RILEGGENDO IL DOCUMENTO DI APARECIDA
ALCUNE LUCI E DIVERSE OMBRE
Una rilettura
critico-teologica del Documento finale della Conferenza latinoamericana di
Aparecida, perché la vita quotidiana del popolo di Dio in America latina vada
nella direzione della formazione di un discepolato missionario, alla luce
dell’annuncio di Dio che è Amore.
A distanza di alcuni mesi, è tempo ora di prendere in mano con calma il Documento conclusivo della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, frutto della Conferenza episcopale di Aparecida (13-31 maggio 2006), dopo la sua approvazione da parte della santa Sede. Va detto subito che il testo ribadisce sostanzialmente scelte decisive di quella Chiesa (recupero, rispetto a Santo Domingo, del metodo “vedere-giudicare-agire”; opzione per i poveri; riconoscimento delle comunità ecclesiali di base), ma lascia intravedere anche silenzi eloquenti (assenza di riferimento esplicito al neoliberismo; nessun cenno ai vescovi martiri Oscar Romero ed Enrique Angelelli). Al di là di presenze e assenze di singoli temi è sulla prospettiva generale che dovrebbero però volgersi le riflessioni. In questa direzione ci sembra utile riportare gli aspetti salienti di un elaborato di Maria Clara Lucchetti Bingemer, della pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro (cf. sito web dell’Editrice Queriniana) .
UNA TRADIZIONE
E UN’IDENTITÀ
Secondo la nostra studiosa, il Documento conclusivo di Aparecida è «documento diverso. Diverso rispetto ai documenti delle conferenze precedenti: quanto allo stile, quanto al tono e anche quanto al contenuto. La differenza si spiega e giustifica per il momento grandi e profonde trasformazioni che sta vivendo il continente e anche l’umanità tutta».
Il documento è interessato a ravvivare la vita cristiana e a questo scopo elabora riflessioni e orientamenti. Si sente la preoccupazione di fondo dei vescovi per l’esodo dei battezzati nel continente e per la notevole crescita delle chiese pentecostali. I vescovi deplorano il fatto che molti cattolici si sono allontanati dal Vangelo, a causa di una vita che non corrisponde ai suoi ideali, e riconoscono che la Chiesa continua a usare metodi di evangelizzazione e catechesi che non parlano più al cuore delle nuove generazioni. I destinatari del documento corrispondono poi a un certo profilo di cattolici: secondo la Lucchetti Bingemer, «i nuovi movimenti ecclesiali, che negli ultimi tempi hanno conosciuto una significativa crescita, sono certamente i protagonisti del documento di Aparecida. Qui si nota una certa assenza di un altro tipo di cattolici, che sono aumentati di molto a partire dagli anni settanta: i cattolici degli ambienti popolari che hanno approfondito la loro identità e la coscienza della loro missione in seno alle comunità ecclesiali di base (CEB). A quelli, comunque, si rivolge il documento, esprimendo il desiderio e la speranza che diventino veri discepoli e missionari di Gesù Cristo nel loro continente. E per questo, elabora un itinerario di formazione diretto a tutti, ma che si ispira al recente avvenimento ecclesiale della nascita dei nuovi movimenti, comunità e associazioni che erano fioriti soprattutto nel precedente pontificato».
La cristologia che presiede al documento (capitolo IV) sottolinea la comunione di vita che deve esserci tra Gesù Cristo e i suoi discepoli e inviati. Siamo di fronte a una impostazione trascendentale e spirituale, basata fondamentalmente sulla parabola della vite (Gv 15) e sulla comunione che si realizza tra Gesù Cristo e chiunque si incontra con lui e si fa suo discepolo. Una cristologia discendente, che prende avvio dal mistero trinitario e dall’invio del Figlio da parte del Padre e arriva alla chiamata al discepolato e alla sequela di Gesù, per sfociare nella missione. «Risulta assente dal testo tutta la parte della teologia del regno di Dio e della prassi del Gesù storico, contenuti tanto ricchi e così tipici della cristologia latinoamericana».
L’ecclesiologia che appare nel capitolo successivo è quella di comunione. «In questa visione di chiesa, ci sono alcune cose che richiamano l’attenzione. Siamo lontani da una ecclesiologia del popolo di Dio che, nei documenti del concilio Vaticano II, convive con l’ecclesiologia di comunione. Questa ecclesiologia del popolo di Dio fu cruciale per la elaborazione della cristologia latinoamericana degli anni post-conciliari e appare ben chiara – anche se non è l’unica – nei documenti di Medellín e di Puebla. Dopo il regresso di Santo Domingo, l’ecclesiologia cresce di nuovo, ma in un’altra direzione, che percepisce la chiesa come comunione tra diversi carismi e stati di vita, nella linea di Rm 12. Si tratta di una comunione nella quale la gerarchia dei segmenti ecclesiali è ben chiara e dove viene enfatizzata la funzione predominante dei pastori nella conduzione del processo ecclesiale».
In questo contesto le CEB (comunità ecclesiali di base) appaiono sotto lo stesso titolo e nella stessa sezione delle piccole comunità, le quali fanno pensare alle comunità provenienti dai nuovi movimenti ecclesiali, piuttosto lontane dalle CEB. Allo stesso modo, la vita religiosa, istanza di avanguardia profetica nella recente storia della vita latinoamericana, quasi scompare nel testo, assorbita sotto il titolo che ingloba i consacrati di tutte le forme (membri di ordini religiosi o di istituti secolari, associazioni di fedeli o movimenti ecclesiali).
«Tutto questo, secondo la relatrice, dice abbastanza sulla teologia del documento conclusivo di Aparecida. È una teologia che si allontana da quella conciliare e soprattutto post-conciliare. Senza voler affermare che c’è un ritorno al pre-conciliare, si percepisce comunque un desiderio di equilibrare tendenze e neutralizzare correnti più audaci che, nel corso degli ultimi decenni, volevano dare alla chiesa latinoamericana un volto e un pensiero propri, diversi da quelli prodotti dal continente europeo».
ELOQUENZE
E SILENZI
Il testo conclusivo della Conferenza di Aparecida è «chiaro, didattico, equilibrato nelle sue divisioni in capitoli e paragrafi». Occorre però riflettervi in ordine alle ricadute di evangelizzazione.
«La questione del metodo che struttura il documento è stata conflittuale e per niente tranquilla durante la conferenza di Aparecida… sta proprio qui una delle cause principali per cui il documento, pur contenendo buoni paragrafi e recuperando importanti posizioni, non fa sentire nelle sue pagine il soffio profetico e liberatore che ha caratterizzato Medellín e Puebla». Ora secondo la nostra studiosa, nel testo, quando si affronta il metodo del vedere-giudicare-agire, l’analisi della realtà (cioè il vedere) è già diretta dallo sguardo credente sulla realtà: «Sta lì il tratto diverso del metodo che, a nostro parere, lo allontana dalla identità tipica del vedere-giudicare-agire delle conferenze precedenti. Ciò che ha contrassegnato le analisi fatte dalla chiesa latinoamericana, nella sua pastorale e teologia, già da molti decenni prima di Aparecida, è lo sguardo oggettivo sulla realtà, senza l’intervento dello sguardo della fede. Per cui, vedere la realtà con il metodo che risulta consacrato nella vita della Chiesa del continente, significa vedere in modo obiettivo, lasciando che la realtà parli da se stessa e che faccia risuonare le sue questioni brucianti e le sue sfide alle orecchie della Chiesa. Solo in un secondo momento interviene lo sguardo della fede, illuminato dalla parola della Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa. Questo momento sarebbe il giudicare». Dunque il vedere si troverebbe già sovrapposto al giudicare.
Il documento comunque prende coscienza delle sfide in corso: 1) pluralismo religioso e perdita dell’egemonia da parte del cristianesimo storico; 2) necessità del dialogo ecumenico e macro-ecumenico; 3) diffusione e aumento di povertà e ingiustizia presenti nel continente («è quanto meno scandaloso che il continente della speranza, il maggiore continente cattolico del mondo, abbia un terzo dei suoi abitanti al di sotto della linea di povertà»); 4) cultura post-moderna con le nuove tecnologie che hanno trasformato la concezione dell’essere umano nella sua corporeità e identità; 5) cambiamento nella ricezione delle norme e orientamenti della Chiesa.
Una seconda linea di considerazioni porta a segnalare luci e ombre della vita ecclesiale. Come luci il documento indica l’eredità cattolica del continente e i vantaggi che nei secoli si sono potuti trarre da essa. Come ombre segnala una eccessiva secolarizzazione di buona parte di segmenti della Chiesa, come per esempio la vita religiosa. Segnala anche l’esodo di cattolici verso i gruppi evangelici pentecostali e verso altre religioni, provocando notevoli perdite. C’è poi la diminuzione delle vocazioni sacerdotali, la contrazione del contingente di fedeli ecc. Eppure, «le soluzioni che il documento presenta per il superamento delle ombre che persistono nella vita cristiana del continente sono, a nostro modo di vedere, ancora timide e poco audaci». La teologa evidenzia, a mo’ d’esempio, il problema che molte comunità cattoliche non hanno la possibilità di partecipare all’Eucaristia domenicale perché non c’è clero. «La Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, nelle osservazioni che inviò al documento di partecipazione, affronta coraggiosamente questo problema e propone soluzioni audaci e interessanti. Afferma, per esempio, che se è vero che “la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa”, il fatto che l’80% dei cattolici brasiliani siano impediti di celebrare l’Eucaristia la domenica significa che essi sono privati di un’importante dimensione della loro ecclesialità. Il documento raccoglie il problema, ma non la soluzione». Nel complesso, pare allora che la teologia post-conciliare relativa alla identità e missione del laicato non venga presa in grande considerazione: «Il lavoro dei laici entro la struttura della Chiesa viene appena riconosciuto, e quando il documento lo fa, sottolinea che deve avvenire sotto la direzione dei pastori».
In sintesi, ecco alcune chiavi per interpretare il Documento di Aparecida e accompagnarne l’assimilazione. Ricordando che la ricerca costante del volto di Dio Amore nell’oggi è il suo tema centrale. «Un Dio che è amore ode le grida del suo popolo e si rivela come amore non soltanto idillicamente come balsamo per placare cuori inquieti. Si rivela, invece, come perdono di fronte alla violenza, come giustizia di fronte alla povertà e all’oppressione, come apertura di fronte al diverso e all’altro, come disponibilità ad assumere i conflitti con l’obiettivo di stabilire la pace. Sarà assolutamente importante, dopo Aparecida, lavorare nelle comunità cristiane cattoliche alla fede in Dio amore, includendo in questa fede e in questo amore tutti i drammi provocati dal disamore nel quotidiano della vita delle persone e delle comunità».
A cura di Mario Chiaro
1 2007 Da Concilium. Rivista internazionale di teologia 4/2007; traduzione dal portoghese-brasiliano di Pietro Crespi Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini, Queriniana, Brescia.