“IL CARISMA DEI RELIGIOSI

È SOLO DEI RELIGIOSI?”

 

L’articolo di A. Arrighini in Testimoni n. 16\2007, pagg. 16-18, è condivisibile – secondo me – per l’impostazione, per le situazioni alluse e, con qualche riserva, per la terminologia usata. Sottolineo l’uso e la felice contestualizzazione di alcune dizioni che compaiono nell’articolo: opere aziendali dei religiosi, gestione professionalmente qualificata delle opere aziendali dei religiosi (e simili espressioni), cura della formazione umana e della dimensione religiosa personale dei dipendenti\collaboratori, radicalità evangelica delle attività non conciliabile automaticamente con la proposta di gestione professionale di un’opera.

Traggo tre conclusioni, che sono in parte, mi pare, le stesse dell’articolista.

1. La copertura cosiddetta carismatica dei laici che gestiscono opere di proprietà degli istituti religiosi non assicura automaticamente il funzionamento evangelico di una azienda, dando comunque per scontato che il servizio si colloca in un mondo che chiede efficienza e fa valere competizione e concorrenza. Detto diversamente: non bastano etichette varie, conoscenza della vita-morte-miracoli del fondatore di un istituto religioso e dei suoi sviluppi, dichiarazioni di “apertura di fondo al carisma di fondazione” per fare di alcuni laici, presto e ingenuamente, persone toccate e improntate dallo spirito di un istituto religioso (l’articolista parla di “professionisti laici devoti e pii” con poco altro di più, di ”adesione al carisma per pura convenienza”).

2. Se i religiosi non salvano, con la loro vita e le loro aziende, il carisma dell’istituto religioso, non vedo come possano essere i laici, per quanto professionalmente bravi, a dare sostegno allo stesso carisma. Senza religiosi francescani o cappuccini o altri religiosi legati a san Francesco non vedo come sarebbero sorti terz’ordini francescani o altre iniziative tali da conservare “lo spirito di frate” – non solo un po’ di pauperismo - di Francesco di Assisi.

 3. L’ecclesiologia di comunione e “le mutue relazioni” tra religiosi e laici sono un puro paravento ideologico che non spiega niente. Il dato incontestabile è il calo delle vocazioni degli istituti religiosi (e forse della loro qualità), con tutte le conseguenze che ne derivano, tra cui la difficoltà di direzione delle opere aziendali degli istituti proprietari.

Credo di individuare uno dei problemi più delicati della vita di molti o di tutti gli istituti religiosi con queste riflessioni.

a) Sostenere che i religiosi si potrebbero dedicare a tempo pieno alla formazione dei laici (si intende: dei laici che lavorano nelle loro opere-aziende) e all’evangelizzazione significa dire che la finalità dei membri di un istituto religioso è quella di aiutare i laici a praticare l’aspetto operativo del carisma dell’istituto che essi, i religiosi, non sanno o non vogliono più praticare.

Un istituto religioso, nato per proporre agli aderenti, tra le altre cose, di occuparsi evangelicamente di malati o di altri “sconfitti della vita”, rischia di aver religiosi che non vedono più o non stanno a contatto dei fratelli a cui sono stati inviati; e mediano astrattamente il loro “prendersi cura” del prossimo attraverso altri cristiani assurti improvvisamente a titolari dell’aspetto operativo e spirituale del carisma del loro istituto.

Scomodare spesso “il carisma”, con quello che di preciso e fondamentale significa per la vita religiosa, per ribadire la necessità della formazione delle coscienze dei laici (affare assai serio, da sé) sembra una complicazione superflua di linguaggio e di idee.

b) Sul piano del richiamo e del reclutamento vocazionale, la prospettiva mi sembra perdente: è arduo proporre ad alcuni di farsi religiosi per indottrinare altri cristiani ad essere cristiani e ad occuparsi specificamente del prossimo in spirito evangelico. Questo, oltretutto, è il compito normale del ministero presbiterale. Il solo istruire (“animare”) altri ad avvicinarsi al prossimo sembra quasi tradurre in salsa odierna l’amarezza del Vangelo: dicono e non fanno (Mt 23,3).

È vero che nella situazione di precarietà in cui si trovano oggi gli istituti religiosi i membri spesso devono scegliere l’attività più importante da svolgere (e bisogna scegliere ciò che è necessario non ciò che è urgente, diceva Paolo VI sulla scia di sant’Agostino); e perciò possono appaltare a dipendenti o collaboratori ruoli di rilievo che prima essi occupavano; ma non mi pare il caso, per arginare le difficoltà, di teorizzare, con debole pensiero, l’incorporazione dei laici a interpreti ordinari del carisma dell’istituto religioso.

Meno si parla di condivisione, da parte dei laici, del carisma di un istituto religioso meglio è. Si evita qualche equivoco e si toglie qualche illusione. In questo senso è da intendersi il titolo dato a questo intervento.

Per collegarmi anche al bel “botta e risposta” di Testimoni n. 17\2007, pp. 28-29: non si esce dallo “smarrimento preoccupante” della vita religiosa con “le sfide che intasano i documenti capitolari”; né con le “versioni laicali” dei carismi degli istituti religiosi.

 

p. Luigi Amigoni crs

Como, 12 ottobre 2007

 

Affrontando l’argomento della presenza dei laici nelle opere aziendali dei religiosi, sapevo benissimo di muovermi in un “campo minato”. L’intervento di p. Amigoni ne è una esplicita conferma. Non posso, comunque, che ringraziarlo, anche perché mi auguro che il suo contributo possa stimolare un più ampio dibattito su un tema molto concreto e problematico nella realtà di tanti istituti religiosi, ma di cui, mi pare, si parla molto poco. Da qui a concludere, però, che «meno si parla di condivisione, da parte dei laici, del carisma di un istituto, meglio è» e che, come afferma nel titolo, «il carisma dei religiosi è solo dei religiosi», il discorso ci porterebbe molto lontano. Sarebbe fin troppo facile – con documenti, testimonianze ed esperienze alla mano - replicare a queste sue affermazioni. Sulla rivista lo abbiamo già fatto molto spesso e continueremo a farlo anche in seguito. La “posta in gioco” è troppo alta per non affrontare con sempre maggior convinzione anche il tema della presenza dei laici nelle opere - e non solo in quelle di carattere aziendale!- dei religiosi. Ben vengano, quindi, “sante provocazioni come quelle che p. Amigoni ci manda dalle rive del lago di Como. Ha forse ragioni da vendere quando osserva e ricorda a tutti noi che oggi, purtroppo, tra i religiosi non mancano quelli che «non sanno o non vogliono più praticare» il proprio carisma (A. Arr.).