IL CARD. G. LERCARO E LA RIFORMA LITURGICA

LO SPIRITO CHE HA ANIMATO LA RIFORMA

 

La riforma liturgica promossa dal concilio ha avuto come grande protagonista il card. G. Lercaro. Ripercorrere la sua esperienza vuol dire comprendere lo spirito che ha animato la riforma e la grande ricchezza che i padri conciliari ci hanno consegnato. Lercaro è un maestro che continua a parlarci anche oggi.

 

Se si vuole comprendere la riforma liturgica del Vaticano II credo sia importante cercare di far cogliere il clima che ha preceduto il concilio e la riforma liturgica stessa. Infatti non solo i contenuti del Vaticano II e della riforma liturgica sono da ricordare e da interiorizzare ma è fondamentale anche non dimenticare come si è arrivati a SC e alla riforma, per evitare il rischio di dare “giudizi” disincarnati dalla realtà e dal vero tessuto della realtà ecclesiale, come oggi, purtroppo, si sente spesso fare in diverse circostanze.

Vorrei proporre una brevissima “suggestione” a partire dalle parole di uno dei protagonisti del concilio e della riforma liturgica in Italia: il card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna dal 1952 al 1968. Egli ci aiuterà a cogliere cosa animava la Chiesa in quegli anni e quali desideri e aspirazioni hanno dato vita a eventi ecclesiali come il Vaticano secondo e la riforma liturgica.

Ho trovato un testo che può fare da sintesi del cammino spirituale del card. Lercaro e del suo impegno al concilio e nella riforma liturgica. Si tratta della sua omelia pronunciata durante la celebrazione eucaristica nel 50° anniversario della sua ordinazione presbiterale. Siamo nel 1964 (17 maggio) e quindi a concilio ancora in corso. Tuttavia la costituzione liturgica SC era già stata approvata dall’assemblea conciliare il 4 dicembre 1963. Dai toni di questa omelia credo che si riesca a cogliere bene tutto l’entusiasmo di quel momento della vita della Chiesa, nel quale si aveva l’impressione che “tesori”, tenuti per secoli lontano dalla vita spirituale dei cristiani, venissero ora resi nuovamente disponibili e diventassero l’alimento per una rinnovata vita ecclesiale.

Cerchiamo allora di ripercorre i passaggi salienti della omelia del card. Lercaro, soffermandoci in particolare su quegli aspetti che furono fondamentali per il concilio e per la riforma liturgica e che oggi non sempre vengono compresi in tutta la loro portata.

 

Un problema di spiritualità

 

Facendo riferimento ai suoi cinquant’anni di ministero presbiterale il card. Lercaro ricorda l’importanza “della messa”, dell’Eucaristia nella vita di un presbitero. Egli fa riferimento alla sua esperienza personale e afferma: «Il mistero della messa è grande: e io voglio qui ringraziare il Signore per avermene, nel corso della vita ormai al tramonto, fatto intravedere e godere e anche diffondere le ricchezze in modo, oserei dire, privilegiato». Il card. Lercaro si sofferma a raccontare la sua storia personale, il suo cammino spirituale fin dagli anni della giovinezza, facendo emergere quegli elementi per lui centrali, che però potremmo vedere anche come i desideri più profondi che animavano in quegli anni gran parte dei cattolici.

 

La messa più enigma che mistero

 

Parlando della sua graduale scoperta della centralità dell’Eucaristia per la spiritualità del cristiano, afferma: «Fu dai primi anni dell’adolescenza che si iniziò per me una conoscenza amorosa della messa: la quale era allora per molti, per troppi, non un mistero – quale è –, ma un enigma, alla cui soluzione per altro pochissimi pensavano ed erano per questo, anche, sospettati di pericoloso amore di novità».

 

La scoperta dell’assemblea

 

Dalla conoscenza delle fonti della liturgia, che egli elenca con commozione e gratitudine nei confronti di chi gli ha permesso di accostarle, Lercaro afferma che la prima “illuminazione” sulla natura dell’Eucaristia che ha avuto è stata la scoperta dell’assemblea liturgica. Egli afferma: «…ebbi così quella prima rivelazione che doveva restare una luce perenne nella mia vita spirituale e nel mio ministero pastorale: “la messa è una assemblea”; è l’assemblea della Chiesa, che quaggiù non è, e non esprime mai se stessa così pienamente come nella messa».

A partire da questa scoperta egli vede che la realtà delle celebrazioni che aveva intorno a sé sembravano non tener presente questa dimensione dell’Eucaristia che egli aveva intuito così importante e che aveva avuto la forza di trasformare la sua vita. Egli descrive la situazione nella quale ci si trovava e come era il modo ordinario di concepire la celebrazione liturgica nella chiesa: «Quanto vedevo intorno a me contrastava stranamente con questa che a me pareva, ed era infatti, una conquista radiosa... Sentivo di non poterla abbandonare e divenne allo spirito mio un ancoraggio sicuro, perenne; mancava tutto allora per rendere efficace quel luminoso principio: in Italia non c’era un messalino; e i migliori libri di pietà – anche scritti da santi – portavano, per quella che chiamavano “l’assistenza devota alla santa messa”, forme avulse dalla sacra Azione, parole aliene dai testi liturgici…».

 

L’assemblea “sacramento” della Chiesa

 

Nell’assemblea liturgica egli vede il manifestarsi della Chiesa universale che si rivela nella ricchezza e varietà dei ministeri ecclesiali. Afferma: «in me il pensiero della assemblea sacra, della “Famiglia di Dio”, riunita intorno al Padre per ascoltare la Parola, parlargli, offrirgli il sacrificio, stare alla sua tavola, maturava; e maturando si rivelava nella sua ricchezza e proiettava fasci di luce in tante direzioni. La messa solenne domenicale, dove la divisione dei compiti sottolinea un principio organizzativo, mi incantava; i pontificali soprattutto mi colpivano e mi avvincevano, perché meglio che nelle silenziose messe lette, spesso soffocate da preghiere estranee all’adunanza o da canti eterogenei, vi scorgevo l’assemblea descritta da Ignazio martire, adunata intorno al vescovo, che impersona Cristo, e al clero che lo circonda e lo coadiuva a lui unito in armonia come le corde di una cetra…».

 

La proclamazione della parola di Dio

 

Dalla scoperta della natura comunitaria della celebrazione eucaristica e dell’assemblea liturgica nascono per Lercaro altre conseguenze molto significative. Egli scopre l’importanza della proclamazione della parola nella liturgia: «La proclamazione della parola di Dio nella messa – Parola autentica, viva e nutritiva di vita e di vita esuberante – mi iniziò all’amore della Bibbia: del Vangelo dapprima, degli incantevoli Atti Apostolici… delle Epistole, poi, e finalmente dell’Antico Testamento... E non mi capacitavo perché quel tesoro della parola di Dio – da Dio pur dettata per gli uomini – dovesse restare seppellito: perché quel pane non fosse spezzato ai figli del Signore... E pensavo ad una predicazione biblica, all’omelia della bella tradizione patristica...».

 

La scoperta dei Padri

 

Ma non finiscono qui le conseguenze della scoperta dell’assemblea liturgica. Il card. Lercaro giunge infatti anche alla scoperta dei Padri della Chiesa: «L’amore della parola di Dio e della sua presentazione ed esegesi al popolo fedele mi avvicinò naturalmente ai Padri – la cui predicazione, anzi l’opera tutta, è un commento costante, amoroso e adorante, alla parola del Signore; un bel clima si respira in quella letteratura, soprattutto in quella dei primissimi secoli: Ignazio, Policarpo, Erma, A Diogneto, Ireneo, Tertulliano, Cipriano... mi divennero amici».

 

La messa senza la comunità

 

La natura comunitaria della celebrazione eucaristica porta il card. Lercaro, pure educato in un’epoca nella quale la messa privata era normalità, a considerare una grazia il fatto di aver solo raramente celebrato senza la presenza dell’assemblea. È importante a questo punto vedere come la celebrazione stessa sia diventata per lui un luogo di formazione, di formazione della sua spiritualità di cristiano e di pastore: «Ma la luce della messa si proiettava inesorabilmente nella vita: e lo fu anzitutto nella vita e nel ministero pastorale, creandomi delle esigenze, cui il Signore mi consentì misericordiosamente di rispondere. Dirò subito che, per un complesso di circostanze che amo pensare graziosa opera della Provvidenza, non ho, se non raramente, celebrato la santa messa senza la presenza di una comunità: è, questa, quando vi sono costretto, cosa che mi affligge…».

 

Gli elementi rituali per la “partecipazione attiva”

 

Parlando della partecipazione attiva di tutta l’assemblea, il card. Lercaro elenca alcuni elementi fondamentali per tale partecipazione. Innanzitutto egli fa riferimento alla presentazione dei doni che cominciava a ritornare, momento nel quale l’assemblea potesse esprimere la sua parte attiva nella celebrazione in quanto soggetto e non come spettatore. Dice Lercaro: «Ricordo i primi tentativi – timidi tentativi – di un offertorio, che esprimesse la partecipazione concreta dei fedeli e riproducesse in qualche modo quel cumulo di doni dell’assemblea che, nelle formule liturgiche, copre talvolta l’altare… lo introdussi quel tentativo di offerta pubblica dapprima nella messa che celebravo per i miei alunni del liceo a Genova: poi lo sviluppai fino alla processione offertoriale. Finalmente, così, potevo esprimere quello che da tempo sentivo prepotentemente: l’assemblea non può essere passiva; deve dare a Dio per ricevere da Dio – e quanto e come centuplicato! – il ricambio... L’offertorio che mi aveva preso, e che nella modesta porzione di pane e di vino simbolizzava già l’offerta di me stesso a Dio, per essere rinnovato dallo spirito di Cristo, prendeva ora anche la mia comunità!».

Il secondo elemento che il cardinale ricordava era il canto che considerava l’espressione adeguata dei sentimenti dell’assemblea: «(L’assemblea) doveva trovare finalmente la espressione adeguata e degna dei suoi sentimenti...: il canto. Tutta la tradizione liturgica, che si inizia con l’inno di Cristo e degli Apostoli nel Cenacolo, era univoca ed evidente! (…) Il Signore, per altro, non mi aveva davvero dotato per il canto; ed io ne avevo sempre sofferto... Ebbi a dirlo altre volte e lo ripeto: attendo di poter cantare in Paradiso un bel prefazio, come lo sento nel cuore!».

Infine il card. Lercaro considera anche la possibilità della concelebrazione come una grande grazia. Siamo nel 1964 e la celebrazione nella quale Lercaro pronuncia queste parole è probabilmente una delle prime concelebrazioni dopo la promulgazione di SC. Egli reputa come una grazia che «proprio che questa mia messa d’oro realizzi nel mondo le primizie di un rito tanto atteso e da me tanto lungamente desiderato, ma fino a pochi anni or sono senza speranza di vederlo instaurato: la concelebrazione, nella quale, secondo la parola della Costituzione conciliare, opportunamente si manifesta l’unità del sacerdozio! Sì, posso ben dirlo: è veramente d’oro questa mia messa! Deo Gratias!».

In queste parole possiamo individuare alcune delle riforme che SC ha richiesto e che la Riforma liturgica, sotto la guida e l’autorità di Paolo VI ha attuato (concelebrazione, partecipazione, canto…). Da questo testo ho voluto cercare di far emergere un clima, delle attese… che non erano solo di Lercaro ma di gran parte della Chiesa e che sono state fatte emergere in particolare dal movimento liturgico che ha preparato la svolta conciliare. Questa del card. Lercaro è una testimonianza appassionata di quell’amore per la liturgia che sta alla base della Riforma liturgica, la quale non fu un tradimento, come alcuni oggi vorrebbero affermare, ma il segno più autentico, anche se certamente non senza aspetti migliorabili, della vitalità della Chiesa, che, come diceva Giovanni XXIII, «è una fonte e non un museo». Infatti, citando una frase di G. Bonaccorso, «il rito è tradito non quando è riformato, ma quando non svolge più il suo compito». Il card. G. Lercaro aveva ben capito che proprio per essere fedeli alla tradizione era necessario “riformare”.

 

Matteo Ferrari

 Monaco di Camaldoli

matteoosbcam@tin.it