ASSEMBLEA CISM SUL PLURALISMO IN ITALIA

SFIDE INEDITE

 

Il pluralismo e le nuove strategie di evangelizzazione. La semplice testimonianza non basta. La complessa lettura della realtà dell’immigrazione. La “cura pastorale dei migranti”. Il vissuto interculturale degli istituti di vita consacrata. Una proposta per la prossima assemblea.

 

La 47ª assemblea generale della Cism, svoltasi a Castellaro (Imperia) dal 5 al 9 novembre, con la partecipazione di circa 150 superiori provinciali, aveva quest’anno un tema di sicura e problematica attualità: il pluralismo religioso e culturale della società in Italia. Nella sua prolusione, il presidente, don Alberto Lorenzelli, molto opportunamente ha ripreso, anzitutto, alcuni passaggi della Nota pastorale della Cei dopo il convegno di Verona. In particolare ha richiamato le tre priorità del primato di Dio, della testimonianza evangelica e della centralità della persona. Sono degli snodi talmente importanti anche per i consacrati, da rammaricarsi - come ha fatto osservare qualcuno nel corso dell’assemblea – di non avervi dedicato un’apposita assemblea Cism.

Prima di entrare nel vivo del tema assembleare, don Lorenzelli, un po’ a sorpresa, ha parlato ai provinciali dell’esenzione Ici. Con fin troppo ottimismo si è detto sicuro che i religiosi in Italia sono “osservanti” di tutte le disposizioni di legge, sia come cittadini che come cristiani. Senonché, subito dopo, ha sentito il dovere di ricordare che i consacrati in tutte le loro opere di carattere “commerciale” non sono affatto “esenti” dal pagamento della tassa Ici e «non devono, pertanto, mettere in discussione, per inadempienza, quelle attività istituzionali tipiche dei religiosi».

Riprendendo il tema specifico del pluralismo religioso e culturale, ha evidenziato subito la “sfida inedita e all’apparenza paradossale” di fronte alla quale si trova oggi l’Europa. Dopo aver evangelizzato per secoli gli altri continenti, oggi il nostro continente si ritrova al suo interno una situazione, anche solo sul piano religioso, radicalmente diversa. A medio e lungo termine, i rapporti numerici tra le religioni sono destinati a modificarsi radicalmente. Cambieranno in maniera consistente le strategie di evangelizzazione e il senso stesso della missione.

Nel corso dei lavori sono emersi approcci molto diversificati e solo apparentemente sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda nella lettura del pluralismo religioso e culturale. Un conto, infatti, è interrogarsi, come ha fatto il segretario della congregazione della dottrina della fede, mons. Angelo Amato, sul come testimoniare oggi Cristo come unico salvatore del mondo, in una società plurireligiosa. Un altro conto, invece, è parlare, come ha fatto il sociologo Roberto Cipriani, del vasto e complesso fenomeno della immigrazione che stiamo vivendo in maniera sempre più problematica anche in Italia. Altra cosa, inoltre, è parlare di “cura pastorale” per i migranti, in Italia e all’estero, su cui è intervenuto con piena cognizione di causa lo scalabriniano p. Luigi Sabbarese, canonista e vicerettore dell’Urbaniana a Roma. Altra cosa ancora, infine, è il discorso relativo alle sempre più numerose comunità religiose internazionali e multiculturali dei diversi istituti religiosi, di cui si è ampiamente parlato nella tavola rotonda.

Una maggior sintonizzazione anche solo linguistica nell’uso di parole – date troppo affrettatamente per scontate – come interculturalità, multiculturalità, multietnicità, multireligiosità, plurireligiosità, pluralismo e conflittualità culturali e religiose, come è stato notato da alcuni provinciali, avrebbe sicuramente contribuito a una maggior comprensione dei problemi dibattuti nel corso dell’assemblea.

 

UN “PASSAPORTO”

PER IL DIALOGO

 

La serie delle relazioni è stata aperta da mons. Angelo Amato. Gli era stato chiesto di intervenire su una delle sfide di fronte alle quali si trova oggi anche la vita consacrata: testimoniare Cristo, unico salvatore, in una società plurireligiosa. Se la testimonianza oggi non è affatto un optional per nessun cristiano, ha detto, tanto meno lo è per i religiosi. La vita consacrata, infatti, è una delle più antiche interpretazioni della sequela Christi. Proprio parlando a dei religiosi, il relatore si è posto esplicitamente la domanda se sia o no possibile oggi testimoniare Cristo come unico salvatore del mondo in una società plurireligiosa. La risposta è venuta al termine di un’ampia articolazione del suo discorso sulle sfide di una società multireligiosa, sulla teologia cristiana delle religioni, sulle più autorevoli risposte alla sfida del pluralismo religioso, sulla epistemologia del dialogo interreligioso. Il miglior “passaporto” per entrare nel territorio religioso altrui e dialogare in libertà e verità è quello di «essere fedeli alla propria carta d’identità religiosa». Anche i consacrati, ha concluso mons. Amato, non dovrebbero mai «limitarsi alla semplice testimonianza personale e comunitaria o al solo dialogo». La libertà non potrà mai essere disgiunta dalla verità. Il fatto che esistano diverse proposte religiose «non significa che de iure siano tutte ugualmente vere». Evangelizzare, allora, significa offrire anche ai non cristiani «una opportunità di conoscere e di aprirsi liberamente alla verità di Cristo e del suo Vangelo».

Quello di mons. Amato è stato, di fatto, l’unico intervento seguito, prima del dialogo con il relatore, dalla riflessione e dal confronto (i cosiddetti panels previsti da programma dopo ogni relazione) attorno ai diversi tavoli in cui erano stati sistemati i partecipanti all’assemblea. Ora, ricercare, con non poche difficoltà anche finanziarie, ampi e costosi spazi per favorire questi importanti momenti di reciproca conoscenza, di dialogo in piccoli gruppi, e non avere poi il tempo di mettere a frutto una simile opportunità, è sicuramente un’occasione perduta.

Luigi Sabbarese ha articolato la sua relazione in due parti, la prima sui fondamenti della pastorale multietnica, la seconda sulla presentazione di alcuni modelli di questa specifica pastorale, sia quelli già concretamente verificati dalla sua congregazione scalabriniana, sia quelli previsti dall’istruzione Erga migrantes del 2004. Il fenomeno migratorio è essenzialmente un problema teologico ed ecclesiale insieme. È infatti ineludibile la domanda e anche la difficoltà di «come far vivere ai fedeli fuori del loro contesto culturale la propria fede senza appiattimenti o rinnegamenti delle loro peculiarità». È un problema della Chiesa e di ogni chiesa particolare. Se, per assurdo, in una parrocchia o in una chiesa particolare non ci fossero immigrati, «la comunità ecclesiale dovrebbe ugualmente educarsi a pensare all’altro ad aprirsi alla comunione».

Questa apertura all’altro è un fatto sempre più problematico in un contesto come quello italiano in cui l’immigrazione anche di persone portatrici di altre esperienze religiose e culturali è in continua crescita. Roberto Cipriani, nella sua relazione, ha fornito ai provinciali tutta una lunga serie di dati che, a suo avviso, sarebbe d’obbligo conoscere, prima di enunciare sentenze troppo spesso pregiudiziali nei confronti degli immigrati. «Quanto più le dinamiche sono complesse, ha esordito, tanto più facilmente ci si rifugia nei pregiudizi, nel sentito dire, nelle frasi fatte». Quando poi si scatena l’emozione, come è avvenuto dopo i fatti luttuosi verificatisi pochi giorni prima a Tor di Quinto a Roma, «una qualunque affermazione gratuita, priva di riscontro nella realtà dei fatti e volta solo a stigmatizzare, diventa la norma di riferimento, il senso comune, l’espressione più diffusa della percezione da parte della base popolare». Dati statistici alla mano, Cipriani ha sostanzialmente voluto far comprendere come certe letture pregiudiziali della realtà si trasformino facilmente in una “miscela” che poi «può esplodere in chiave di rivalse, vendette e condanne indiscriminate».

Uno dei momenti assembleari più attesi è stato sicuramente quello della tavola rotonda. Ma, purtroppo, per ragioni organizzative (trasferimento a Genova per la visita del porto e per la concelebrazione con l’arcivescovo Angelo Bagnasco, seguita poi dalla cena offerta dalla Cism della Liguria), è stato anche uno dei più sacrificati. Tre relatori, il superiore generale dei redentoristi, Joseph Tobin, il consigliere generale dei conventuali, Daniel Pietrzak, il consigliere generale dei salesiani, Antonio Domenech (il cui intervento è stato letto da un confratello, data la sua assenza per ragioni di salute), hanno provato a rileggere il tema generale dell’assemblea a partire dalla realtà delle proprie comunità sempre più internazionali e interculturali. Sulla concretezza, le attese e le difficoltà del “vissuto” interculturale emerso da questi interventi, vale sicuramente la pena di ritornare, in forma più ampia, in altro momento. Qui può bastare la sintesi conclusiva fatta dallo stesso moderatore, il nostro collaboratore p. Gabriele Ferrari. La diversità multiculturale è una ricchezza da accogliere e rispettare e non una minaccia da temere. La diversità culturale obbliga tutti a rivedere, a rileggere, ad attualizzare il proprio carisma. Perché, però, la multiculturalità possa produrre tutti i suoi frutti, è assolutamente indispensabile sapersi relazionare gli uni gli altri, conoscersi, sentirsi accettati, condividere il carisma e la missione in modo da scongiurare ogni tentativo di rischiose frammentazioni.

 

L’ALIBI

DELLE BUONE INTENZIONI

 

Il programma dell’assemblea prevedeva anche gli interventi anzitutto del ministro Giuseppe Fioroni sulla sfida della multiculturalità nella scuola italiana, e poi del ministro Giovanna Melandri sulla consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale. La contestuale e problematica discussione parlamentare sulla “finanziaria” ha di fatto impedito la loro presenza. Sulla consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale è stata comunque ascoltata una relazione da parte del coordinatore stesso di questo organismo, Francesco Sparano.

Il mancato intervento del ministro Fioroni, ha aperto uno spazio prezioso a un incontro informale – ma forse, proprio per questo, non meno significativo – dei provinciali con il segretario del dicastero vaticano della vita consacrata, mons. Gianfranco Gardin. Al di là del significato e dell’importanza delle cose dette e ascoltate da mons. Gardin da una parte e dai provinciali dall’altra, in incontri del genere, anche questa volta il “bello della diretta”, verrebbe da dire, sta soprattutto nel fatto di vedere un dicastero vaticano come quello della vita consacrata decisamente meno lontano e più partecipe ai problemi reali, sia positivi che negativi, dei consacrati di oggi. Il fatto che mons. Gardin percepisca incontri di questo genere, e lo dica esplicitamente, come un “ritorno a casa”, pone subito i suoi interlocutori in un atteggiamento di reciproca fiducia senza la quale i portoni (non solo materiali) del dicastero romano rischierebbero una permanente ed ermetica chiusura.

Un discorso solo accennato dal segretario generale della Cism, p. Fidenzio Volpi, ma che meriterebbe sicuramente un più articolato sviluppo, è quello delle “circoscrizioni europee”. Se solo si pensa che già oggi «non poche circoscrizioni italiane sono delle appendici di istituzioni internazionali», è fin troppo facile comprendere come il fenomeno della destrutturazione, prima o poi, coinvolga un po’ tutti gli istituti. «È difficile, ha detto p. Fidenzio, accettare che la propria circoscrizione non viva più di vita propria, ma che per “sopravvivere” debba entrare in una logica di interazione organizzativa con altre entità del proprio istituto». Proprio per questi motivi, ha aggiunto, sarebbe interessante aprire una riflessione sulle esperienze di formazione interprovinciale o internazionale, valorizzando quanto si sta già facendo in molti istituti.

È l’auspicio rilanciato anche da don Alberto Lorenzelli nella sua relazione conclusiva. La pluralizzazione culturale e religiosa in atto, ha detto, «è un fenomeno troppo recente per riuscire a cogliere in maniera adeguata i cambiamenti che essa introduce nella realtà». Le nostre stesse comunità religiose presentano sempre più frequentemente un volto multiculturale. Proprio per questo si dovrebbe dar vita a specifici progetti di formazione per essere di aiuto a comprendere i cambiamenti in atto. Le stesse diversità culturali «dovrebbero abilitarci a essere uomini di dialogo e cogliere in esse delle opportunità per dare senso e credibilità a una comunione che rischia sovente l’alibi delle belle intenzioni». La capacità nell’accogliere le differenze come risorse e non solo come problema consentirà anche ai consacrati «di evitare una nuova Babele che ritardi l‘avvento di una nuova Pentecoste!».

Presentando la programmazione Cism del 2007-2008, il segretario generale ha brevemente illustrato anche il tema della prossima assemblea generale: Comunione dei beni in un mondo globalizzato. La necessità di una “nuova cultura” nell’amministrazione dei beni e nella gestione delle risorse è oggi auspicata e invocata da tutti. Nella migliore delle ipotesi, ha aggiunto, la “chiarezza” al riguardo esiste soltanto nella testa degli economi. Ma il problema è proprio questo: che tipo di testa hanno i nostri economi?

Ma val proprio la pena, si è chiesto qualcuno, dedicare i lavori di un’intera assemblea al problema dei beni all’interno dei nostri istituti? A quando una risposta all’urgenza di chiarire obiettivi e criteri di fondo nella scelta dei temi delle assemblee Cism? Ne va della sua rappresentatività e della sua significatività di fronte alla Chiesa e alla società in Italia.

Il prossimo anno, immediatamente prima dell’assemblea Cism, nel sinodo episcopale, verrà affrontato il tema La Parola nella vita e nella missione della Chiesa. I superiori generali, nella loro imminente assemblea semestrale (21-23 novembre), si ritroveranno a riflettere proprio su questo specifico argomento. Personalmente, ma non credo di essere il solo a pensarlo, mi chiedo: in piena sintonia con il cammino della Chiesa, non potrebbe essere, questa, un’idea anche per la prossima assemblea Cism? Una più evangelica comunione dei beni non sarebbe altro, allora, che una inevitabile e sempre più urgente applicazione della Parola anche e soprattutto nel concreto vissuto dei consacrati.


Angelo Arrighini