SEMINARIO SULLA “TRATTA” DEGLI SCHIAVI OGGI

L’IMPEGNO  DELLE RELIGIOSE

 

Quali risposte è chiamata a dare particolarmente la donna consacrata? A duecento anni dall’abolizione della schiavitù, come rendere attuale “l’Epifania dell’amore misericordioso di Dio” che si china costantemente sui suoi poveri, sugli esclusi e sui disprezzati della società?

 

Si sente spesso ripetere che la schiavitù esiste ancora. Certamente non è più quella di un tempo, che è stata abolita ormai da un paio di secoli. Ma c’è, anche se ha assunto nomi diversi. Per questo si parla infatti di “nuove schiavitù”. È un fenomeno dalle dimensioni mondiali che colpisce in particolare esseri deboli e indifesi, soprattutto donne e bambini. Consiste nel trasferimento di persone con la violenza, l’inganno o la forza, finalizzato al lavoro forzato, alla servitù o a pratiche assimilabili alla schiavitù. Si parla di schiavitù perché i “trafficanti” usano violenza, minacce e altre forme di coercizione per costringere le proprie vittime a lavorare contro il loro volere.

Le statistiche parlano di cifre che variano da 700mila a 2 milioni, tra donne e bambini. Dalle tante inchieste fatte, risulta che sono 500.000 le donne che ogni anno vengono immesse sul mercato come merce. In Italia ne arrivano circa 70.000 da paesi dell’est europeo o da paesi in via di sviluppo, costrette a prostituirsi sulle nostre strade. Di queste il 40% sono minorenni, dai 14 ai 18 anni. Nonostante l’invasione di tante giovani dell’Albania e dell’est europeo, il numero maggiore è ancora quello delle africane: oltre il 50%, ma essendo clandestine è difficile avere dati accertati. Le stime spesso sono calcolate sul numero di soggetti irregolari in movimento.

Si tratta di un “affare” particolarmente lucrativo che pare renda a livello globale dai 7 ai 10 miliardi di dollari, profitto paragonabile solo al traffico di armi e stupefacenti.

Matrimoni forzati o contratti per posta, prostituzione coatta, servitù domestica, furto, sono alcune delle destinazioni per le vittime del traffico che vengono “convinte” con la violenza, l’intimidazione, l’isolamento e l’imbroglio. I trafficanti si avvalgono di diverse forme di reclutamento, tra cui il rapimento vero e proprio e l’acquisto diretto presso le famiglie. In molti casi, comunque, la potenziale vittima del traffico sta già cercando una possibilità per emigrare quando viene avvicinata da un conoscente o attratta da un annuncio pubblicitario. Spesso  le vittime vengono reclutate con la promessa di un lavoro migliore e scoprono poi che scappare o interrompere il “contratto” è difficile e pericoloso.

 

IL RUOLO PROFETICO

DELLE RELIGIOSE

 

Per studiare da vicino questo fenomeno e trovare iniziative di intervento è stato organizzato a Roma dal 15 al 20 ottobre scorso un seminario, sponsorizzato dall’Unione italiana delle superiore maggiori (USMI) e dall’ambasciata degli Stati Uniti d’America presso la santa Sede, sul tema Costruire una rete: il ruolo profetico delle religiose nella lotta contro il traffico degli esseri umani. La riunione ha visto la partecipazione di 33 religiose di 25 congregazioni diverse che operano da tempo nel campo del traffico di esseri umani in 26 paesi, provenienti da Albania, Croazia, Polonia, Romania, Slovenia, Ucraina, Belgio, Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Italia, Regno Unito, Canada, Messico, Stati Uniti, Colombia, Perù, Ghana, Nigeria, Sud Africa, Kenya, Australia, India, Indonesia e Tailandia.

 

Diversi sono stati i temi affrontati: sviluppare e rafforzare in modo significativo i meccanismi di lavoro in rete e le capacità comunicative tra le religiose che affrontano il traffico di esseri umani nei paesi d’origine, transito e destinazione; favorire tra le partecipanti occasioni per condividere i loro metodi e le loro strategie di intervento attraverso la presentazione di relazioni di ogni singolo paese; sviluppare procedimenti e strutture di comunicazione per facilitare la diffusione di prassi di intervento che hanno dato buoni frutti; rafforzare le capacità nazionali e internazionali delle religiose nell’affrontare la tratta di esseri umani con approcci multi-disciplinari, politici e strategici; offrire alle religiose ulteriori opportunità di formazione professionale.

Attualmente, 250 suore – appartenenti a 70 congregazioni – lavorano in 110 progetti in Italia, spesso in collaborazione con la Caritas e altre associazioni, con realtà pubbliche e private. Alcuni dei molteplici modi in cui le religiose sono presenti, includono: unità di strada, come primo approccio con le vittime della strada; centri di ascolto per individuare i problemi delle donne in cerca di aiuto; comunità di accoglienza per programmi di reintegrazione; recupero della loro identità legale, aiutando le vittime nell’acquisire i documenti per il permesso di soggiorno e quelli per il rilascio del passaporto; preparazione professionale, come studio della lingua, lavoro, ecc.; sostegno psicologico e spirituale per aiutare le donne a riscoprire le radici e la ricchezza della propria cultura e della loro religione, nonché a riacquistare l’autostima, cercando di lenire e sanare le profonde ferite della loro triste esperienza. Molto si cerca di fare per dare voce, protezione e speranza a molte donne senza voce; tuttavia molto rimane ancora da fare.

 

PER UN’EPIFANIA

DELL’AMORE DI DIO

 

Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, relatrice al seminario di formazione e coordinatrice nazionale dell’ufficio “Tratta” nell’USMI, ha imparato, dalla sua lunga esperienza in questo settore, che è importante essere preparate per potersi occupare efficacemente della sicurezza delle vittime e delle loro necessità pratiche quotidiane (abitazioni, sicurezza personale, recupero dei documenti, programmi di reintegrazione, processi di guarigione, ecc.). Sr.Eugenia ha saputo individuare soprattutto il bisogno di concentrarsi sul lavoro in rete per una maggior capacità di comunicazione, per creare strumenti che permettano alle religiose un maggiore scambio di metodi e di buone prassi anche per campagne informative riguardanti il problema. In più occasioni ha fatto notare come la vita religiosa, sebbene in un momento di invecchiamento e di diminuzione numerica, abbia trovato la forza di rinnovarsi, rivisitando i propri carismi e mettendosi nella Chiesa e nella società al servizio di nuove povertà.

Il consistente numero di religiose impegnate nel settore della “Tratta” è la testimonianza concreta della vitalità di tante comunità che, davanti a questa sfida, riscoprono l’attualità della loro missione nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Quale sarebbe la risposta dei nostri fondatori e fondatrici di fronte a un simile disagio sociale? La loro testimonianza e le loro intuizioni profetiche ci insegnano che si possono affrontare con creatività i bisogni del proprio tempo e rispondervi positivamente.

Dobbiamo avere il coraggio di sognare nuove forme di vita religiosa basata anche su progetti inter-congregazionali, aperti alla collaborazione con i laici e in piena cooperazione e comunicazione tra paesi di provenienza e di destinazione delle vittime.

Ingannata, schiavizzata e gettata sui marciapiedi, la donna “prostituita”, è l’icona vivente dell’ingiusta discriminazione imposta dalla nostra società del consumo. E questa donna nel terzo millennio chiede che i suoi diritti le siano accordati, la sua dignità restituita e la sua femminilità rispettata.

Suor Eugenia ha concluso: «Migliaia di donne e di minori rese schiave dai nostri sistemi di ingiustizia, di sfruttamento e di discriminazione, ci interpellano e ci chiedono di spezzare le loro catene di morte affinché anche loro possano godere di un vero Anno di grazia inaugurato da Cristo stesso, che è venuto e che viene a “portare la lieta notizia ai poveri, a proclamare la liberazione ai prigionieri, a ridare la vista ai ciechi, a porre in libertà gli oppressi» (Lc 4,18).

Nel documento finale del Seminario, consegnato all’Agenzia Fides, si ricorda che «le statistiche indicano che vi sono 800 congregazioni e un milione di suore cattoliche nel mondo». Su questa base è stata creata l’International Network of Religious Against Trafficking In Persons (INRATIP), una rete internazionale di suore cattoliche che intende aiutare le vittime dello sfruttamento degli essere umani e combattere i trafficanti.

La dichiarazione finale a conclusione del seminario si rivolge alle vittime della tratta, con impegno di solidarietà e collaborazione; ai trafficanti, con domanda di porre fine allo sfruttamento e a ogni forma di violenza; ai governi per una più coerente applicazione delle leggi per combattere le disuguaglianze sociali, la corruzione e ogni attività criminale.

Il documento esorta inoltre tutte le autorità religiose a denunciare l’ingiustizia e la violenza contro le donne e i minori, usando la responsabilità civile e pastorale per difendere e promuovere la dignità umana delle persone sfruttate da tutte le nuove forme di schiavitù.

L’appello finale è rivolto a tutti gli uomini e le donne di buona volontà perché abbiano a cuore la dignità di ogni persona.

I partecipanti al seminario hanno voluto lasciare a tutti un messaggio di speranza, con la promessa di un rinnovato impegno a loro favore: «Diciamo a coloro che sono vittime del traffico, in particolare donne e bambini: siamo accanto a voi, non siete soli. Lottiamo con voi per liberarvi dalla schiavitù».

 

Anna Maria Gellini

 

 

1 Il processo di abolizione del commercio degli schiavi iniziò con la sollevazione degli schiavi che ebbe luogo nell’isola di Santo Domingo nella notte tra il 22 e il 23 agosto 1791. Il primo paese che abolì questa pratica fu la Francia rivoluzionaria, nel 1791 (ma successivamente revocò l’abolizione) seguita da Danimarca nel 1792, dalla Gran Bretagna nel 1807, dagli Stati Uniti nel 1808, dall’Olanda nel 1814, dalla Svezia nel 1815. In questo stesso anno per la prima volta la schiavitù è condannata in Europa con la “Dichiarazione relativa all’abolizione universale della tratta degli schiavi”. Nel 1926 la Società delle Nazioni elabora per la prima volta la definizione giuridica internazionale della schiavitù.

La “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea generale dell’ONU afferma, nell’articolo 4: “Nessuno deve essere tenuto in schiavitù o servitù; la schiavitù e il traffico degli schiavi devono essere proibiti in tutte le loro forme”. In seguito sono state redatte numerose convenzioni. Gli ultimi a prendere posizione sono state nel 1962 l’Arabia Saudita e nel 1981 la Mauritania che dichiararono illegale il commercio degli schiavi.