IL MESSAGGIO LITURGICO
SPIRITUALITÀ DEL TEMPO DI
NATALE
Al centro della celebrazione del Natale-Epifania sta
l’evento storico dell’incarnazione del Verbo. Ma non è una semplice
commemorazione di un fatto storico del passato. La Chiesa “oggi” celebra
l’unione dell’umanità con la divinità realizzata nell’incarnazione del Verbo e
che “oggi” continua ad attuarsi nella vita dei credenti.
Il Tempo di Natale è la
seconda parte del “ciclo della manifestazione del Signore” di cui fa parte
anche l’Avvento. Questo tempo liturgico va dalla solennità di Natale (25
dicembre) alla festa del Battesimo del Signore (domenica dopo l’Epifania). È un
tempo liturgico che è radicato nelle tradizioni popolari ed è profondamente
sentito anche ai nostri giorni. Basta vedere come cambia nell’imminenza di
queste festività l’aspetto delle nostre città per accorgersene. Questo non è un
male e non dobbiamo nemmeno condannarlo come vuoto consumismo. Anche nelle
manifestazioni esteriori infatti si può nascondere qualcosa di autentico che,
qualora valorizzato e indirizzato correttamente, può essere l’espressione di un
desiderio che non è detto non possa trovare una risposta nell’annuncio
evangelico. Tuttavia occorre fare attenzione a non attribuire a questo tempo
liturgico dei significati che non gli appartengono. Se, come ho detto, le
tradizioni e le manifestazioni esteriori possono essere un bene, tuttavia sono
esse a doversi lasciar illuminare dalla celebrazione del Natale e non essere
loro a imporre alla celebrazione liturgica dei contenuti che non le sono propri
o sono troppo parziali.
NATIVITÀ
ED EPIFANIA
Nel tempo di Natale
possiamo individuare innanzitutto due “feste” principali che fanno da cornice a
tutto questo tempo liturgico e, insieme, ne esprimono bene il mistero che vi si
celebra. Sono la Natività del Signore (25 dicembre) e l’Epifania (6 gennaio).
Esse sono in stretto rapporto tra di loro e celebrano sottolineature differenti
del medesimo mistero dell’incarnazione e della manifestazione del Signore. Nella
loro origine tuttavia nascono in modo distinto (IV sec.). L’Epifania nasce in
oriente (dove oggi si celebra principalmente il mistero del Battesimo del
Signore) e il Natale in occidente: un influsso reciproco porta in un secondo
momento ad assumere entrambe le feste sia in oriente, sia in occidente
mantenendo le varie sottolineature che entrambe le tradizioni attribuivano
all’una e all’altra. Per cogliere l’autentico significato della celebrazione
del tempo di Natale occorre fare attenzione a non separare le due dimensioni di
cui Natività ed Epifania sono portatrici, ma a tenerle strettamente unite tra
di loro.
NEL RITMO
ANNUALE DEL TEMPO
Le feste del tempo di Natale
nascono intorno al solstizio di inverno. Questa collocazione non è casuale. Nei
testi liturgici troviamo molto spesso dei riferimenti al tema della luce che
viene a essere l’elemento simbolico principale per esprimere il “mistero della
salvezza” che la Chiesa celebra in questo tempo. Anche i Padri della chiesa non
ignorano l’importanza del riferimento ai ritmi della natura. Ad esempio in un
suo sermone san Massimo di Torino diceva: Per quanto io taccia, fratelli, il
tempo ci ricorda che il natale di Cristo Signore è vicino; l’estrema
contrazione dei giorni, infatti, previene la mia predicazione. Con le sue
stesse angustie il mondo annuncia che sta per accadere qualcosa che lo
riporterà al meglio e desidera, trepidante nell’attesa, che il chiarore di un sole
più splendente illumini le sue tenebre (Sermone 61a,1).
Come la luce del giorno,
a partire da questo giorno “più piccolo” (s. Agostino), sottrae
progressivamente spazio alle tenebre della notte, così la Chiesa celebra
nell’incarnazione del Verbo l’inizio della salvezza. Quello della luce è un
tema biblico che troviamo anche nei testi che maggiormente ritornano nel
lezionario del tempo di Natale: Gv 1,4-5.9; Lc 2,9.
«Per questo misterioso
scambio _di doni» (I testi liturgici)
Al centro della
celebrazione del Natale-Epifania sta certamente l’evento storico
dell’incarnazione del Verbo. Ma non si tratta di una semplice commemorazione di
un fatto storico del passato. Infatti, radicandosi in un evento fondante, per
sua natura, avvenuto una volta per tutte e irrepetibile, la Chiesa “oggi”
celebra l’unione dell’umanità con la divinità che si è realizzata
nell’incarnazione del Verbo e che “oggi” continua ad attuarsi nella vita dei
credenti. È quanto si afferma in un testo liturgico del tempo di Natale nel
quale la Chiesa afferma:la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale
è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile,
condividiamo la tua vita immortale (Prefazio di Natale III). Leone Magno in un
famoso sermone del tempo di Natale diceva: Riconosci, cristiano, la tua dignità
e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un
tempo con una condotta indegna. Ricordati che, strappato al potere delle
tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento
del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! (Tractatus XXI,3). In
questa prospettiva possiamo cogliere il senso più profondo della celebrazione
del Natale: «il Natale è la celebrazione dell’incarnazione di Cristo in questo
mondo, in questa società, mediante il “parto” della Chiesa-Madre» (G.
Cavagnoli).
Nella liturgia del Natale
troviamo molti altri testi liturgici che vanno in questa direzione e che
dovrebbero realmente plasmare la nostra preghiera in questi giorni. Nella colletta
della celebrazione eucaristica “della notte” la Chiesa prega: O Dio, che hai
illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del
mondo, concedi a noi, che sulla terra lo contempliamo nei suoi misteri, di
partecipare alla sua gloria nel cielo. Il testo quindi si chiede, come frutto
della celebrazione del Natale, che la Chiesa possa aver parte alla stessa vita
di Cristo. Ancor più esplicita e chiara è l’orazione sulle offerte sempre della
celebrazione “della notte”:Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte
di luce, e per questo misterioso scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo
Figlio, che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria. Infine nella
colletta della celebrazione “del giorno” si chiede di poter condividere la
“vita del Figlio” e lo si fa ricorrendo a un linguaggio che rimanda alla
creazione: O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo
più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita
divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana. La
celebrazione del Natale è quindi per la Chiesa una “nuova creazione” o una
“rinascita”. Leone Magno nel VI Sermone sul Natale affermava: mentre adoriamo
la nascita del nostro Salvatore, ci troviamo a celebrare anche la nostra
nascita.
«È apparsa la gloria di
Dio» (Alcuni spunti dal Lezionario)
Nella solennità della Natività del Signore
(25 dicembre) la liturgia romana propone delle letture ricavandole da quelle
usate tradizionalmente da questa famiglia liturgica in occasione delle
festività natalizie (cfr. OLM, 95). Un interessante accostamento di letture è
costituito dai tre brani proposti come seconda lettura per le celebrazioni
“della notte”, “dell’aurora” e “del giorno”. Letture che – come avviene di
solito per la seconda lettura delle domeniche e delle solennità – presentano in
modo particolare il legame tra il mistero celebrato e la vita dei credenti.
Naturalmente questo aspetto non è assente dalle altre letture (I Lettura e
Vangelo), ma è particolarmente centrale per quanto riguarda la seconda lettura,
che spesso ha anche un carattere parenetico-esortativo.
Il 25 dicembre il Messale Romano propone,
secondo una antica tradizione della Chiesa di Roma, tre formulari per la
celebrazione eucaristica con tre cicli di letture differenti. Se accostiamo i
tre testi del Nuovo Testamento proposti come seconda lettura, possiamo cogliere
nell’insieme il messaggio che la liturgia di questo giorno dà circa il rapporto
tra il mistero dell’incarnazione del Verbo e la vita dei credenti che celebrano
tale mistero nell’azione liturgica.
Per la celebrazione “della notte” e la
celebrazione “dell’aurora” il lezionario propone due brani della lettera a
Tito, che svolgono un ruolo ben preciso all’interno della struttura della
lettera stessa. Nella Lettera a Tito infatti i brani 2,11-14 e 3,4-7
costituiscono i punti cardine della struttura poiché rappresentano la
giustificazione dottrinale del comportamento morale che la lettera indica al
suo destinatario. Per la celebrazione “del giorno” invece la liturgia propone
la solenne e splendida apertura della Epistola agli Ebrei (1,1-6). Testo
estremamente forte, che, con espressioni molto dense, mette davanti agli occhi
dei credenti tutta la storia della salvezza e in essa colloca la novità del
Figlio.
Sono letture attraversate da una profonda
emozione, che traspare anche dalla loro forma letteraria che le avvicina a dei
“canti”, contemplazione degli autori sacri che si sentono come coinvolti e
partecipi della presenza-potenza di Dio che si manifesta nella storia:
– Tt 2,11-14 (notte): Si è manifestata la
grazia di Dio apportatrice di salvezza…
– Tt 3,4-7 (aurora): Quando si sono
manifestati la bontà di Dio salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini…
– Eb 1,1-6 (giorno): Dio, che aveva già
parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei
profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio…
Tre testi nei quali si percepisce lo
stupore per l’auto-comunicazione di Dio che in Gesù giunge al suo compimento. È
un po’ come nel prologo del Vangelo di Giovanni (brano di Vangelo del giorno di
Natale) dove con emozione l’autore afferma che il Verbo di Dio, colui che
eternamente è rivolto (in relazione con) verso il Padre, «si è fatto carne e ha
posto la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1, 14), compimento di un “progetto di
vita”… perché da sempre nel pensiero di Dio c’era la vita.
Questa auto-comunicazione di Dio viene
descritta come una manifestazione, una epifania che porta salvezza e che è
motivata unicamente dall’amore di Dio per gli uomini; viene descritta come
“parola” che attraversa la storia e che giunge al suo compimento. Ma davanti a
questa manifestazione e davanti a questa parola l’uomo non è un estraneo
spettatore, ma è profondamente coinvolto. Da qui la profonda emozione di questi
testi: il progetto di Dio in cui era vita (Gv 1,4) giunge a compimento e la
vita diviene “luce” per gli uomini (cf. J. Mateos - J. Barreto, Il Vangelo di
Giovanni, 306-309), perdono e salvezza.
Nella mia carne…
I testi biblici e liturgici che abbiamo
brevemente preso in considerazione ci salvano dal rischio di rinchiudere la
celebrazione del tempo di Natale nei confini troppo stretti di un “presepe”, e
ci donano uno sguardo contemplativo sulla storia, uno sguardo che sa
riconoscere nell’oggi di ogni tempo e di ogni uomo e donna l’incarnazione del
Verbo. Sarà semmai il “presepe” a lasciarsi attrarre verso orizzonti più ampi e
più ricchi.
Certamente nulla sarebbe possibile senza la
nascita di Gesù a Betlemme duemila anni fa, ma la celebrazione liturgica del
Natale non può essere ridotta a un nostalgico ricordo di un fatto commovente e
toccante del passato. Quel fatto ha trasfigurato la storia, ha fatto nascere un
mondo nuovo, una nuova creazione. Celebrando il Natale “oggi”, noi celebriamo
il nostro essere “resi figli” in colui che è il “primogenito” e il “pioniere”
(cf. Eb 2,10) che ci guida al compimento della nostra “vocazione celeste”. I
padri della chiesa d’oriente, parlando del senso dell’incarnazione, dicevano
che «Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventi Dio». Qui sta il senso della
nostra celebrazione del Natale “oggi”, è in noi che il Cristo oggi deve
nascere, nella sua Chiesa. Noi non attendiamo più una nascita del Cristo nella
carne… ma attendiamo il compimento quando tutto e in tutti sarà Cristo (cf. Col
3,11).
Si domanda Origene in una
delle sue omelie sulla Genesi: A che serve… dire che Gesù è venuto soltanto
nella carne che ha preso da Maria e non mostrare che è venuto anche nella mia
carne? (Omelie sulla Genesi 3,7 in: Maria. Testi teologici e spirituali, Milano
2000, 67-68). Egli elenca gli aspetti della vita degli uomini e delle donne nei
quali la venuta di Cristo nella nostra carne può manifestarsi. Secondo il
grande “biblista-teologo” del II-III secolo io potrò dire che Cristo è nato
nella mia carne se avrò fatto morire le mia membra che sono sulla terra… se
porto in ogni momento nel mio corpo la morte di Cristo (cf. 2Cor 4,10)… se sono
divenuto una cosa sola con lui con una morte simile alla sua (Rm 6,5)… In fondo
Origene afferma che l’incarnazione di Cristo in noi, il suo prendere carne
nella nostra carne, non è altro che la nostra vita trasfigurata e rinnovata
dalla sua Pasqua; la nostra esistenza raggiunta e toccata dal mistero pasquale.
Così la celebrazione del Natale si rivela profondamente legata alla Pasqua e
orientata verso di essa che è il culmine di tutto l’anno liturgico. Possiamo
concludere queste brevi riflessioni sul tempo di Natale citando ancora una
volta Origene: Il Signore ci accordi di credere con il cuore, di confessare con
la bocca (Rm 10,9-10) e di confermare con le opere che l’alleanza di Dio è
nella nostra carne affinché gli uomini, vedendo le nostre opere buone, diano
gloria al Padre nostro che è nei cieli (Mt 5,16) in Gesù Cristo nostro Signore.
Matteo
Ferrari,
monaco
di Camaldoli