IL SENSO CRISTIANO
DELLA MORTE
Accolta nell’amore e
nell’affidamento, la morte per il cristiano si trasforma in passaggio e in
conquista della vita, a somiglianza di Cristo che nell’umiliazione della croce
trova l’esaltazione della gloria.
L’insegnamento della Chiesa insiste nell’affermare che per mezzo della morte di Cristo e della sua risurrezione è donata la salvezza agli uomini. Cristo trionfa sul male in modo pieno e definitivo, ma trionfa paradossalmente morendo sulla croce, inghiottendo il veleno della morte, condividendo la corruzione e la decadenza umana; in altre parole non ha sconfitto la morte al di fuori di essa o superandola dall’esterno, ma abbracciandola e inserendosi pienamente in essa con la sua personale disponibilità. Egli non la subisce passivamente, ma la assume e la affronta con piena libertà e determinazione. Gesù, l’uomo uguale a noi eccetto nel peccato, non poteva identificarsi al peccato, ma prende sopra di sé tutte le conseguenze del peccato, tra cui la più grave propriamente è la morte.
Da ciò deriva che lui, l’innocente senza alcuna colpa, sottomettendosi alla morte, causata dal peccato, la disintegra dal di dentro, poiché lui non era destinato alla morte né sottoposto al suo dominio. Liberamente accettando la morte e obbedendo ad essa, che costituisce l’ultimo aspetto della schiavitù della legge, ne scioglie le catene, liberando la natura umana dalla sua oppressione. Pertanto Cristo trasforma dall’interno la morte in vita, in quanto la redime con il suo amore, facendosi totalmente solidale con la mortalità umana. Tale vittoria raggiunge la piena manifestazione e totale glorificazione con la risurrezione. Cristo diventa così causa e strumento per la sconfitta e la scomparsa totale e ultima della morte.
Inoltre Gesù vive l’offerta della croce per amore del Padre e degli uomini, in modo che la morte, accettata gratuitamente, non ha più potere sull’uomo e Gesù dimostra che l’amore è più forte della morte: l’amore unisce ciò che la morte vorrebbe separare. In altre parole Gesù si affida totalmente al Padre, mostrando che la morte non costituisce più un luogo di separazione da Dio, ma un atto di piena adesione e abbandono al suo volere. Viene trasfigurata in questo modo la realtà della morte: da un male totale diventa un bene estremo. Gesù sulla croce perdona coloro che lo crocifiggono, attuando con questo gesto il superamento dell’odio con cui i carnefici si accaniscono contro di lui. In forza di questa sua profonda misericordia, accolta dal volere del Padre, egli sconfigge l’odio e la violenza di cui la morte è segno decisivo, per instaurare il suo regno di carità e di perdono…
Dietro la sconfitta operata da Cristo, la morte del cristiano diventa «morte nel Signore», quale unico rimedio e superamento della paura e dell’angoscia. Essa non è più fonte di sconforto e di trepidazione, legati al castigo o alla pena, ma si trasforma in un momento e un motivo di speranza e di compimento. L’Apocalisse dice: «Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore» (14,13). Malgrado tutte le difficoltà e le sofferenze che possa patire, un cristiano non perde mai la speranza, anzi la certezza che la vita vince la morte: «Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,10). Quindi se la morte di Cristo è stata il luogo e il segno della rivelazione del suo amore e della sua fedeltà verso il Padre celeste e verso le creature umane, per il credente la morte non presenta soltanto aspetti negativi, ma si fa un momento o un’ azione di sottomissione e di offerta in unione con Cristo; ancor più offre l’opportunità unica di unirsi con il suo Signore; essa assume una consistenza e un valore del tutto originali e nuovi. Il cristiano «può trasformare la sua propria morte in un atto di obbedienza e di amore verso il Padre, sull’esempio di Cristo» e con la sua grazia redentrice.
Ogni giorno il senso della morte suscita un sereno distacco dal possesso delle cose, dalle prospettive attuali, dall’ attaccamento al lavoro e alle persone che attorniano e riempiono la vita, ma insieme fa germogliare il desiderio di amare, la ricerca dei valori superiori, di una fiducia sempre più avvinta a Cristo, di una donazione più generosa al prossimo. Dietro a Gesù e sulla traccia della sua stessa esperienza, il morire quotidiano del cristiano comporta inscindibilmente la crescita e la maturazione di sé, insieme a un sano, efficace rapporto con gli altri e con le realtà attorno a sé. Al contrario di chi si lega al proprio essere e avere, di fatto perde ambedue, mentre chi dona la propria vita per Cristo e per il suo vangelo, la realizza e la conquista. Ne consegue che quando sopraggiunge fisicamente la solitudine della morte, accolta nell’amore e nell’affidamento, essa si trasforma in passaggio e in conquista della vita, similmente a Cristo che nell’umiliazione della croce trova l’esaltazione della gloria.
Enzo Lavatori
da Il Signore verrà nella gloria, EDB 2007