SCOMPARSA DI DON ORESTE BENZI

HA LASCIATO UN’EREDITÀ D’AMORE

 

Don Oreste Benzi può essere annoverato fra i grandi testimoni della fede di oggi. Il papa l’ha definito un infaticabile apostolo della carità. Ha annunciato Gesù anche in luoghi quasi impossibili. È stato un prete all’antica, capace di sporcarsi le mani con la modernità.

 

Il 2 novembre scorso, giorno in cui la Chiesa commemora i fedeli defunti, don Oreste Benzi ha lasciato questa terra per tornare alla “casa del Padre”. Aveva 82 anni. L’ha portato via un infarto. Ora che non c’è più, non potremo mai dimenticare quel largo sorriso che illuminava il suo volto e quello sguardo luminoso da cui emanava un raggio di quella carità divina di cui era tutta pervasa la sua anima.

Così, dopo Madre Teresa di Calcutta, dopo l’abbé Pierre, anche un altro grande apostolo ci ha lasciato, ma la sua figura continuerà a vivere e a diffondere luce, al seguito di quella lunga teoria di santi della carità di cui è straordinariamente ricca la storia della Chiesa.

La Comunità Papa Giovanni XXIII, da lui fondata, attraverso le parole del suo vicepresidente G. Paolo Ramonda, ricorda così il suo fondatore: «Don Oreste ha sciupato la sua esistenza per la povera gente… Il suo testamento spirituale è la sua vita che rimane nelle migliaia di persone che hanno trovato dei papà e delle mamme, nell’unica grande famiglia spirituale che è la Comunità, sparsa in tutto il mondo. Ringraziamo il santo padre Benedetto XVI che ha definito don Oreste “infaticabile apostolo della carità”… Apostolo, questo sacerdote, perché la passione di Cristo e l’amore alla Chiesa animava ogni sua iniziativa, profeta rivoluzionario che pagava di persona le sue scelte ma obbediente fino alla radicalità verso i suoi e nostri pastori che considerava guide sicure nel cammino della Comunità. E carità che è sempre stata concretissima perché diceva: «I poveri non possono aspettare i nostri ragionamenti» e «per stare in piedi bisogna saper stare molto in ginocchio»… Il servo di Dio Giovanni Paolo II nell’udienza del 29 novembre 2004 incontrando don Oreste e la Comunità ci disse: «Siate la tenerezza del volto di Dio per i poveri». È proprio quello che vogliamo continuare a vivere.

 

MAI “IMPIEGATI”

DELLA CARITÀ

 

In tutti noi rimarrà per sempre impresso quel suo sorriso che disarmava e con cui ha sviluppato per la sua Comunità una spiritualità fondata sulla logica per la quale tutto ciò che si ha di più va restituito. «In questo senso, diceva durante una scuola di comunità nel 2006, anche l’attuale società può redimersi. Per me questo è possibile solo se sceglie di farsi povera, cioè se si sceglie di restituire la ricchezza attraverso l’investimento, il dare lavoro... Noi dobbiamo formarci la mentalità del povero… C’è una frase misteriosa nella nostra Carta di fondazione, che ancora non è stata approfondita: coloro che “dallo Spirito sono mossi ad andare a cercare i poveri là dove sono, possono provare in se stessi anche la povertà estrema”. Sono prospettive grandiose, queste. È la mentalità che manca».

Sempre consapevole che se non c’è condivisione del cuore l’elemosina non converte nessuno a Dio, chiedeva di non vivere mai da impiegati della carità: «Tu convertirai nella misura che manifesterai, con quello che dai, che ti sei convertito a Dio e hai l’animo di chi chiede perdono perché può fare l’elemosina. Vi ricordate quanta fatica abbiamo fatto per scrivere nello Schema di vita che ogni membro della comunità restituisce ai poveri ciò che attraverso i meccanismi di ingiustizia riceve in più del necessario: “I membri della comunità tengono per sé lo stretto necessario per vivere poveramente e il resto lo restituiscono agli ultimi in modi diversi”. Dobbiamo ancora capire la parola “restituire” e il suo significato è ancora tutto da conquistare ».

In questa prospettiva restitutoria, don Benzi lega povertà ed espiazione, e su questo fonda il servizio ai bimbi che popolano le case famiglia. Espiare significa emendare una colpa, anche quella di un altro, in forma sostitutiva: «I nostri piccoli angeli crocifissi portano su di sé le conseguenze di un peccato che né loro né i loro genitori hanno fatto, ma che è un peccato dell’umanità e ricade su di loro per cui essi sono costretti a portarlo. Allora io mi unisco a essi e faccio ricadere su di me le conseguenze che essi portano per il peccato di tutta l’umanità: condividendo espio, cioè purifico. E questo è meraviglioso. In particolare la mia espiazione è di chi è padre e madre rigenerando nell’amore, e tutti i membri della Comunità sono chiamati alla condivisione in ogni ambito di vita ma sono obbligati (cioè legati in forza della vocazione) a portarli in casa loro. Il nostro non è volontarismo ma obbedienza nel senso di ob audire, che vuol dire ascoltare in forza di un rapporto contratto… Noi siamo portati per vocazione a questa espiazione, e non finiremo mai di benedire Dio che ci ha chiamati, come dice la Carta di fondazione, “a scegliere liberamente ciò che gli ultimi sono costretti a portare per forza”».

Sempre nella Carta fondativa dell’associazione si arriva a leggere che lo specifico interiore della vocazione è conformare la propria vita a Gesù povero, servo sofferente che espia il peccato del mondo; lo specifico visibile è condividere direttamente la vita degli ultimi, mentre lo specifico credibile è la fraternità. È così che don Oreste ha ricompreso il ministero di liberazione di Gesù: la sua pienezza di interiorità diventa un bisogno di unità della comunità umana nella giustizia. «Nella prima comunità cristiana nessuno riteneva proprio ciò che possedeva… Che aspirazione! Io morirò con questo desiderio… Che grande aspirazione. Voi fratelli siete chiamati a essere maestri di vita. Non diventate mai impiegati ma siate sempre ferventi nell’amore … Noi siamo chiamati a vivere la giustizia distributiva e sviluppare il concetto che io sono amministratore, non padrone, e devo restituire ai poveri. Queste cose vissute danno una gioia senza limiti».

 

NON AVEVA TEMPO

DI CURARSI DI SÉ

 

Unanimi sono state le reazioni alla notizia della sua scomparsa: è morto un santo “scandaloso” al servizio dei poveri, che si è prodigato per barboni, prostitute, drogati, malati di Aids, carcerati, portatori di deficit psichico, sfrattati senza casa, bambini ancora non nati.1

Nel telegramma di cordoglio Benedetto XVI lo ricorda come «infaticabile apostolo della carità a favore degli ultimi e degli indifesi, facendosi carico di tanti gravi problemi sociali che affliggono il mondo contemporaneo». Per mons. Comastri, già arcivescovo di Loreto, don Benzi era una Eucaristia vivente: «Quando l’ho visto per l’ultima volta, avevo capito che non poteva dar altro, si era consumato al servizio di tutti». Don Peloso, direttore generale dell’Opera Don Orione, ha dichiarato che «il suo impegno sociale aveva una sicura e inesauribile fonte nella vita spirituale che lo portava a conformarsi a Gesù non solo nell’azione ma ancor più nei sentimenti».

Il sindaco della sua amata Rimini, Ravaioli, ha sottolineato che è stato «un uomo di Chiesa costantemente e volontariamente dalla parte del non conveniente, che, per una società fatua, è in sostanza il più debole, la persona che soffre non solo a migliaia di chilometri di distanza ma dietro quell’angolo a cui i nostri occhi sono ogni giorno assuefatti». Don Oreste è l’umanità a cui il mondo tende, l’esempio ascoltato da capi di governo e istituzioni, il sacerdote che testimonia Dio là dove non è opportuno andare, la santità che si sporca le mani con i moderni strumenti di comunicazione. Stefano Vitali, suo portavoce e oggi assessore comunale, così lo dipinge: «Ho visto pochissime persone al mondo trattare allo stesso modo un capo di stato e un barbone come faceva don Benzi».

Non aveva il tempo di curarsi di sé: spesso spettinato, la rasatura non sempre curata, ma con un cuore e un dinamismo straordinari. Ha aperto 200 case famiglia, 6 case di preghiera, 7 case di fraternità, 15 cooperative sociali, 6 centri diurni per handicappati gravi, 32 comunità di recupero tossicodipendenti, “Capanna di Betlemme” per i barboni. Ha salvato migliaia di persone sole, disperate, schiave di droghe e del racket della prostituzione. Per tutti ha cercato di ricreare un clima di famiglia vera. Ricordiamo anche le sue battaglie per la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale: in diverse città si tengono momenti di preghiera, con la recita del Rosario, davanti agli ospedali in cui si praticano gli aborti; di recente aveva proposto di destinare a progetti pro-life parte dei fondi utilizzati per le interruzioni di gravidanza. «Non ci mettiamo contro le donne – ebbe a dire una volta – ma al loro fianco, per difendere il diritto a non abortire».

 

È STATO DEFINITO

UN FOLLE DI DIO

 

Lo psichiatra Vittorino Andreoli ama definirlo come un folle di Dio, senza schemi. Un prete che non voleva essere sapiente, né sociologo. Don Benzi, sottolinea, non ha mai fondato comunità, ma famiglie: «Da psichiatra, posso dire di non aver mai conosciuto un altro uomo che credesse tanto nella famiglia, nel rapporto uomo-donna-figli come luogo della carità: una famiglia allargata, terapeutica, senza teorie e complicazioni, né sociologiche né teologico-pastorali. Famiglie che non sono comunità specializzate, ma case in cui persone accolgono nell’ordinarietà quotidiana il drogato, la prostituta, il malato, il minore difficile, il barbone, costruendo intorno a loro un clima fraterno nella naturalità dell’umano». La gestione della convivenza è data dal rapporto personale io-tu, dall’amore per Cristo visto negli altri, con semplicità assoluta.

A questa “debolezza delle teorie” va aggiunto, secondo Andreoli, un altro elemento decisivo: «non si spaventava del fatto di essere lasciato solo, di essere deriso non solo da alcuni non credenti ma anche da qualche ecclesiastico. Ricordo convegni organizzati dalla sua associazione, disertati dal mondo curiale, politico, scientifico. Talora ero io l’unico esterno ad assistere a quegli incontri».

La radicalità per lui è sempre stata una costante, assieme a un’estrema dolcezza nell’avvicinare le persone, alle quali proponeva con determinazione la sequela di Cristo. Diceva sempre che Cristo è una persona viva, non una filosofia o un’ideologia. In questa visione si inserisce la scelta della preghiera, che non può essere sentimento ma adesione consapevole. «Se ami, cerchi l’amato e fai di tutto per incontrarlo», diceva riferendosi a Cristo. Per questo nelle case famiglia c’è sempre lo spazio per la Parola o per l’Eucaristia, ad esempio in una cappellina, con i commenti di don Oreste al Vangelo del giorno, intitolati Pane quotidiano. Più stai in ginocchio, più sai stare in piedi: questo detto di don Oreste ci dice che viveva un’unione mistica con Dio non legata a spazio e tempi particolari. La parola di Cristo passava attraverso tutta la sua persona, perciò nessuna situazione gli era estranea.

 

Mario Chiaro

 

 

 

1 Don Oreste Benzi nasce nel 1925 vicino Rimini, settimo di nove figli. Ordinato prete nel 1949, per coinvolgere i giovani comincia a realizzare attività per favorire un “incontro simpatico con Cristo”. Dopo esperienze come direttore spirituale nel Seminario e insegnante di religione, l’incontro con giovani portatori di deficit psichico lo guida all’apertura della prima casa famiglia dell’Associazione Papa Giovanni XXIII nel 1972. Affronta via via nuove emergenze: tossicodipendenti (circa 450 i ragazzi in programma terapeutico in Italia e all’estero), solitudine e abbandono dei giovani (le serate in discoteca per parlare di Dio), sulla strada per liberare le “nuove schiave del sesso” e denunciare il silenzio delle istituzioni. Nel 1998 il pontificio Consiglio per i Laici riconosce la sua Comunità come “Associazione internazionale privata di fedeli laici di diritto pontificio”. Essa conta 1.287 membri effettivi e 215 in periodo di verifica vocazionale ed è presente in 18 paesi così distribuiti: Africa (4), Asia (3), Europa (6), America del sud (5). Numerose le iniziative per coloro che desiderano avvicinarsi al suo cammino: dal volontariato al servizio civile, dall’Operazione Colomba (presenza non violenta nei fronti contrapposti delle zone di guerra) all’azione missionaria anche con progetti multisettoriali per l’auto-sviluppo dei paesi poveri. Don Benzi è autore di libri di successo come “Con questa tonaca lisa”, “Scatechismo”, “Prostitute”, “Ho scoperto perché Dio sta zitto”,“Gesù è una cosa seria”.