelle
offerte dalle Chiese locali, provinciali o nazionali». Questo non toglie, però,
che la missione educativa si presenti ai religiosi come un progetto quasi del
tutto inedito che «va a situarsi proprio all’inizio di una nuova società che sta
emergendo». È questo il momento, per i religiosi, di giocare tutte le loro carte
migliori recuperando l’entusiasmo e la capacità creatrice e innovatrice delle
origini, guardando allo Spirito Santo e a Gesù risorto come i protagonisti primi
della missione, accettando la prospettiva di essere una piccola minoranza
all’interno, però, di una missione condivisa.
In un’epoca caratterizzata dal cambiamento di paradigma della VC, «è decisivo
avere una visione», con la quale è in qualche modo possibile «presentire da che
parte andranno le cose, visualizzare una specie di modello plastico del futuro
che deve ancora essere costruito, scoprire come i sogni potranno diventare
realtà». La visione non è una qualità di tutti, ma solo dei visionari, di
coloro, cioè, cui «è dato vedere», pre-disegnare il futuro». E quando si parla
di missione, questo è molto importante. Solo la visione può garantire il suo
fondamento e la sua ragion d’essere.
Siamo di fronte, conclude Paredes, a qualcosa di grande, a un cambiamento
d’epoca che sta arrivando come «un dono dal cielo» e che prefigura anche una
nuova forma di cittadinanza». Nella complessità di questo tempo, una Chiesa
aperta alla speranza «è la migliore notizia che possa giungerci». I religiosi,
soprattutto europei, «non dovrebbero lasciar passare questo momento propizio.
Non possiamo e dobbiamo ravvivare la nostra speranza e annunciare, come i vecchi
profeti che parlavano della Natività, che qualcosa di nuovo sta accadendo».